L’inclusione tra sfide, trasparenza e creatività

Trasparenza

Il COVID-19 ha prodotto un effetto che potremmo definire ‘trasparenza’. Ha reso infatti trasparenti le dinamiche di insegnamento-apprendimento portando nelle case dei bambini e delle bambine ragazzi e delle ragazze quanto già avveniva nel chiuso delle aule: lezioni frontali seguite da interrogazioni da un lato, una didattica attiva e laboratoriale dall’altro.

Contemporaneamente, la chiusura delle scuole ha reso trasparenti anche i contesti di vita dei nostri alunni nelle loro case: quello che conoscevamo solo per inferenza sulla realtà socioculturale di bambini e bambine si è mostrato in tutta la sua evidenza. In questa situazione, il nostro lavoro di insegnanti ha assunto i caratteri della sfida: è uscito dai binari della normalità e ha richiesto una sostanziale ristrutturazione di mezzi, linguaggi e anche di obiettivi. Abbiamo agito in un contesto di realtà, cercando di risolvere problemi complessi e nuovi. Esattamente come abbiamo chiesto di fare ai nostri alunni con la didattica per competenze.

Sfide

La didattica che resiste al COVID-19 è indubbiamente una didattica orientata allo sviluppo delle competenze. Le bambine e i bambini delle nostre classi sono stati chiamati a rispondere alle sfide più varie: dall’allestimento di una mostra online all’invenzione di una storia da rappresentare con un kamishibai[1]. Tutto, purché effettivamente realizzabile e destinato a interlocutori diversi dall’insegnante. La sfida, per definizione, non può essere autoreferenziale. Deve avere una dimensione ‘pubblica’, deve avere destinatari veri, in modo che possa essere un motore motivazionale. È capitato, per esempio, che alcuni bambini abbiano deciso di partecipare con un proprio contributo solo dopo aver visto il risultato del lavoro degli altri: erano i bambini più fragili, quelli con minori stimoli familiari.

Nel nostro caso, le sfide hanno assunto il carattere di una ‘bustina settimanale’: una lettera multimediale attraverso cui abbiamo suggerito le diverse fasi di lavoro: dalla visione di un cartone all’ascolto di un’audiofiaba, dalla lettura alla scrittura, da giochi di orientamento alla creazione di artefatti creativi, dal porre domande all’osservare l’ambiente intorno. Ne è emersa una proposta interdisciplinare e orientata al sostegno dei bambini e delle bambine nel loro impegno all’apprendimento.

Inclusione

Non bisogna confondere il concetto di sfida con quello ben più competitivo di gara. La differenza, per quanto sottile, è data dal concetto di inclusione. Le sfide didattiche sono strutturate affinché ogni bambino e ogni bambina possa ottenere risultati agendo nella propria zona di sviluppo prossimale. Così, la mostra online che abbiamo allestito mostrava la varietà delle opere diverse per ciascun bambino, mettendo in evidenza il percorso individuale di crescita e di impegno di ciascuno.

Dal dialogo avuto con i bambini e le bambine nelle videochiamate e dall’analisi dei diari di bordo da loro scritti, è emersa l’importanza di proporre ‘esperienze ottimali’ che puntino a uno stato di flow, uno stato emotivo positivo caratterizzato dal coinvolgimento totale nell’attività che si sta svolgendo. Esperienze dunque calibrate sul livello attuale di abilità di ogni alunno, per evitare sia la frustrazione sia la noia, e per portare tutti alla soddisfazione per lo sforzo fatto, oltre la fatica e la stanchezza. Con questi e altri accorgimenti siamo arrivati alla conclusione che una sfida ben calibrata può essere raccolta da tutti. Ciascuno a proprio modo.

Creatività

In tutto il percorso delineato fin qui, la creatività riveste una doppia importanza. Il concetto di sfida ha senso solo se a ogni alunno è garantito il diritto alla creatività delle soluzioni. Le proposte didattiche, da sviluppare in un periodo sufficientemente lungo di tempo, devono consentire diverse opzioni di scelta. Nessun compito che preveda una sola soluzione è creativo e –molto spesso – non si può definire neanche reale, visto che la dimensione del reale è normalmente complessa. Le opzioni di scelta che abbiamo proposto non hanno, però, riguardato solo il tema delle soluzioni dei problemi  posti, ma anche le piste per arrivare a tali soluzioni.

Così, per esempio, quando abbiamo chiesto di drammatizzare la fiaba su cui avevamo strutturato tutto il percorso della bustina, i bambini e le bambine hanno potuto scegliere come farlo: interpretando in prima persona, utilizzando il teatro delle ombre, rispolverando il kamishibai costruito in precedenza. Per arrivare alla rappresentazione, ognuno ha potuto scegliere quale percorso di lavoro svolgere: una pista più testuale, un approccio visivo o sonoro, una produzione grafica. Anche il grado di difficoltà da affrontare è stato affidato alla scelta dei bambini. È questa possibilità di scelta e di costruzione individuale dei percorsi che porta i bambini ad avere un approccio personale e creativo.

La creatività investe inevitabilmente anche il docente. In un modello di scuola inclusiva basato su sfide aperte che coinvolgano tutti, la progettazione didattica è un compito aperto, un problema da risolvere, spesso seguendo piste non ancora battute. Un approccio di questo tipo richiede di verificare ciò che abbiamo a disposizione nella nostra cassetta degli attrezzi, eliminare ciò che non serve e sostituirlo con nuovi strumenti. In definitiva, il dramma del COVID-19 ci impone di riprogettare la scuola e affinare i nostri strumenti. Chi lavora con i bambini non può rinunciare all’ottimismo, per quanto solo intenzionalmente. È, questa, una sfida da raccogliere con creatività, per non lasciare indietro nessuno.

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[1]  Il kamishibai in giapponese, significa teatro di carta ed è un modo di raccontare storie particolarmente popolare nel Giappone degli anni ’20 e ’30. Il racconto avviene con teatrini portatili, in legno o cartone, e tavole illustrate che vengono infilate e sfilate nel teatrino.

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Ivan Sciapeconi e Eva Pigliapoco Scuola Primaria – Modena