Apprendimento permanente: si riparte dal basso

In Italia la formazione degli adulti è sempre stata la Cenerentola, non si è mai riusciti ad elaborare una legislazione organica, le distanze dagli indici europei sono ancora siderali, sia per quanto riguarda le richieste di Europa 2020, sia per le competenze registrate dalle indagini PIAAC.

Rimane traccia nella riforma dei CPIA del tentativo di andare oltre il mero recupero dei titoli di studio o nell’autonomia delle scuole quando si vuole ampliare l’offerta formativa. Troppo poco se si pensa di raggiungere i predetti obiettivi, sia limitandosi all’istruzione formale, sia per motivare una domanda formativa spesso inespressa soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione.

La legge 92 del 2012 cerca di dare una svolta al sistema introducendo, sulla scorta delle indicazioni europee, l’apprendimento permanente come diritto della persona per tutta la vita, quale strumento fondamentale per favorire l’adattabilità alla trasformazione dei saperi nella società della conoscenza, nonché per evitare l’obsolescenza delle competenze ed i rischi di emarginazione sociale. Si può realizzare anche nell’educazione non formale e informale, attraverso offerte flessibili e diffuse sul territorio.

Ci si poteva aspettare che questo concetto facesse da guida ai successivi provvedimenti sulla buona scuola e sul Jobs Act; così non è stato, il che ci fa supporre che potrebbe rischiare di essere avviato su un binario morto, ma per ora vale la pena sostenerne sua attuazione pratica, non si sa mai che riuscisse a dare organicità ad un settore dove tanti tentativi nei precedenti decenni hanno fallito.

Il contenuto della legge rilancia un pensiero già proposto alla fine del secolo scorso, ma poi rimasto senza stabili conclusioni operative. Si riprende attraverso le intese Stato-Regioni del 2012 e 2014, per l’indicazione delle rispettive competenze.

Le principali novità: allargare il versante della domanda alle così dette competenze non formali, che fanno leva su una scelta intenzionale delle persone che intendono formarsi, ampliare altresì quello dell’offerta inserendo organismi che perseguono scopi educativi, anche del volontariato e del privato sociale, delegando a reti territoriali la governance dell’intero sistema. Saranno le Regioni a definire il modello di rete, individuando i soggetti che ne devono far parte e le modalità di riconoscimento delle realtà del privato-sociale. A livello regionale-territoriale verranno inoltre decisi gli strumenti di programmazione: dalla rilevazione dei bisogni formativi, al coordinamento dei progetti, al monitoraggio dei risultati.

Compiti dello Stato la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali (D.Leg.vo 13/2013). Andrà poi messo a punto un sistema di certificazione delle competenze e collegate le relative banche dati per renderle confrontabili a livello europeo.

La competenze formali assicurano risultati attesi nel campo degli studi e del lavoro, quelle non formali sostengono le persone nella loro motivazione e condizione, al fine di intervenire sul piano dell’inclusione sociale, delle relazioni e della partecipazione; dell’invecchiamento attivo e dell’esercizio della cittadinanza. Queste ultime arricchiscono i contesti culturali e contribuiscono a migliorare gli indici europei; costituiscono qualificate espressioni delle organizzazioni no-profit per quanto riguarda la loro esperienza nel settore formativo.

Il suddetto decreto del 2013 pone a riferimento il “quadro europeo delle qualificazioni” (EQF) che sviluppa conoscenze, abilità e competenze legate alla persona. Ogni soggetto formativo li declinerà in base alla propria capacità di proposta, impegnandosi per quanto riguarda gli aspetti non formali, che qui si vogliono richiamare in particolare, ad indicare i dati essenziali dell’attività didattica svolta, comprese le modalità valutative adottate. Un documento, quello europeo, che contribuisce a mettere in trasparenza le competenze della persona favorendo una progettazione integrata dei servizi formativi.

Volendoci porre ad esempio dalla parte di un’associazione di promozione sociale, si possono abbinare il consolidamento dei rapporti tra le persone, uscire dalla solitudine, con il conseguimento di abilità “cognitive e pratiche necessarie a risolvere problemi specifici in un determinato campo di lavoro o di studio” (livello 4 EQF), anche al fine di superare l’analfabetismo di ritorno in determinati settori: della storia come delle tecnologie e della vita quotidiana. Mentre nell’ottica interculturale si va oltre la dimensione puramente linguistica per cercare di raggiungere abilità “cognitive e pratiche necessarie a svolgere compiti e risolvere problemi scegliendo ed applicando metodi di base, strumenti, materiali ed informazioni” (livello 3 EQF). L’EQF potrebbe dunque fare da guida ai singoli soggetti formativi e costituire un’ossatura programmatica per la rete territoriale, mantenendo l’autonomia delle singole realtà e implementando così anche sul piano della qualità l’offerta sul territorio. La ricaduta sulla società locale potrà anche essere quella di stimolare il volontariato come frutto maturo della promozione sociale e che continua anche la mission dell’associazione come elemento di rinforzo pluralistico e democratico.

Mentre nel formale l’organizzazione degli apprendimenti è fatta in relazione alle performance di studio o lavoro da ottenere, nel non formale si parte dal basso, dalle motivazioni delle persone, dalle relazioni tra chi desidera continui stimoli per coltivare i propri interessi e chi magari è disoccupato ed è alla ricerca di nuovi obiettivi personali e professionali. Tutto ciò al fine di sostenere l’inclusione sociale e i diritti di cittadinanza, spesso rivolti anche a percorsi intergenerazionali e interculturali.

Se ci si lamenta già nel formale della frammentazione dell’orizzonte culturale dovuto all’insegnamento per discipline, nel non formale la proposta formativa non sarà incentrata sull’epistemologia dei saperi, ma sulla mediazione che questi possono esercitare direttamente nella crescita delle persone e sulla loro volontà di mantenersi in forma. Ci saranno i problemi legati alla salute, ai diritti, al sociale, alle tecnologie e alla loro influenza sulla qualità della vita, alla comunicazione. Qui chiaramente possono entrare la storia, la filosofia, la biologia, le lingue, la musica, l’arte e tanto altro. L’apprendimento permanente nella popolazione adulta deve partire dall’esperienza dei singoli e questo prevede il loro protagonismo anche in un’ottica di autoformazione (circoli culturali) e/o mediante l’appartenenza ad un’associazione e la partecipazione al suo cammino associativo.

Questa è la ricchezza che ci presenta la nuova prospettiva dell’apprendimento permanente; in un’ottica democratica esso può contribuire allo sviluppo delle persone, durante tutta la vita, e alla ripresa del potenziale culturale del nostro Paese così come si è impegnato a progredire a livello europeo.

Gian Carlo Sacchi