Antiche ma attuali Memorie sperimentali

Un aspetto peculiare delle vicende storiche italiane (e non solo) degli anni Settanta, a volte sotto stimato, è l’esplosione di creatività e di inventività che ha permeato tanti settori della società. Il nuovo, il sorprendente, lo scarto rispetto alle abitudini più sedimentate, è stata la cifra culturale più rilevante di quell’epoca, che non ha coinvolto solo, come ovvio, i settori della vita artistica e intellettuale, ma la stessa vita civile ed economica. Le idee rivoluzionarie, allora così vive e presenti nelle giovani generazioni, erano tanto più apprezzate in quanto rompevano con il consueto, lo stabilito, lo sperimentato. Queste esplosioni di creatività spesso sorgevano rapide e spesso altrettanto rapidamente si esaurivano; in altri casi si sedimentavano in progetti di più lungo corso: mi viene qui da citare la comunità Saman, fondata da Mauro Rostagno in Sicilia nel 1981.

 

Tuttavia, anche nel caso di progetti più sedimentati e articolati, la circolazione della documentazione è rimasta spesso scarsa e locale, limitata più o meno allo stesso entourage che promuoveva l’idea. I motivi di questo isolamento sono oggetto di dibattito: si discute infatti su quanto ciò sia dipeso dalla natura ‘estrema’ dell’innovazione e dal culto dell’alterità dei suoi proponenti, e quindi dalla sua non fruibilità in contesti diversi, e quanto dalla ‘ottusità’ del sistema culturale ed economico che circondava quella esperienza – circondava nel senso che spesso la isolava in una specie di cordone sanitario ben poco penetrabile –. Personalmente sono propenso a considerare un insieme delle due cause, anche perché l’una non esisterebbe senza l’altra.

Come è nato il progetto memorie sperimentali

Queste considerazioni forse permettono di capire meglio il progetto Memorie sperimentali portato avanti dal 2015 da alcuni ex-studenti ed ex-insegnanti (tra cui il sottoscritto) del Liceo Unitario Sperimentale di Roma, una maxisperimentazione (la prima in Italia, insieme ad altre tre) che iniziò nel 1970 e si concluse nel 1980 (ma le iscrizioni erano state chiuse tre anni prima) e che coinvolse circa 500 studenti e 50 insegnanti. L’idea di fondo è stata che una esperienza di scuola così particolare e significativa dovesse essere in qualche modo oggettivata, in modo da costituire un riferimento di studio per coloro (anche se pochi) che si interessano in modo non casuale ma professionale delle questioni della educazione e della sua storia in Italia. Può risultare sorprendente che questa iniziativa sia sorta a più di quarant’anni dalla fine di quella esperienza, ma tanto è stato necessario per maturare un allarme e una necessità: quella esperienza non doveva andare dispersa e finire con le esistenze dei suoi protagonisti perché, a giudizio di tutti coloro che hanno partecipato a questa attività di recupero della documentazione, quella esperienza è stata significativa su  tutti i principali temi dell’istruzione: l’organizzazione degli studi, l’articolazione delle opzioni disciplinari, i metodi di valutazione, la costruzione di una comunità educante, i rapporti tra le componenti, la libertà dell’insegnare e dell’apprendere. 

Su tutti questi temi, le riflessioni del gruppo di progetto per la raccolta della documentazione  del LUS non sono state affatto convergenti: in alcuni casi risultano fortemente critiche, in altri più inclini a sottolineare quanto quella esperienza potrebbe ancora essere utile e innovativa nell’attuale scuola.  Non si è nemmeno tutti allineati nella spiegazione del fallimento (ossia, più prosaicamente, della fine) del progetto: fu soprattutto l’eccezionalità estrema della proposta a renderla non praticabile oppure fu la resilienza del sistema (come spiega bene Michela Mayer nell’articolo accanto) a piegare in modo definitivo quell’idea nuova di scuola? Ma, al di là delle divergenze di interpretazione, una considerazione ha accumunato tutti i protagonisti del progetto: quella del LUS è stata un’esperienza importante, intelligente frutto della creatività dell’epoca (e non del tutto estemporanea, viste le competenze educative di alcuni suoi docenti del tempo) e che a tutti è sembrato urgente fissare nella memoria collettiva.

Il progetto delle Memorie sperimentali  è stato impostato e iniziato  dal Circolo Gianni Bosio che, oltre a rappresentare  il principale centro di raccolta italiano della musica e della cultura popolare, da molti anni svolge anche una intensa attività (in appositi fondi) di archiviazione  di materiali di storia sociale italiana degli ultimi decenni, Così è partito sia un lavoro di ricognizione e recupero della documentazione giacente presso molti dei protagonisti di allora, sia una raccolta di interviste (audio o video) degli stessi protagonisti dell’epoca. Alcune decine  di ex docenti, ex studenti e loro genitori hanno fornito la documentazione prodotta da quella esperienza, che è stata catalogata e classificata secondo vari filoni documentari: decreti ministeriali e documentazione ufficiale della sperimentazione; documenti politici legati all’esperienza del LUS; organizzazione e gestione della scuola; didattica (a sua volta suddivisa in programmazione, valutazione, materiali e strumenti, prodotti didattici); memorialistica; articoli di stampa sull’esperienza. Finora  sono stati raccolti circa 500 documenti, risalenti per lo più al periodo 1973-1976.

Nello stesso tempo sono state realizzate 67 interviste, per un totale di 85 (53 femmine e 32 maschi) intervistati (alcune interviste erano di gruppo) che coprono complessivamente circa 75 ore. Sono stati intervistati 47 alunni, 19 genitori, 17 professori, 1 del personale ausiliario, 1 segretaria. Estratti delle interviste sono confluiti in un video della durata di circa 35 minuti.

Al termine della raccolta del materiale, coordinata in modo ‘feroce’ e impeccabile da una ex-allieva, Fiammetta Formentini, è scaturita la decisione di presentare al pubblico il frutto di questo lavoro collettivo. È la prima uscita ufficiale verso ‘l’esterno’ di quella esperienza dopo la sua chiusura e ha un valore emblematico perché cade in un momento storico in cui è in discussione l’importanza sociale della scuola. Il presupposto è che per conservare tale importanza non si deve racchiudere l’istruzione nei suoi valori tradizionali (per di più spesso storicamente inesistenti e inventati da coloro che li propugnano) quando spingerla oltre i traguardi consueti, rompere gli schemi, reinventarsi obiettivi e modi di funzionamento, come tentarono di fare, con tante contraddizioni ma anche con un’insopprimibile e sana voglia di cambiamento, quei giovani docenti e quei giovanissimi studenti di tanti anni fa.

 

Andrea Turchi