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“Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020”

Pubblicato il: 21/10/2015 16:19:40 -


Intervista a Giorgio Allulli
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“Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020”: questo il titolo dello studio di G. Allulli presentato presso Isfol il 2 ottobre 2015. Si tratta di un lavoro interessante e molto utile che legge in modo sistematico le politiche europee relative all’educazione e alla formazione secondo quattro assi principali: gli indirizzi politici e il loro sviluppo. La fissazione di benchmark. Il dibattito e le decisioni assunte in relazione all’EQF, le raccomandazioni riferite della formazione alla qualità ed al riconoscimento dei crediti. L’impatto della produzione legislativa europea sulle politiche formative degli stati membri (un focus riguarda l’Italia) e le novità contenute nella programmazione del Fondo Sociale Europeo 2014-020.

D. L’introduzione di benchmark è stata una scelta molto importante nell’indirizzare il lavoro dei singoli paesi, puoi indicare quali sono stati i vantaggi, ma anche i rischi, presenti nell’adozione di questi?

R. Il ricorso agli indicatori per fissare gli obiettivi da raggiungere presenta diversi aspetti positivi ma anche alcuni aspetti critici. In particolare gli indicatori presentano i seguenti vantaggi:

* obbligano i decisori politici a stabilire i loro obiettivi e le loro priorità, rendendo trasparenti gli obiettivi della propria azione politica;

* costringono i decisori a operazionalizzare gli obiettivi, in modo che possano essere misurabili;

* consentono il confronto ed il benchmarking: l’indicatore permette di confrontare situazioni diverse e di individuare punti di riferimento che vengono fissati come mete da raggiungere; *consentono un monitoraggio obiettivo – l’individuazione di parametri precisi di riferimento consente di evitare (o di ridurre) la soggettività del giudizio;

* permettono di incentivare coloro che ottengono risultati migliori e di sostenere chi sta in difficoltà – la maggiore trasparenza assicurata dall’indicatore permette di individuare più facilmente aree di eccellenza ed aree di criticità e dunque di adottare politiche premiali o compensative;

* forniscono un solido punto di partenza per la valutazione – senza una base quantitativa qualunque attività di valutazione rischia di cadere nella soggettività; è opportuno però ricordare che la valutazione non si esaurisce nell’analisi quantitativa, perché deve essere sempre integrata con un’analisi di tipo qualitativo.

D’altra parte l’utilizzo di indicatori per definire gli obiettivi da raggiungere non è privo di pericoli; infatti un uso inappropriato degli indicatori può far emergere alcuni effetti inattesi:

* la necessità di stabilire mete misurabili rischia di far concentrare l’attenzione solo sugli obiettivi più banali – infatti talvolta vengono scelti gli indicatori per i quali esistono dati disponibili, o più facilmente collezionabili, trascurando aspetti più complessi;

* spesso si richiede di raccogliere grandi quantità di dati per monitorare i risultati – questo accresce l’aggravio burocratico, procurando la cosiddetta “molestia statistica” alle strutture soggette a monitoraggio o valutazione;

* il confronto tra situazioni diverse senza tener conto del contesto potrebbe essere scorretto – talvolta i confronti che vengono condotti non tengono conto delle differenze esistenti tra i vari contesti;

* l’enfasi sugli indicatori potrebbe far mettere in secondo piano l’analisi qualitativa;

* i finanziamenti assegnati sulla base di risultati quantitativi potrebbero creare degli effetti perversi: se ad esempio vengono introdotti premi per le scuole che fanno registrare un basso tasso di abbandono, le scuole saranno tentate dal selezionare gli alunni in partenza, in modo da accogliere solo quelli più bravi e motivati, oppure potrebbero abbassare gli standard da raggiungere in modo da facilitare la frequenza.

Occorre infine osservare che la modifica di un sistema complesso come quello educativo non si realizza in un tempo ridotto; la misurazione dell’impatto di una politica educativa sul sistema potrebbe richiedere tempi anche lunghi. Pertanto sarebbe opportuno utilizzare anche gli indicatori di processo, che permettono di verificare in che modo la politica viene applicata sul sistema; infatti, prima di concludere che un processo riformatore ha prodotto o meno i risultati attesi occorre aspettare un congruo lasso di tempo.

D. A tuo avviso, l’Italia riesce ad adeguare il sistema di istruzione/formazione alle indicazioni europee o restano ancora grandi distanze

?

La posizione dell’Italia appare sempre critica, perché la quota di giovani che presentano bassi livelli di apprendimento risulta superiore alla media europea, così come più alto (17,1%) è il numero di giovani che escono precocemente dal percorso scolastico. La quota di adulti che partecipa alla formazione permanente è più bassa (il 6,2%), e molto più bassa la percentuale di laureati (22,4% contro 36,9%), anche se alti sono i tassi di disoccupazione. La spesa pubblica per l’istruzione è molto bassa, in particolare a livello universitario. La distanza che ci separa dai benchmark europei è dunque notevole, ma al di là dei numeri dobbiamo risolvere alcuni interrogativi importanti:

* Il primo riguarda l’effettiva capacità del sistema produttivo pubblico e privato di utilizzare e valorizzare il capitale umano a disposizione. Nonostante le molte affermazioni retoriche che si leggono e si ascoltano, i dati a disposizione indicano che non solo l’investimento pubblico e privato nei confronti della formazione è piuttosto basso ma anche che le risorse umane, laddove esistono, vengono spesso poco valorizzate ed i percorsi seguiti per la loro selezione e valorizzazione seguono logiche ben diverse da quelle del riconoscimento delle capacità e delle competenze individuali.

* Il secondo riguarda le perduranti difficoltà di dialogo tra i vari sottosistemi della formazione: quello universitario, quello scolastico e quello professionalizzante. Differenze istituzionali, legate al diverso quadro di governo, differenze culturali, legate all’eredità di tradizioni secolari, ma anche differenze oggettive, legate ad obiettivi oggettivamente peculiari di ciascun sottosistema rendono problematica l’organizzazione di un sistema unitario e senza barriere interne.

* Il terzo interrogativo riguarda la declinazione operativa di alcuni concetti chiave, come quello di competenza o quello di credito, la cui applicazione nei diversi sottosistemi incontra a volte difficoltà pratiche difficilmente sormontabili.

* Il quarto interrogativo riguarda l’esigenza di rimuovere i condizionamenti culturali e sociali che impediscono ad una buona parte della popolazione, quella meno istruita e che maggiormente ne avrebbe invece bisogno, di inserirsi in una logica di aggiornamento ed allargamento continuo delle proprie conoscenze e competenze.

Per approfondire:

Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020

Vittoria Gallina

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