La neet generation o la generazione scoraggiata?

Le continue e frequenti difficoltà incontrate dai giovani con alto livello di istruzione, a fare il loro ingresso nel mondo del lavoro, mostrano più spesso situazioni di inattività.

Questa caratteristica è stata esaminata dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che l’ha classificata come Neet Generation: Not in Educational, Employment or Training, riferendosi alla fascia d’età 15-24 anni di giovani che non lavorano e non frequentano alcun corso di studi.

Anche la Commissione Europea ha acquisito questa definizione e nel 2010 ha creato una metodologia per indicare i NEET, linee guida e azioni rivolte sia ai neo-laureati alla ricerca della prima occupazione sia di inserimento in processi di istruzione e formazione (Commissione europea, 2010) sviluppando al contempo la cooperazione tra Stati membri e parti sociali.

Il termine NEET è stato posto anche come indicatore statistico nella Strategia Europa 2020 per misurare le dimensioni della popolazione NEET tra gli Stati membri e monitorare il tasso di disoccupazione sia generale sia giovanile. Pur essendo correlato concettualmente l’indicatore NEET differisce rispetto al tasso di disoccupazione giovanile.

Secondo l’ILO, il tasso di disoccupazione è una misura che esprime la quantità di soggetti che sono fuori dal mondo lavoro, ma che hanno cercato un lavoro nel mese precedente e sono disponibili a lavorare nelle prossime due settimane; registra la quota di popolazione economicamente attiva non in grado di trovare un lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile può essere ampliato, tenendo conto anche di quelli che escono dal mercato del lavoro per tornare in percorsi formazione oppure per non cercare un lavoro poiché crede di non trovarlo e quindi diventano economicamente inattivi e irrilevanti per il calcolo del tasso di disoccupazione (Eurofound, 2012).

L’indicatore costruito da Eurostat al numeratore fa riferimento ai disoccupati o inattivi secondo la definizione dell’ILO (Organizzazione Internazionale del lavoro) che dichiarano di non essere inserite in percorsi di istruzione o formazione nelle quattro settimane previ il sondaggio.

Il denominatore è costituito dalla classe di età e dal sesso, escludendo gli intervistati che non hanno risposto alla domanda sulla loro partecipazione percorsi di istruzione regolare e formazione. Il concetto di NEET nasce fine anni ‘80 nel Regno Unito, per classificare i soggetti tra i 16 e i 18 anni non inseriti né in percorsi di istruzione-formazione né nel mondo del lavoro e non beneficiari di sussidi di disoccupazione (Furlong, 2007).

Seguirono studi per monitorare il grado di vulnerabilità dei giovani nel mondo del lavoro che nel 1994 portarono alla definizione di “Status Zer0”, (Istance, Reers, Williamson, 1994). Il termine “Status Zer0” indicava l’assenza di esperienze lavorative o di istruzione e formazione, e “Status 1”, “Status 2” e “Status 3” indicavano i giovani di età superiore ai 16 anni, rispettivamente o inseriti in un percorso educativo, o in un percorso di formazione, o nel mondo del lavoro.

Nel 1999 il termine “Status Zer0” venne sostituito con quello di NEET per porre l’interesse sul carattere dissimile del gruppo in esame. I NEET si descrivono per il loro carattere eterogeneo, o sono disoccupati, o hanno disabilità, oppure sono quelli che dopo un’esperienza formativa decidono di aspettare per entrare nel mondo del lavoro, oppure sono quelli impegnati in altre attività di auto-apprendimento e sono accomunati dal fatto che si tratta di soggetti che non accumulano capitale umano tramite i canali formali (Eurofound, 2012 a, b).

Elemento non marginale è anche il quadro familiare che può avere una suo peso nel determinare il fenomeno. È opportuno segnalare che non vengono considerate le motivazioni volontarie o involontarie che hanno avviato il fenomeno e ciò secondo una visione olistica, va a inficiare le misure di politiche attive che si pensano e si creano per questi soggetti, poiché la loro disparità rispetto ai vincoli del mercato richiederebbe azioni di occupabilità più mirate. Infatti i giovani laddove manchi una domanda qualificata di lavoro, o quando i lavori sono difficili da trovare, possono decidere anche di restare in attesa di una offerta migliore per un tempo imprecisato (Reyneri, 2007); la tendenza in questi casi è quella di essere inattivi anziché disoccupati. Però la decisione di non attivarsi per la ricerca di una occupazione fa aumentare di più la probabilità di non riuscire a trovare un lavoro (Righi, Sciulli, 2008).

Questa direttrice su cui pare disporsi il fenomeno sta causando la diffusione di un altro tema, quello dei lavoratori scoraggiati[2]: ossia persone che pur essendo subito disponibili per il mondo del lavoro, non fanno azioni attive di ricerca del lavoro, poiché credono di non poterlo trovare, non essendo fiduciosi circa l’esito positivo della loro ricerca. Secondo il paradigma del “Lavoratore Scoraggiato” l’adesione al mercato del lavoro e l’occupazione (misurate rispettivamente tramite il tasso di attività e il tasso di occupazione), sarebbero legati da una rapporto di natura diretta.

In pratica al crescere dell’occupazione, aumenta la partecipazione al mercato del lavoro perché ci sono più individui si presentano sul mercato del lavoro, incoraggiati dalla fase di crescita. Al contrario, in condizioni di flessione dell’occupazione o di un suo andamento costante, gli individui “scoraggiati” dai lunghi periodi di vana ricerca di un’occupazione, smettono di cercarla uscendo dalle forze lavoro facendo ridurre così il tasso di attività (ultima consultazione Febbraio 2017).

I soggetti interessati in questa dinamica sono sempre più giovani e di sesso femminile con titoli di istruzione medio-alti. Lo scoraggiamento nel medio e lungo periodo potrebbe determinare l’esclusione e l’emarginazione sociale (Pastore, 2011), creando esiti negativi che si autoalimentano e diventa più complesso dipanare il caso.

Bibliografia

– Commissione Europea (2010), Europe 2020: A strategy for smart, sustainable and inclusive growth, COM(2010) 2020 final, Bruxelles.

– Furlong Andy (2007), The zone of precariety and discourses of vulnerability: NEET in the UK, Journal of Social Sciences and Humanities, N. 381, pp. 101–121.

– Istance David, Rees Garet Williamson David (1994), Young people not in education, training or employment in South Glamorgan, South Glamorgan Training and Enterprise Council, Cardiff.

– Eurofound (2012 a), NEETs – Young people not in employment, education or training: Characteristics, costs and policy responses in Europe, Publications Office of the European Union, Luxembourg.

– Eurofound (2012 b), Recent policy developments related to those not in employment, education and training (NEETs), Eurofound, Dublino.

– Reyneri Emilio (2007), Lavoro e lavori nel contesto italiano in Perulli Adalberto (a cura di) (2007), Il futuro del lavoro, Macerata, Halley.

– Righi Alessandra, Sciulli Dario (2008), Durata dei processi di transizione scuola-lavoro: un confronto europeo, Roma, Istat.

– Pastore Francesco (2011), Fuori dal tunnel. Le difficili transizioni dalla scuola al lavoro in Italia e nel mondo, Torino, Giappichelli.

Antonella D’Apollo