Miracoli ordinari

Quel concorso Carlo non lo avrebbe mai fatto; anzi, per la verità, se fosse dipeso da lui non ne avrebbe mai conosciuto neppure l’esistenza. Tuttavia non gli fu difficile superarlo e si ritrovò a settembre con il suo incarico di maestro elementare, con sede provvisoria una storica scuola elementare di Genova-Sampierdarena.

Il Direttore sembrava proprio uscito da una pagina di De Amicis. Alto, verso i 60 anni, leggermente curvo con gli occhiali calati sul naso. Gli chiese di eventuali sue esperienze di insegnamento e, alla sua risposta negativa, si dilungò in una serie di consigli: non dare troppa confidenza ai genitori che stanno sempre più diventando invadenti, rispettare rigorosamente gli orari, fare affidamento sui docenti più anziani, compilare tutti i modelli della segreteria e soprattutto disciplina, molta disciplina con i bambini,

Quel primo ottobre, alle sette e trenta, quando Carlo chiuse la porta dell’aula e si voltò nell’improvviso silenzio verso i bambini, rimase stupefatto. Quegli sguardi erano insieme un abbraccio, una richiesta, un grido sommesso, una speranza, una paura.

Ma soprattutto ogni sguardo sembrava dire a Carlo: ora tutto dipende da te. Carlo avvertì una emozione profonda e gli venne naturale dire “bene, visto che stiamo per iniziare insieme questo bellissimo viaggio, vogliamo farci un bell’applauso di benvenuto?” e scoppiò fragoroso e lungo l’applauso di quelle piccole mani.

Il lavoro procedeva speditamente; Carlo aveva nel frattempo scoperto le nuove tecniche didattiche di Bruno Ciari, un maestro che in Toscana cercava di realizzare una scuola a tempo pieno in cui non c’era più lo scorrere burocratico del libro di testo ma la predisposizione attenta di materiali e tecniche pensate per valorizzare al meglio le capacità dei bambini.

La classe non assomigliava più a una camerata di ospedale, ma era un unico spazio dove in diversi angoli i bambini potevano trovare strumenti per lavorare; tutto andava usato ma tutto doveva essere sempre tenuto in ordine, pronto ad essere usato da un altro. Ed era sorprendente vedere la risposta di questi bambini fatta insieme di impegno ed entusiasmo, di fatica e soddisfazione.

Carlo era proprio contento ma un pensiero lo tormentava ogni giorno. In classe c’era Teresa, una bambina molto magra, taciturna, rigida e impacciata nei movimenti. Il suo viso tradiva alcune contrazioni frequenti e il suo tratto di penna era marcatissimo, duro, geometrico. Anche nel disegno quei tratti non si modificavano. Come tutti i bambini di allora, anche Teresa usava i pennarelli e riempiva fitto fitto ogni spazio con i suoi tratti ostinati ed eguali.

Quella mattina Carlo portò con sé una bellissima scatola di matite colorate. Teresa le guardò perplessa; ne prese una, due; lo spessore della carta quasi cedeva alla forza dei suoi tratti. “Aspetta, le disse Carlo, le matite sono delicate come il colore, bisogna accarezzare il foglio, piano piano” e intanto, tenendole la mano, tratteggiava delicatamente. La mano di Teresa cominciò pian piano a distendersi; si era fatta morbida, delicata e seguiva con tranquillità la matita. Più colorava, più il suo volto sembrava illuminarsi ed insieme distendersi; la durezza dei lineamenti si era sciolta e un sorriso delicato le riempiva il viso. “Questo mare è bellissimo”, esclamò Carlo che sollevò il foglio per farlo vedere a tutti i bambini. Scoppiò un applauso fragoroso e Carlo accarezzò Teresa. “Sei stata bravissima”, le disse, mentre Teresa tradiva un evidente rossore. Quel mare così pieno di tinte tenui e forti, di tanti colori, aveva spazzato via un incubo misterioso.

Questa è la scuola vera, quella di cui la stampa non vuole o non è in grado di parlare. Un luogo dove certo si muovono docenti che a un certo punto della loro anzianità di carriera non ce la fanno più. Una scuola oppressa ancora da circolari e decreti, da tagli e riduzione di risorse che scoraggiano chi vi lavora.

Ma quando questi insegnanti sono di fronte ai loro ragazzi, si accende una straordinaria passione che non guarda né all’orologio né al salario. Questa scuola non fa notizia, resta nel segreto delle aule e delle storie individuali e anonime di tanti insegnanti e presidi. Storie che a volte rinascono, improvvisamente, quando un maestro o un professore incontra un ex alunno; e in quegli abbracci c’è il significato di tanti segreti mai raccontati perché non avrebbero fatto notizia o, forse, sarebbero stati sepolti da una inutile retorica.

Estratto da un racconto contenuto nel libro “Educo ergo sum”, di Dario Missaglia, 2010, Ediesse.

Dario Missaglia