Tensioni Cognitive 

Piaget, i tram di Ginevra, la scrittura. E Alberto Manzi?

Piaget osservava i suoi figli, che, a modo loro, scrivevano. Scrivevano la parola tram tracciando lunghi ghirigori perché i tram di Ginevra sono lunghi. Chi cresce ha bisogno di sentirsi parte. Ha bisogno di appartenenza. In un orizzonte il più ampio possibile, e nello stesso tempo essendo collocati ciascuno in uno piccolo spazio. Glocal. Nelson Mandela diceva di non perdere mai: sia se vinceva che se era sconfitto. In ogni caso imparava. 

Marc Bloch scriveva: «Una parola, una parola terribile riassume una delle tare più perniciose del nostro attuale sistema: bachotage [dal verbo bachoter, preparare un esame frettolosamente, con il solo fine di superarlo]. Un veleno penetrante in minor misura nell’insegnamento primario, che pure non credo ne sia del tutto esente. L’insegnamento secondario, delle università e delle Grandes Écoles, ne è ormai infetto. Bachotage. Ovvero: ossessione dell’esame e della valutazione. Peggio ancora: ciò che dovrebbe essere un semplice reagente destinato a verificare il valore dell’educazione, diventa il fine cui si orienta sin dall’inizio l’intero processo educativo. Non si invitano più i ragazzi o gli studenti ad acquisire le conoscenze di cui l’esame nel bene e nel male permetterà di apprezzare la solidità. Li si esorta invece a preparare l’esame».

L’essere umano si sente minacciato, da quando è apparso sulla Terra. Per far fronte alle minacce di destabilizzazione, gli esseri umani hanno ritualizzato le loro abitudini. Ed hanno attribuito ad alcuni fenomeni naturali, come il tramonto del giorno, e l’alba, significati simbolici. I campi di sterminio nazisti vietavano duramente ogni appartenenza e ogni rituale. Lo stesso regime nazista organizzò immensi rituali ’di regime’.

Siamo nel tempo dei rituali frettolosi. La scuola, molto spesso, sembra adeguarsi. Rituali stagionali. La prossima stagione i rituali di questa saranno considerati superati. Ma lo spazio mentale e lo spazio fisico devono poter mantenere fra loro un rapporto attivo. Possiamo parlare di spazio empatico? Lo spazio empatico è il contrario dell’usa e getta? E invece è collegato alla manutenzione? Cosa fa sì che un barbone diventi, per noi che non siamo barboni, un individuo da salutare chiamandolo per nome? Come nascono, nella nostra testa, paesaggi abitati da noi e da qualcuno che conosciamo? E abitati dai nostri diversi modi di essere la stessa persona che siamo? Facciamo dialogare e confrontare i diversi modi di essere la stessa persona che siamo?

Alberto Manzi sa che un certo modo di insegnare interrompe le operosità di chi apprende. Chi apprende dovrebbe imparare che ciò che sa fare, o ciò che sa, vale zero. Alberto Manzi sa che lo zero è importante: provate a scrivere la cifra un milione e domandatevi se i tanti zero che avete scritto possono essere considerati inutili. Manzi si ribella a questa idea di insegnamento. Le sue convinzioni lo ispirano anche nel suo impegno televisivo. Non fa la lezione. Interagisce, provoca, propone. Chi lo vede, il telespettatore allievo, a sua volta interagisce, reagisce, rilancia e completa. È attivo con la sua operosità.

 Da Socrate al tenente Colombo. E Alberto Manzi?

Attorno alla scuola ci sono le strade. La scuola potrebbe accorgersene e servirsene. Lo fa? Socrate viveva la strada come il luogo dell’apprendimento. Il metodo socratico è basato sul dialogo. Non a caso, Platone lo descrive nei Dialoghi. È chiamato maieutico, dal greco maieutiké (sottinteso: téchne), ’arte della levatrice‘. Socrate ha come fondamento del suo pensiero il «apere di non sapere», la consapevolezza della non conoscenza definitiva, che diventa desiderio di conoscere e motivo fondamentale di dialogo con domande rivolte all’altro. La figura del filosofo, secondo Socrate, è completamente opposta a quella del saccente, del sofista che si ritiene e si presenta come quello che sa, perlomeno di un sapere come quello della retorica.

Una didattica a distanza, servendosi della televisione, non è un espediente, messo in campo con l’emergenza, per restaurare un’autorità perduta. La televisione del maestro Manzi scende in strada, e per strada conquista autorevolezza. Come il tenente Colombo, col suo impermeabile dimesso e la sua aria da sprovveduto, che deve sempre domandare qualcosa…

Che risposte necessitano in questo contesto i bambini e le bambine, la loro quotidianità e crescita, le loro tante infanzie? È la sfida delle nostre ignoranze. Valerie Jane Morris-Goodall, meglio nota come Jane Goodall (Londra, 3 aprile 1934), è un’etologa e antropologa inglese. Sarebbe piaciuta a Manzi. Ha scoperto l’uso di utensili da parte degli scimpanzé: Jane Goodall scoprì che questi animali sono soliti utilizzare stecchini per ’pescare‘ le termiti all’interno dei loro nidi, le larve o i galagoni dalle cavità dei tronchi d’albero o il miele dagli alveari, oppure pietre per rompere i gusci dei semi più duri. A 85 anni, l’etologa e primatologa non smette di viaggiare per il mondo per raccontare il suo incredibile viaggio: quello che iniziò quando era una giovane entusiasta britannica nell’Africa, e che la portò, a 26 anni, a incontrare primati  svolgendo una missione nella foresta di Gombe nella Tanzania occidentale. Non facendo niente di simile a quello che fanno gli accademici, senza avere il titolo accademico, è così ammessa all’università di Cambridge, come dottoranda in etologia. 

L’ostilità degli accademici tradizionali e ’ortodossi‘ è sconfitta grazie al contatto con la National Geographic Society, che le finanzia una nuova missione a condizione di poter filmare e fotografare lei mentre fa ricerca nelle foreste africane, con e non sulle scimmie. Anni dopo Jane Goodall si impegna a trasmettere le sue passioni per l’ecosistema: l’universo in cui viviamo. Per Alberto Manzi, le conoscenze sono passioni. Diventavano avventure. Sfide e avventure potevano coinvolgere potentemente il mezzo televisivo, evitando di diventarne servo, e non rinunciando alla sua fisicità messa alla prova proprio nelle sfide e nelle avventure. Che gli fanno incontrare altri sfidanti, altri compagni di avventura. Evitando così di ergersi a unica fonte di apprendimento, e accettando confronti e, perché no, contrasti.

Andrea Canevaro *Università di Bologna