Rapporto Censis  2021  Come venirne fuori?

Il rapporto Censis è costruito, ogni anno, intorno a un filo conduttore che, talora sintetizzato in  un fortunato slogan, offre una interpretazione dei processi osservati; ‘la giravolta della storia’  del rapporto 2020 dava  il senso dello smarrimento, ma suggeriva nello stesso tempo alcune prospettive; il rapporto 2021, negli 11 titoletti[1]  delle considerazioni generali, conferma un persistente senso di smarrimento, ma anche una difficoltà di indicare, con un minimo di chiarezza, una o più prospettive. Si evidenziano piuttosto gli ostacoli verso una effettiva ripresa, la mancanza di un progetto generale e di progetti settoriali capaci di indirizzarla in forme unitarie, che non siano semplicemente l’effetto di un rimbalzo, inevitabile dopo la rovinosa caduta »provocata dalla pandemia.

«Siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali»

Questa   è l’impressione che si ricava scorrendo tutto il rapporto, dal baratro dell’ irrazionalità dilagante, al sotto utilizzo/dissipazione delle competenze, alle varie forme in cui si esprimono e convivono ricchezza  privata e povertà pubblica. Tre indicatori  misurano l’irrazionalità dilagante: la sfiducia nello stato democratico (il 67% è convinto che il potere effettivo sia nelle mani di pochi,  (politici – alti burocrati, uomini d’affari), il 64% attribuisce alle grandi multinazionali la responsabilità di tutto, il 56,5% intravede una casta globale che ha potere di controllare tutto e tutti. Trascurando le convinzioni estreme, che pure hanno non trascurabili percentuali di adepti, dai tecnofobici ( 19%), ai terrapiattisti (10%), a chi  nega lo sbarco sulla Luna  (quasi il 6%), colpisce che il titolo di studio non costituisca poi, per quote consistenti della popolazione, una barriera contro la diffidenza verso tutto, a partire dalla scienza. Che la vaccinazione contro il covid abbia ridotto gli italiano a cavie di un medicamento dall’incerta efficacia e forse anche pericoloso,  è la convinzione che  si ritrova nel 42% di chi ha al massimo la licenza media, ma anche nel 24% dei laureati, per fortuna solo il 5,8% di questi ultimi pensa che la scienza produca più danni che benefici , ma sale all’8,4% per la certezza che i vaccini sono inutili e inefficaci  e quel 5,9% di italiani che pensa che il vaccino non esista vede solo 1 punto percentuale di differenza tra chi ha solo la licenza media e chi ha un livello terziario di istruzione. Se si  osservano poi le  valutazioni circa l’efficacia dei cambiamenti auspicati dal PNRR, analizzandole per classi di età, i più sfiduciati appaiono i 36-64enni, rispetto a tutte le prospettive, dal miglioramento delle condizioni di vita, al funzionamento della PA, alla convinzione che esistono sistemi politici sicuramente migliori di quelli democratici (con buona pace della buon’anima di W.Churchill!), mentre tra i 18-34 e i 65 enni  e più  le differenza si attenuano, spesso sono minime; in genere sono  forse un po’ meno  pessimisti  i giovani dei vecchi, salvo che per quel che riguarda l’esistenza di sistemi politici  migliori di quelli democratici (qui i vecchi sono  poco più del 12%, mentre le altre due fasce di età stanno tra il 23 e il 26 %, e questo forse dipende dalla memoria di esperienze che guida le scelte degli ultra 65 enni ). Assumere come punto di vista titoli di studio e classi di età della popolazione italiana, posti di fronte ai drammatici problemi dell’oggi,  significa fare rapidamente i conti con la lettura ,che il Rapporto presenta,  sulle opportunità formative  offerte dal sistema e dalla cultura in Italia, perché questo sarà uno dei più importanti banchi di prova dei vari provvedimenti che dovranno o che dovrebbero misurare l’efficacia del PNRR.

Lo stato attuale del sistema formativo

La scuola italiana non è ancora capace di agire contro inequità e diseguaglianze di una società  profondamente frammentata: questo è in sintesi il solito quadro.   La dispersione scolastica  evidenzia questi dati: il 13,1% dei 18-24enni italiani ha solo la licenza media (9,8% media europea), più maschi che femmine (nelle superiori 4% dei maschi, 2,6% delle femmine): il fenomeno ha una sempre maggiore caratterizzazione  territoriale,  più elevata in Sicilia, Calabria, Campania; i ragazzi stranieri, anche di seconda generazione, abbandonano più degli italiani; per tutti, italiani e stranieri, il passaggio dalle medie inferiori alle superiori presenta notevoli elementi di criticità (gli studenti che si sono perduti nell’ultimo anno  sono 1,14% di  chi ha frequentato la terza media, e non è un fenomeno nuovo, anche se aggravato dalla pandemia).

Come al solito, il Rapporto si basa sulla consultazione di oltre 1.700 dirigenti scolastici  (il 21,22% circa del totale), che di fronte ai risultati  delle performance degli studenti italiani, rilevati da Invalsi nel 2020, non li attribuiscono solo alla DAD; il 29,6% circa è molto d’accordo,  e anche un 46% lo è abbastanza, sull’affermazione  che DAD e DID hanno reso più evidente  la difficoltà/incapacità della scuola di agire con azioni efficaci sulle diseguaglianze socio-economiche, che pesano drammaticamente su bambini e ragazzi che frequentano la scuola. Il 65% dei presidi osserva, ovviamente, che con la DAD non si è instaurata una relazione educativa ma, per  il 62%,  la DAD ha accentuato un generale deterioramento di competenze, che, però, già era precedentemente percepibile . Comunque più della metà dei presidi pensa che il problema non è tanto la DAD in sé, ma lo stato di disagio che la pandemia ha provocato. Gli effetti ‘collaterali’ osservati dai dirigenti, l’81% dei dirigenti delle superiori (sono il 44% dei dirigenti intervistati) rileva  stati di depressione e disagio emotivo  in ragazzi che vivono come sospesi e, soprattutto,  adolescenti che non vedono  prospettive: infatti 89%  rivaluta  l’andare a scuola  come elemento di essenziale per la socializzazione, l’interesse e l’impegno ; l’apatia  e una sorta di impermeabilità a stimoli, notata dal 46%  viene motivata dal 78,3% dalla mole di informazioni che  subissa i giovani, senza riuscire ad aiutarli a  selezionare, e quindi provocando uno stato di apnea, di «sospensione del respiro, della capacità di giudizio».

Soluzioni nuove per vecchi problemi; ci riusciremo e veramente basterà questo per una effettiva ripartenza?

Le soluzioni  intraviste risiedono soprattutto nella definizione di un diverso assetto della secondaria, in cui gli ITS siano collocati in un sistema nazionale unitario e flessibile:  ma non sono 10 anni che se ne parla? Il Rapporto sottolinea l’importanza di questi percorsi come opportunità fondamentali per la formazione terziaria; l’aumento dei corsi realizzato dal  2013 al 2019 (da 63 a 201) e dei diplomati  da 1.098 a 3.761, non è confrontabile col numero di quanti scelgono un percorso accademico (non sono neanche il 2%  rispetto ai laureati di primo livello), del resto già nel 2015  l’Ocse (Education at a Glance) notava che il ciclo professionalizzante non accademico  copriva a livello  europeo in media  l’11% dei titoli post diploma, media che per gli italiani si riduceva allo 0,2%.  Determinante è la situazione delle realtà produttive dei territori,  opportunità presente soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna,  che garantisce all’80% di questi diplomati un’occupazione entro  un anno dal conseguimento del titolo.  Il dato relativo alle iscrizioni all’università nel 2021 evidenzia che solo il 27% dei giovani sceglie un corso STEM e un notevole divario di genere ( le donne sono il 17,8% di questi).   I corsi di laurea Stem sono  il 34,6% del totale del totale dei corsi universitari,  concentrati soprattutto in alcune regioni (Lombardia, Lazio,  Emilia Romagna).  Se poi si considera l’interesse per la scienza e la tecnologia si nota che solo il 13% degli italiani manifesta interesse per la scienza e la tecnologia (contro il 33% degli europei); quelli che sono del tutto disinteressati sono il 31 % ( il 18% gli europei)  mentre il 58% è convinto che la scienza e così complicata che non se ne capisce nulla (contro il 46% degli europei).

Tutto si lega, viene da osservare, e tutto richiederebbe una capacità complessiva di selezione e impegno secondo priorità di sistema chiaramente indicate, quella che nella presentazione del Rapporto viene definita come auspicabile esito di una reazione verticale, lineare, non dispersa in innumerevoli rivoli progettuali.

 

[1] Questi i titoli: [1)tra attesa e ripartenza poco pensiero in perpendicolare; 2) Una ripresa più per progetto che per evoluzione; 3) la ricerca con pochi esiti di una reazione verticale; 4) uno strappo in avanti con il timore di ricadere; 5) la tempestività è un valore reale con idee e parole nuove; 6) dopo la crisi il governo della transizione; 7) dopo rapide assicurazioni, un percorso lungo e di duro confronto; 8) la fatica della ricostruzione chiede coscienza delle leve di ripresa; 9) tre assi di progressione riducono coscienza di sé   e qualità dello sviluppo; 10) rivivere i luoghi in cui la coscienza si forma; 11) nell’afasia del dibattito politico riconnettere società e istituzioni.

Vittoria Gallina