Rapporto  CENSIS 2022: il sistema formativo  italiano

Tante sono le complesse chiavi di lettura  della situazione sociale del paese, presentate, come  ogni anno, dalle considerazioni generali del rapporto  Censis 2022. Si parte dalla prima domanda “dove siamo?” e si conclude con l’affermazione poco tranquillizzante  Non solo rassicurazione è la politica. Per un verso infatti è evidente la consapevolezza che le crisi  hanno prodotto negli ultimi tre anni radicali cambiamenti,  in cui  finora  si leggono  piuttosto  “vuoti” che  non  possibili prospettive di ripresa.

E’ un mondo profondamente cambiato, ma fisso, fermo in questo cambiamento, incapace di  rimettere in moto meccanismi sociali atti a fronteggiare sconvolgimenti  drammatici e leggibilità delle carte, che disegnano le “planimetrie” dei rapporti sociali e di un  sistema di diritti in società, che non ritrovano punti di riferimento ovvero li intravedono pericolosamente lontani e incontrollabili, secondo le logiche di centri di potere e di decisione  estranei e indecifrabili nel mondo  globale.

Non si tratta infatti di ritrovare soltanto vie d’uscita al declino dell’economia e alla necessità di sostenere la tenuta della società, ma piuttosto di offrire la certezza che la politica dovrà/ dovrebbe rimuovere  i problemi  che  ciascuno  si trova davanti.  Ma è proprio questa sicurezza, che sembra mancare ed è da qui che si genera il senso di un rischio continuamente incombente e di una, spesso insopportabile, incertezza.

Fronteggiare  le  conseguenze delle quattro crisi dell’ultimo triennio (pandemia, guerra, inflazione,  crisi energetica) genera la paura di essere  drammaticamente esposti a un rischio che non si può controllare, ma nello stesso tempo rinnova esigenze di certezze, di benessere e di equità,  che troppo semplicisticamente  potrebbero essere definite come populiste  e/o irrealistiche, mentre sono in qualche modo la rappresentazione di aspirazioni diverse delle diverse componenti  sociali, che faticano a  comunicare e  a rappresentarsi.

Le crisi non portano a nuove forma di aggregazione, piuttosto disegnano una società del rancore in cui l’ansia appare la conseguenza di catastrofi, purtroppo, prevedibili, che vanno dal peggioramento delle condizioni economiche ai disastri ecologici ed alle  devastazioni  ambientali, l’eco ansia, come la chiama il Censis.   Una stagnante malinconia sociale pervade tutte le classi di età  e si esprime in una condizione di passivo rinchiudersi nel proprio privato e nell’assenza di partecipazione  ai modi e ai luoghi in cui agisce la vita democratica, ne è esempio evidente l’astensionismo elettorale   del 25 settembre del 2022.

Riforme e interventi necessari, ma senza cornice

Questa, nel titolo della sezione, è la   sintetica fotografia dello stato attuale del sistema formativo italiano che, dovrebbe essere volto a sostenere un ritorno alla normalità, ma soprattutto dovrebbe saper superare la persistente logica di singoli  interventi “frammentati” e la evidente estrema debolezza, se non l’assenza, di una prospettiva complessiva.

Sembra che, come al solito, malgrado le scadenze previste dal PNRR e le pur sempre conclamate attese di riforme strategicamente definite, non sia possibile andare al di là di una gestione ordinaria, in cui una burocrazia e una amministrazione, sempre in affanno, ripropongono ogni anno stesse soluzioni e rappezzi all’avvio della scuola. Il decremento demografico disegna il futuro di una società in cui i giovani rischiano di essere sempre di meno, mentre la quota di questi, con titoli di istruzione terziaria, restano lontani dalle medie Ocse e UE. Nello stesso tempo, il problema del passaggio dalla formazione verso il lavoro evidenzia l’incapacità del sistema di  orientare e formare giovani ad un inserimento consapevole nella società adulta;  il  dato trova conferma negli scarsi investimenti nelle politiche attive del lavoro ed in un sistema incapace di sviluppare nuove qualificazioni e professionalità, basti vedere la collocazione mortificante dell’Italia nella graduatoria del Cedefop sulla base delle rilevazioni del European Skills Index[1] e lo stato degli interventi sugli ITS, ora ITS Academy, che, malgrado lo schema PNRR disegni  gli interventi necessari  a garantire  coerenza e incontro tra domanda e offerta di competenze, sono collocati solo all’inizio di un percorso attuativo, con conseguente allungamento  dei tempi di realizzazione, ad oggi sono 19 i decreti  ancora non definiti.

In affanno è la “rincorsa” della offerta formativa universitaria, malgrado il continuo tentativo, evidente negli ultimi 10 anni, di adeguarla alla domanda. I 5432 attuali percorsi di studio, tra lauree, lauree magistrali e lauree a ciclo unico presentano una offerta che si è accresciuta di 534 nuovi corsi in 10 anni (209 negli atenei del Sud). Aumentano soprattutto gli insegnamenti economico/ giuridico/ sociale e le discipline Stem, limitato l’incremento nei settori artistico, letterari e dell’insegnamento ed anche nell’area sanitaria e agro-veterinaria. Tuttavia le immatricolazioni nel 2021-22 diminuiscono di più di 9000 unità (-2,8%) dopo sette anni di una positiva crescita e preoccupante è la previsione del rapporto tra esigenze del mercato del lavoro di professionalità  in settori vitali per lo sviluppo economico/ sociale  e l’offerta di neolaureati disponibili. Il Censis presenta una  proiezione  del rapporto domanda offerta di neolaureati nel periodo 2022-2026  e calcola che complessivamente, a fronte di una domanda di 1.246.500 soggetti, i neolaureati sarebbero 947.000, più penalizzate soprattutto  le professioni medico sanitarie, i settori urbanistico territoriali, le scienze matematico fisiche e informatiche, in surplus  apparirebbero i  settori psicologico,  agroalimentare e linguistico. Persiste nel nostro paese lo spreco, il non utilizzo di risorse intellettuali e lavorative che non trovano collocazione e possibilità di sviluppo: il fenomeno dei NEET, giovani che non studiano e non lavorano, che appariva negli ultimi due anni in lenta diminuzione, si è bloccato a partire dal 2020, questo gruppo di popolazione tra i 15 e i 29 anni  nel 2021 si attesta a una quota  che si aggira intorno al 23 %, dato drammaticamente elevato rispetto alla media del 13,1% dell’UE a 27- Se è pur vero che l’Italia evidenzia un positivo funzionamento della scuola pre- primaria ( rapporto docenti / bambini 3-6 anni ci pone a 13° posto  in UE ), la percentuale di 15-64enni con almeno un titolo di scuola secondaria superiore non raggiunge il 30%, così come resta estremamente limitata la quota di quanti dispongono di competenze digitali, necessarie a garantire opportunità di occupazione, di riqualificazione e positivi re-inserimenti nei diversi contesti sociali e lavorativi.  L’indice Desi[2], classifica l’Italia come “innovatore moderato” (punteggio 49,3 rispetto a una media europea di 52,3). Siamo indietro sia per le competenze digitali specialistiche, che per quelle di base  solo il 46% della popolazione ne dispone  contro la media UE del  54%). Del resto la quota di popolazione 25-64 anni che ha ricevuto una qualche formazione nelle quattro settimane precedenti l’intervista non supera il 9% ( gli occupati sono 11,4% mentre  i non occupati si attestano al 7%).

 

[1] European Skills Index-ESI-consta di 15 indicatori che prendendo in esame i sistemi formativi e il mercato del lavoro dei diversi paesi, con approccio multidimensionale, non valutativo ma descrittivo, presentano sviluppo di competenze, attivazione e funzionamento dei processi di transizione tra formazione e lavoro e coerenza/ congruenza tra competenze possedute in uscita dal sistema di istruzione e formazione e richieste del mercato del lavoro.

[2] Indice Desi – digitalizzazione di economia e società in Europa.

Vittoria Gallina