Il principio del “terzo click”
Antonio Battro in Verso l’Intelligenza digitale mostra come la “opzione click” sia un congegno neurale autonomo ed estremamente elementare rispetto a quell’evoluzione mentale del bambino determinata dagli standard classici piagetiani. Ricordo che Piaget e la psicologia evolutiva postpiagetiana mostrano, come fasi avanzate dello sviluppo, il raggiungimento della “fase delle operazioni concrete” (7-11 anni) e di “quelle astratte” (11-14 anni).
Il “click” di un bambino di tre anni sul link di una pagina Web è “un’attività molto elementare e non richiede competenze di natura logico matematica”. Il “clickare” assomiglia più ad un’operazione determinata dalla “zona prossimale dello sviluppo” di Vigotsky che, con le sue dinamiche di contesto, produce quella trasformazione plastica delle funzioni cerebrali tanto da legittimare la definizione di “nativi digitali” (tutto questo ed altro raccontato magistralmente da P. Ferri, Nativi digitali, Mondadori 2011, pag. 77-79) (1)
Quindi, il nativo digitale nasce (provocatoriamente) con un “click”. Ebbene, quali sono le implicazioni di questo “click”?
Grossolanamente possiamo distinguere due grosse categorie di utenti della rete (quindi non solo i nativi digitali): quelli dominati dal “click” (o quelli che subiscono il ‘click’) e quelli che usano strumentalmente il “click”. I primi sono essenzialmente i nativi digitali mentre i secondi sono i migranti digitali con una cultura sostanzialmente pre-digitale, gutemberghiana.
I migranti digitali sono convinti che le loro operazioni in rete sono governate dalla loro ‘cultura’ (e da quest’ultima protetti) e spesso attribuiscono un forte limite ai nativi digitali, perché li ritengono “posseduti dal click” al punto da essere soggetti alle “volontà” della rete e, quindi, da essa manipolati. Ma anche i migranti digitali sono “posseduti dal click”. Infatti, per ognuno di noi, e così vale anche per il nativo digitale, la ricerca di una informazione qualunque ci spinge ‘nella rete’. I cosiddetti migranti digitali, cioè coloro che – grossomodo – hanno più di 16 anni di età, non sono da meno del nativo digitale, perché la loro supponenza spesso non è determinata da uno studio analitico del problema ma dalla loro velocissima e interpolata mescolanza di informazioni raccolte dalla rete.
Un esempio per tutti, che vale soprattutto per il popolo italiano, estremamente litigioso, quindi anche per i quarantenni, i cinquantenni ed i sessantenni (nessuno escluso): subisco un “apparente” abuso, vado subito in rete per capire intanto di cosa si tratta e poi indago sulle sentenze citate per capire chi ha ragione, torno edotto dalla rete e mi batto (anche con arroganza) per le mie tesi, sostenendo che sono supportate da questa e quell’altra sentenza. Assumo, quindi, di aver capito l’oggetto del conflitto, di aver compreso le sentenze e, soprattutto, di aver stabilito chi avesse ragione.
Tre operazioni queste ultime molto complesse ma, in virtù della rete, divenute “apparentemente” semplici e lineari. Se la stessa cosa la fa uno studente, allora, naturalmente, siamo in presenza di un ragazzo arrogante, senza cultura e che approssima le proprie azioni e le proprie conoscenze a causa della rete (colpevole di essere “deviante”). E non parliamo di quando un banale ed innocente click ci spinge (o spinge un adolescente) su un sito pornografico…
Ebbene, il punto è che, a mio parere, siamo tutti possibili schiavi della rete, a prescindere dalla cultura (o dalla “non cultura”) che pensiamo di rappresentare (vedi, ad esempio, il bel libro di Albert-László Barabási, Link – La scienza delle reti, Einaudi).
Cosa può misurare questa dipendenza dalla rete? Semplice, il “principio del terzo click”. Semplice, perché questo principio, per gli addetti ai lavori, è scontato.
Il principio del terzo click afferma che se al terzo click non hai trovato quel link che ti serve (o l’informazione che cerchi) allora – attenzione – aumenta il rischio dipendenza dalla rete. La dipendenza è costituita dal bisogno di continuare a cliccare, nonostante la rete conduca ad altro, nella speranza di trovare quel che serve o l’oggetto del nostro desiderio. Come spesso capita a tutti, ci si ritrova, molto tempo dopo, su pagine web assolutamente lontane e diverse dal nostro bisogno iniziale e orientate verso tutt’altra cosa. Il più delle volte si lascia la rete con l’insoddisfazione di non aver trovato nulla di conclusivo sulle informazioni che si cercavano: una insoddisfazione che può arrivare a generare depressione e disagio psicologico. Il “terzo click” ci permette di capire quando compare il rischio, allarmare la nostra ricerca e capire che raggiungere il risultato implica il possesso di altri strumenti: una guida culturale che permetta di seguire una “traccia localizzata”. Un modello culturale che sia una guida digitale in rete deve essere strutturato con opportuni organizzatori concettuali, super concetti utili a discriminare, selezionare l’informazione utile. Il principio del terzo click e un sistema opportuno di organizzatori concettuali, insieme, possono evitare le dipendenze dalla rete e attivare invece un sistema per giungere al risultato senza danni ottimizzando le tecniche di ricerca in rete (che poi è la logica interna con la quale si costruiscono i motori di ricerca ‘intelligenti’ – tipo IDOL) (2).
La scuola digitale deve porsi questo obiettivo: costruire un modello culturale, più profondamente un modello mentale, strutturato in organizzatori concettuali, che consenta di educare ed auto-educare, nativi digitali ed adulti migranti digitali, ad una ricerca in rete consapevole, del tipo “object oriented”, come ad esempio accade con la programmazione ad oggetti nel C++, con tanto di teoria dei grafi.
(1) Occorre, comunque, essere consapevoli del “fatto” che anche le tesi del Piaget sono storicamente determinate. Oggi, infatti, è difficile il raggiungimento della “fase delle operazioni astratte” a causa della ridotta “manualità” nel processo di apprendimento che incide così fortemente sulla maturazione delle capacità astratte (vedi G. Polya, La scoperta matematica), Le capacità logico – matematiche si maturano molto più tardi, anche e soprattutto a causa dell’attuale curricolo. Forse, uno studio delle correlazioni tra le diverse intelligenze (in particolare, quella logico–matematica) e quella digitale sarebbe in grado di scoprire molto di più sulla dinamica tra ZSP e intelligenza digitale.
(2) Ringrazio Rodolfo Guzzi e Morena La Monaca per il colloquio avuto su IDOL.
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Immagine in testata di Flickr (free to share)
Arturo Marcello Allega