Home » Studi e ricerche » Istruzione e formazione in Italia nel 53° rapporto Censis

Istruzione e formazione in Italia nel 53° rapporto Censis

Pubblicato il: 08/01/2020 17:34:42 -


Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Nel corso degli anni  il Rapporto sulla situazione sociale del paese del Censis, nel 2019 è il 53°,  fornisce un’ampia e documentata sintesi dei processi in corso e delle loro cause, più o meno remote, evidenziando prospettive, tendenze di sviluppo e/o regressive e affidando ad alcune suggestive metafore il compito di rendere leggibile e interpretabile la realtà del Paese.

Il bilancio del decennio 2010-20 registra i ricorrenti sintomi di rottura dei legami sociali, la persistente crisi occupazionale, la caduta del potere d’acquisto di individui e gruppi, la incapacità delle istituzioni nazionali e locali di rappresentare punti di riferimento solidi e credibili  per  i cittadini, mentre il territorio appare vulnerabile, materialmente “sbriciolabile e sbriciolato“ per incuria e fragilità di infrastrutture degne di questo nome. Un paese quindi socialmente “cattivo”, sempre più diseguale, abbandonato e privato di prospettive di crescita, mentre emerge chiara una volontà di lotta antisistema, che non può certo rappresentare nuove direzioni e prospettive. Ma a fianco a questa, che il rapporto chiama “compressione verso il basso”, si evidenziano reazioni positive di contrasto al  declino, che  permettono di intravedere forse possibili cambiamenti e nuove direzioni.

Fin dalle considerazioni generali si sviluppa quindi un’analisi, per un verso preoccupata e preoccupante di un paese sull’orlo dello sgretolamento, ma nello stesso tempo si registra che  “nella metabolizzazione del rancore sta l’esito del passato, nella reazione al lutto il principio del nuovo ciclo”. E’ proprio nella  tensione, tra  “il furore di vivere: la solitaria difesa di se stessi degli italiani” e “i grumi di nuovo sviluppo”, che si caratterizza la cifra  descrittiva di quanto  pare stia accadendo; per questo motivo il rapporto trova giustificazione, o forse fondamento, alla ricerca della soluzione  più pericolosa a tutti i problemi, la semplificazione estrema che aspira alla reductio ad unum del potere decisionale, ma registra anche elementi di “tenuta” in senso positivo.

La metafora proposta dal 53° rapporto è la “piastra” di sostegno, anzi cinque piastre, per essere precisi, che riassumono un quadro in cui al “franare“ verso il basso si sono opposte azioni ricostruttive ovvero anche solo di semplice “rattoppo”,  che non supportano ancora nuovi percorsi di crescita, ma indicano comunque la volontà di bloccare il declino e tentare vie di cambiamento.

La prima piastra: un sistema produttivo manifatturiero/ industriale capace di innovare e in parte trainare la crescita.

La seconda piastra: la solidità strutturale di alcune zone del paese [il nuovo triangolo industriale (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) e  fascia dorsale adriatica] con tassi di crescita di prodotti e consumi competitivi a livello Europeo, anche se a scapito di altre zone del paese.

La terza piastra: capacità di cogliere i problemi del clima, dell’ambiente e della necessità di tutela dei territori.

La quarta piastra viene suggerita con estrema cautela: parziale rimessa in circolazione del risparmio privato. La difficoltà interpretativa su questo punto nasce dal fatto che le famiglie tendono a persistere nel ricorso a risorse proprie, di fronte alla inadeguatezza di risorse pubbliche; è questa  percezione  di insicurezza che colloca ancora la “piastra del risparmio” entro la categoria della polizza assicurativa, più che in quella delle opportunità.

La quinta piastra: la valorizzazione della dimensione europea. Le difficoltà nazionali vengono sempre meno attribuite all’Europa e si nota un rinnovato impegno per la trasformazione di contenuti e di strumenti comunitari.

Qui la metafora si completa con la suggestiva immagine dei muretti in pietra a secco che caratterizzano il nostro paesaggio.

I processi formativi. Qualche piastrella (per restare nella metafora), debolmente incastrata nel contesto

L’introduzione della sezione opportunamente riprende un tema fondamentale: la valorizzazione del capitale umano attraverso l’istruzione e la formazione sono “diritto sociale” e precondizione per  interventi efficaci e significativi, garanzie di  prospettive  di positivo sviluppo nel tempo. Sono purtroppo le evidenti “disfunzioni strutturali” del sistema italiano che, proprio nel tempo, continuano a  rallentare , forse spesso a bloccare, lo sviluppo di un sistema educativo per tutte le tipologie di studenti, i cosiddetti in età, gli adulti, occupati o disoccupati, capace di rispondere alle domande di competenze e di capacità di agire con razionalità ed efficacia in una società complessa e in  un sistema produttivo che si sforza di restare al passo con le esigenze attuali. Da un lato infatti la domanda di lavoro sembra rivolgersi a competenze meno elevate, in controtendenza con la necessità di innovare produzione e lavoro per uno sviluppo sostenibile, mentre dall’altro, proprio la “scommessa sulle competenza”, può rappresentare un  argine di fronte ai  rischi di espulsione dal lavoro e/o di marginalizzazione entro nuove forme di sfruttamento  personale e di mortificazione di capacità lavorativa.

Nel novembre del 2017 l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa  hanno finalmente concluso il lungo processo di elaborazione  che ha portato alla sigla del documento “Il pilastro europeo dei diritti sociali”. La programmazione dei fondi strutturali 2017-2021 è quindi indirizzata  al sostegno delle  politiche di coesione sociale finalizzate  a garantire “diritto a istruzione, formazione e apprendimento permanente di qualità”, strumenti inclusivi  e necessari per consentire  acquisizione e mantenimento  di capacità di partecipazione piena alla società  e  di gestione della transizione verso il  mercato del lavoro.

Un brevissimo elenco  indica le sfide che il sistema italiano dovrà/dovrebbe affrontare, dando il senso dell’impegno che dovrà/ dovrebbe essere profuso:

  • contrasto dell’abbandono scolastico,
  • rafforzamento delle competenze di base (giovani e adulti),
  • percorsi di formazione accessibile ed inclusivi, che presentano le maggiori potenzialità di occupabilità per gruppi svantaggiati,
  • apprendimento permanente per adulti poco qualificati, aumentando le quote di partecipazione, che sono tra le più basse d’Europa,
  • adeguamento delle infrastrutture educative, per renderle più  sicure in un’ottica di sostenibilità,
  • ampliamento della istruzione terziaria, sia accademica che non accademica, aumentando l’offerta di quest’ultima di fronte agli elevati tassi di occupazione dei diplomati in alcuni settori.

Sarà capace la nostra deficitaria capacità amministrativa di gestire, indirizzare, monitorare e sostenere risorse mirate al raggiungimento di questi obiettivi?

Cinque focus descrivono i processi settoriali e restituiscono il quadro  attuale del sistema italiano attraverso le interviste che il Censis ha rivolto a 1012 dirigenti scolastici ( panel rappresentativo non in senso statistico, ma capace di reagire in presa diretta a quanto accade);  conclude questa parte il monitoraggio annuale completo di dati statistici  (Fonti Istat , Miur, Eurostat – 2018 )

 

La sostenibilità a scuola: un mondo in fermento.  L’etica ambientalista degli studenti sarebbe cresciuta (73,9% delle risposte) anche grazie all’«effetto Greta». Più della metà degli intervistati osserva che gli studenti partecipano alle proposte della scuola  e poco meno del 20% li vede soggetti attivi ( fanno  proposte e diffondono iniziative   che nascono fuori dalla scuola stessa). Più dell’80% delle scuole cerca di ridurre sprechi di materiali, di riutilizzare e riciclare i rifiuti. In più della metà delle scuole sono stati aboliti cibi preconfezionati (snack, merendine, bibite gassate, ecc.) o sono stati rimossi i distributori automatici, in più del 20% degli istituti si preparano le merende a scuola. Abolito l’uso della plastica,  si diffonde la  fornitura di borracce o l’installazione di distributori per l’acqua e pratiche diffuse quali  orti scolastici,  attività di giardinaggio e manutenzione del verde ( soprattutto nella scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado,).

Quando la scuola è inclusiva. Nell’anno scolastico 2018-2019 gli alunni stranieri sono 857.729 (+1,9% rispetto all’anno precedente) il 10% del totale. Il 63% di studenti straniere iscritti tra il 2003 e il 2007  sono non italiani di seconda generazione. Effetti positivi  si manifestano, anche se con molta lentezza, nei tassi di scolarità, in un’ accettabile regolarità degli studi e dei risultati. Il panel del  Censis valuta soddisfacente (90%) il livello di integrazione a scuola degli studenti stranieri, soprattutto  di quelli nati in Italia.  Laddove si sono verificati fatti di discriminazione ecc. sono stati sviluppati interventi mirati nelle classi interessate (45,5%)..

I candidati preferiti dalle imprese: non solo semplici diplomati. Le imprese preferiscono accogliere i diplomati di scuola secondaria di II grado. Nel 2018 i diplomati erano il 35% del totale di ingressi programmati da imprese dell’industria e dei servizi, quota superiore a quella dei  laureati, che sono solo il 12,1%. Il restante 52,9% di contratti di lavoro riguarda soggetti  con  titoli di studio di livello basso. Un’impresa su quattro (Nord-Est  è il  30,4%) ha difficoltà a trovare diplomati, che in alcune zone sono pochi o privi di competenze. Il 25% delle imprese cerca giovani che abbiano completato un percorso Its o Ifts (per alcuni indirizzi di studio viene superata la soglia del 30%). L’80% dei diplomati nei 139 corsi Its del 2017 ha trovato lavoro (il 90% di questi in un’area coerente col percorso formativo). Resta  sottodimensionata l’offerta: 2.601 diplomati Its nel 2017 a fronte di un bisogno di circa 400.000 (la quota di copertura dell’Its si attesta dunque su livelli inferiori all’1%).

La sfida della terza missione e le università italiane.  La crisi economica mondiale ha reso rapidamente urgente l’attuazione della terza missione della istituzioni accademiche: non solo insegnamento e ricerca, ma trasferimento di patrimoni di conoscenza, relazioni e servizi, “in primis” entro gli ambiti geografici in cui sono collocate. Il rapporto parla di  questa missione come  termine polisemico, che dovrebbe esprimere  lo sviluppo della ricerca in senso produttivo, e nello stesso tempo produrre beni fruibili dalla società (funzione culturale ed educativa,  sviluppo del lifelong learning, sperimentazione in ambito medico sanitario, gestione dei beni culturali,  impegno  nelle attività sociali). Si tratta di implementare  forme di coinvolgimento complesse, organicamente progettate e gestite a partire dai territori di riferimento  in una prospettiva globale. In Italia i percorsi volti alla definizione della terza missione sono ancora in larga misura in fieri, comunque la valutazione dell’Anvur, che colloca questo  indicatore entro le valutazioni standardizzate, presenta , un quadro di  iniziative interessanti sia in relazione al coinvolgimento degli atenei (85% degli atenei ha istituito forme di monitoraggio delle attività legate alla terza missione) sia alla sperimentazione di strutture di intermediazione (valorizzazione della ricerca interna, sostegno ad attività esterne, quali incubatori, parchi scientifici ecc.)

Giovani senza confini. Nel 2017 il 31,1% degli emigrati italiani, almeno 25 anni  di età, aveva   una laurea. Tra il 2013 e il 2017 è aumentato molto, non solo il numero dei laureati trasferiti all’estero (+41,8%), ma anche quello dei diplomati (+32,9%). A fronte di questo aumento si nota che (dati 2008 e il 2017) i saldi con l’estero di giovani 20-34enni con titoli di studio medio-alti sono negativi in tutte le regioni italiane. Le regioni  che evidenziano maggiormente  questo saldo negativo sono Lombardia (-24.000), Sicilia (-13.000), Veneto (-12.000), Lazio (-11.000) e Campania (-10.000).  Talora il Centro-Nord, (Lombardia ed Emilia Romagna), ha compensato con una migrazione qualificata dal Sud. Interessante lo studio della diversa motivazioni delle varie forme di emigrazione e lo studio di caso svolto nella regione Marche

Alcuni dati evidenziati dal monitoraggio annuale

Titolo di studio popolazione + 15 anni

Senza titolo o elementare Early school leaver (20-29) Diploma secondaria superiore laurea
17,2% 20-24anni 18,1% 30,6% (M32,1%F29,2%) 14,6%  MA

25-29 anni 27,5%

25-29 anni 19,6% 30-59 anni 19,2%

 

* Il dato complessivo dell’occupazione resta sostanzialmente stabile, rispetto al 2017, si registra un incremento dello 0,7% dei laureati, ma l’analisi del rapporto tra titolo di studio  e posizione lavorativa evidenzia il persistente  disallineamento tra titolo di studio e collocazione occupazionale.

* la decrescita delle iscrizioni a scuola corrisponde al calo demografico, soprattutto in alcune regioni.

* aumentano gli iscritti non italiani, soprattutto nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo della scuola.

* diminuiscono leggermente i NEET  -0,7% rispetto al 2014, sono comunque il 23,4% contro la media europea del 12,9% (-2,4%)

* partecipazione al lifelong learning (popolazione 25-64 anni)  8,1% (al sud 5,9%), la media europea è 11,1% (dato Eurostat – attività relativa alle 4 settimane precedenti l’intervista)

* spesa per R&S rispetto al PIL 2013 – 2017 : Italia 1,38% (+0,7%) Europa28 2,03 ( +0,2)

Vittoria Gallina

52 recommended

Rispondi

0 notes
1512 views
bookmark icon

Rispondi