Chissà, chissà, Domani!

L’Azione NEXT GENERATION CLASSROOM, relativa alla trasformazione di almeno 100.000 aule in ambienti di apprendimento innovativi, corrisponde ad uno stanziamento complessivo di euro 1.296.000.000,00 nell’ambito del Piano Scuola 4.0 (decreto n. 161 del 14 giugno 2022).

Le risorse del PNRR sono state ripartite alle istituzioni scolastiche statali (I e II ciclo), le quali, tramite le rilevazioni INVALSI, hanno alunni a rischio dispersione scolastica, per progettare ambienti di apprendimento innovativi e recuperare così i divari territoriali esistenti.

Intervenire sui Divari territoriali è possibile oltre che necessario, sia nei confronti delle giovani generazioni, sia del territorio su cui insiste ciascuna scuola, l’obiettivo precipuo è, infatti, ridurre la dispersione scolastica fino al 10,2%, entro il 2026, e per questo è stato stanziato un investimento pari a 1,5 miliardi.

La progettazione per poter intervenire sui divari territoriali richiederebbe però un modo diverso di pensare la scuola, una visione nuova che non si può ottenere solo sviluppando mere abilità progettuali ma forzando il superamento di una visione scolastica, che è ormai obsoleta e stantia.

Quando si parla di ambienti di apprendimento innovativi non ci si riferisce solo alle metodologie in uso nella didattica, ma ad una prassi di sistema che accompagni le scuole in modo costante in una attenta e aggiornata analisi del contesto di partenza, ad una programmazione mirata con conseguente monitoraggio degli esiti, potenziando un uso più consapevole degli spazi scolastici non estranei alle dinamiche dell’apprendimento.

Per realizzare ciò sarebbe necessario che ciascuna scuola, soprattutto quelle finanziate dai fondi PNRR, sviluppasse capacità di analisi (punti di forza e punti di debolezza), relativamente alle competenze chiave acquisite dagli studenti, e potenziasse una didattica personalizzata, monitorando i processi dei ragazzi e il loro percorso educativo “far parti uguali su diseguali è somma ingiustizia”.

Forse alcuni ricorderanno il maestro Alberto Manzi in un programma RAI del 1960, Non è mai troppo tardi. Era l’Italia del dopo guerra, l’Italia del boom economico, una Italia in cui si voleva investire sull’alfabetizzazione di massa, quindi, fu chiamato un maestro di scuola elementare per insegnare a leggere e a scrivere agli italiani analfabeti. E’ stato stimato che quasi un milione e mezzo di persone abbiano conseguito, grazie a quelle lezioni a distanza, la licenza elementare, perché allora la pandemia, durante la quale si è fatto uso di lezioni a distanza, ha invece dato il colpo di grazia agli apprendimenti di quei ragazzi che si preparavano a lasciare la scuola media per un istituto superiore?

L’italiano non è solo una disciplina da studiare ma è lingua che unisce un popolo, che consente la comunicazione, che include.

Se, quindi, le competenze chiave (italiano) sono carenti nella maggior parte dei giovani con livello 3, perché a rischio dispersione, cosa succederà domani?

L’italiano è una competenza chiave (leggere, comprendere, rielaborare), così dal leggere, scrivere e far di conto del 1960, si è passati alla società della Conoscenza (Consiglio Europeo di Lisbona-2000), per assicurare un futuro sociale fondato su una conoscenza competitiva, dinamica e rivolta a obiettivi come la crescita sostenibile e la coesione sociale.

Sviluppare oggi nel 2023 la società della Conoscenza richiederebbe quantità e qualità di competenze decisamente superiori rispetto a quelle richieste alle precedenti generazioni, grazie anche alle tecnologie, che aprono un più vasto orizzonte di possibilità, ma tali opportunità richiederebbero, ancor più di prima, maggiore responsabilità e lifelong learning “apprendimento permanente flessibile”, perché solo così sarà possibile comprendere il “mondo che cambia”.

Permettere agli studenti del 2023 di sviluppare le competenze in italiano non solo offre le giuste capacità per esprimere e/o comprendere ciò che l’altro dice o scrive, ma dà la chiave per leggere la realtà.

Il fenomeno della dispersione implicita è, alla luce di tutto ciò, particolarmente grave, la domanda allora è: su cosa e in che modo dovranno intervenire le scuole?

Le rilevazioni nazionali hanno restituito, alle singole scuole, i dati che misurano le competenze chiave degli studenti in età scolare (dal I ciclo al II), leggere e studiare tali informazioni offrirà ai docenti importanti risorse.

Leggere in sede di dipartimento i Quadri di riferimento delle prove INVALSI offrirà alle scuole le coordinate su cui improntare una più mirata ri-programmazione delle attività didattiche.

L’innovazione consiste nella consapevolezza della lettura del dato di partenza per poter poi intervenire, sapendo che, se un ragazzo ha difficoltà a comprendere ciò che legge, farà maggiore  fatica nel fare inferenze e sarà incapace di deduzioni e rielaborazioni personali, per cui archiviare il problema con frasi tipo: i ragazzi non si impegnano più come un tempo oppure tutta colpa della pandemia, equivale a dire non ho a cuore l’apprendimento degli studenti. Qualsiasi giustificazione non accompagnata da una corretta anamnesi oltre che inutile è pericolosa, perché testimonia che nessuno si sta impegnando per cercare la giusta soluzione.

I Divari territoriali non fotografano un paesaggio scolasticamente differente ma opportunità sprecate, una sfida persa.

Oggi le nostre giovani generazioni sono/dovrebbero essere ampiamente alfabetizzate perché frequentano la scuola dell’obbligo, diritto allo studio, per almeno 13 anni e forse anche per 16, eppure, nella foto del Paese che l’Invalsi ci restituisce, una ampia percentuale di giovani fa ancora fatica a leggere e a comprendere ciò che legge. Perché verrebbe da chiedersi questo accade nel 2023?

Colpa dei social, delle troppe distrazioni, del logorio della vita moderna, di una scuola che fa fatica a svolgere il proprio ruolo educativo e deve stare al passo con i tempi, delle famiglie indulgenti che temono che troppa severità o sacrificio possano nuocere al benessere mentale del proprio figlio, chissà…

Una cosa su cui riflettere è che, se le nostre giovani generazioni sono a rischio “dispersione implicita” così vengono definiti gli alunni che nelle prove Invalsi hanno il livello 3, e non stiamo qui a trattare quali competenze chiave abbiano gli studenti di livello 1 e 2, sarà necessario intervenire urgentemente e tutti insieme.

Un ragazzo/a di livello 3 sa Individuare informazioni date esplicitamente in punti diversi del testo… in testi di lunghezza media e di diverso tipo. Ricostruire il significato di parole di uso comune, di termini tecnico-specialistici, di parole di registro formale e di uso letterario, e di espressioni figurate attraverso le informazioni presenti nel testo, collegando tra loro informazioni vicine, attraverso inferenze semplici, che derivano dalla propria esperienza personale o scolastica, per cui Ricostruire il significato globale e cogliere il tema centrale del testo, anche se le informazioni si trovano si testi più lunghi e  le inferenze non sono palesemente deducibili, diventa già un obiettivo di livello 4, a cui tendere per eliminare il “rischio” della dispersione.

Il livello 3 tuttavia potrebbe accompagnare il ragazzo o la ragazza sempre, se non si interviene a scuola, e il rischio potrebbe avere ripercussioni al di fuori delle mura scolastiche. Chiediamoci, infatti, quante volte “la vita” ci ha dato informazioni in modo chiaro e in un testo breve, aiutandoci a comprendere il significato globale di ciò che stava per accadere?

O sarà sufficiente, come nella canzone di Dalla, dire: Aspettiamo senza avere paura Domani!

Sebastiana Fisicaro Già dirigente tecnico. Formatrice per Invalsi e Indire. Coordinatrice Rete SOPHIA 3.0.