Prima dell’uragano: Education at a Glance 2020 – Il sistema italiano nel quadro dei paesi Ocse e dei paesi partner

Prima dell’uragano, potrebbe essere il titolo del rapporto Education at a Glance  2020, uscito come di consueto alla fine dell’estate. I dati  (riferimenti   2018-2019) su cui  è costruito  il quadro comparativo sono relativi all’organizzazione, ai finanziamenti  e agli esiti dei sistemi di istruzione e formazione nei vari Paesi. Gli indicatori assumono come obiettivo «una educazione di qualità», il quarto obiettivo dell’Agenda 2030 Per uno Sviluppo Sostenibile; i risultati più significativi del rapporto, che esprimono le medie Ocse e Paesi partner,  sono così sintetizzati:

  • I vantaggi prodotti da una formazione /istruzione di livello secondario professionalizzante rispetto a quella a indirizzo generale, tendono a indebolirsi con l’età anagrafica dei lavoratori (obsolescenza delle competenze)  . 
  • Percorsi di studio secondario, basati sull’a integrazione di studio e lavoro, sono meno diffusi di quanto i vantaggi che ne derivano potrebbero far prevedere.
  • Nei vari paesi l’investimento complessivo in educazione è cresciuto meno rispetto  alla crescita del PIL.
  • Restano stabili durata e tempi di erogazione delle attività educative. 
  • Solo il 26% dei bambini sotto i tre anni ( dati del 2018) hanno fruito di servizi di prima accoglienza e educazione.
  • L’internazionalizzazione della popolazione studentesca è aumentata del 4,8% dal 1998 al 2018. 
  • Una qualifica di scuola secondaria superiore offre una buona protezione contro la disoccupazione ( il tasso di occupazione di chi è privo di un diploma è pari al  61% contro  il 78% di chi ha una qualifica di secondaria superiore e più).

Il rapporto dedica infine  uno sguardo complessivo all’impatto di covid19, che offre qualche prima prospettiva relativa ai singoli Paesi (il rapporto è chiuso a settembre, quindi si ferma alla riapertura delle scuole in Italia  per il nuovo anno scolastico). Appare quindi utile, lasciando ad altri approfondimenti una lettura in senso comparativo del sistema di istruzione Italiano  in relazione agli indicatori sopra indicati,  di registrare, in prospettiva comparativa, quanto accaduto  nella prima fase dell’emergenza nel nostro Paese.  

Tre sono gli aspetti che vengono affrontati:  la scelta della didattica a distanza e la ripresa della didattica in presenza, le risorse economiche disponibili per l’istruzione, i possibili effetti sui settori più fragili della popolazione. 

  1. Nella prima fase di diffusione della pandemia  tutti i paesi Ocse e partner  hanno chiuso scuole e università a causa delle disposizioni di  lockdown e/o di provvedimenti simili. Gli studenti italiani, da marzo  a giugno  2020, hanno perso 18 settimane di scuola, contro le  14 settimane dei  Paesi Ocse ( dato Unesco 2020), in genere molti Paesi hanno interruzioni della didattica durante l’anno, l’Italia ha un calendario più compatto; il tempo scuola di un anno scolastico  normale è  in Italia di  almeno 891 ore (22 ore a settimana ) nella scuola primaria e  di 990 (25 ore a settimana ) nella secondaria di primo grado. Si può quindi concludere che poco meno di  metà dell’orario scolastico in presenza è stato perduto. Quasi tutti i Paesi hanno adottato la didattica a distanza, ma dati ed esiti non sono ovviamente registrati in questo rapporto. All’inizio del nuovo anno scolastico  la condizione posta per la riapertura in sicurezza, tra le altre, è quella della   distanza  di 1-2 metri  tra studenti e tra studenti e docenti; l’applicazione di questa  limitazioni è strettamente  collegata  al numero di alunni per classe (la media Ocse è 21 alunni nella primaria, leggermente inferiore la media italiana che è di 19 alunni; nella secondaria di primo grado  la media Ocse è di 23 alunni, 21 la media italiana). Queste medie dicono però poco sugli effetti che si producono o si stanno producendo nelle diverse situazioni, perché non tengono  conto  della struttura degli edifici scolastici, della dimensione delle aule, della presenza/assenza di docenti, della disponibilità di ambienti di lavoro e di studio alternativi all’aula.
  2. Di fronte alle drammatiche necessità imposte dall’emergenza sanitaria  circa l’allocazione delle risorse economiche,  la  ormai ‘tradizionale’ limitatezza degli investimenti in istruzione  presenta per l’Italia ulteriori elementi di rischio  (nel 2017 l’Italia spendeva il 7% del totale della spesa pubblica contro l’11% della media Ocse); a questo si potrebbe aggiungere, a causa dell’aumento della disoccupazione, una riduzione della spesa che le famiglie singolarmente impegnano in questo settore. Se questo problema in Italia potrebbe apparire meno grave, almeno per la scuola primaria e media ( la spesa privata in Italia è pari a circa il 12% contro il 17% della media Ocse), la situazione dell’impegno economico   familiare per l’istruzione terziaria è particolarmente pesante (il 35% in Italia, contro il 29%  media Ocse). Gli effetti sulla partecipazione all’istruzione terziaria, già molto ridotta  rispetto a  quella dei  paesi Ocse, sono facilmente prevedibili.
  3. Infine il rischio per il lavoro: la disoccupazione anche in Italia aumenta in relazione alla diminuzione di molte attività in conseguenza del lockdown;  sono soprattutto le persone con un livello  basso d’istruzione  che  rischiano di essere le più colpite (escluse dal telelavoro, spesso assunte con rapporti di lavoro più precari,  ecc.)  Già prima dell’esplosione della pandemia, dati 2019, il 21% dei giovani adulti (25-34 anni) con un’istruzione inferiore al diploma  era disoccupata rispetto al 12%  di quanti hanno un titolo d’istruzione terziaria, dato purtroppo non nuovo, si pensi  alla  crisi del 2008/2009.

Bastino queste poche osservazioni per avere una prima prospettiva delle pesantissime ricadute dell’emergenza sanitaria sui problemi già presenti nel nostro sistema di istruzione e delle drammatiche  disuguaglianze socio-culturali. 

Vittoria Gallina