Meno laureati, minor crescita: crollano le iscrizioni all’università. Perché?

I dati del Sistema informativo Excelsior (monitoraggio Unioncamere e Ministero del Lavoro) prevedevano 750mila entrate complessive nel mercato del lavoro nel 2013 tra lavoratori dipendenti, collaboratori e altre tipologie contrattuali (112mila in meno rispetto al 2012).
Queste assunzioni sono così ripartite:
– 563.400 lavoratori dipendenti (367.500 non stagionali e 196mila stagionali);
– 85.000 interinali;
– 65.700 collaboratori a progetto;
– 35.300 collaboratori a Partita Iva e occasionali.

La richiesta riguarda soprattutto personale facilmente integrabile, just in time, nel processo produttivo; questa la ragione per cui gli under 30 sono meno ricercati.

Le 750mila entrate complessive non compenseranno il milione di uscite perviste per il 2013 (saldo in negativo di 250mila unità).
La quasi totalità della riduzione del personale riguarderà i lavoratori dipendenti stagionali, non stagionali e interinali (il bilancio tra entrate e uscite previste ammonta a meno 254mila). Si riducono anche di 6.500 unità i collaboratori a progetto, mentre il saldo positivo riguarda 10.500 posizioni di collaboratori con Partita Iva e occasionali.

Le assunzioni riguardano prevalentemente imprese esportatrici e quelle innovatrici nei seguenti settori (in ordine):
– macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto (il settore più accogliente);
– servizi informatici e telecomunicazioni,
– istruzione e servizi formativi privati;
– servizi avanzati di supporto alle imprese;
– servizi sanitari e socio-assistenziali privati.

In calo risultano, invece:
– servizi culturali, sportivi e altri servizi alle persone;
– costruzioni;
– commercio al dettaglio;
– servizi operativi generici per imprese e per persone;
– alloggio, ristorazione e servizi turistici.

Si mantiene l’orientamento ad assumere donne, non si privilegiano gli under 30 e diminuiscono gli stranieri.

“Datagiovani” elabora i dati MIUR (agosto 2013) sull’andamento delle immatricolazioni alle università Italiane negli ultimi 5 anni ed evidenzia gli effetti della recessione sulle decisioni dei giovani di scegliere il proseguimento degli studi dopo il diploma:12% in meno gli iscritti in totale (di questi il 20% risiede al Sud).

L’effetto della recessione in atto e del progressivo restringimento di risorse degli atenei e degli interventi di supporto agli studenti porta responsabilità pesanti sulla tendenza negativa a non impegnare risorse individuali e familiari nell’istruzione terziaria.

Un’analisi più precisa dell’andamento delle iscrizioni negli ultimi 5 anni (dal 2008 al 2013, dall’inizio della crisi a oggi), disarticolata per Corso di laurea, consente tuttavia qualche considerazione in più.

Le scelte dei giovani sembrano rivolgersi ai Corsi di laurea che appaiono più vicini alle richieste del mercato del lavoro.
In 5 anni i Corsi scientifici perdono lo 0,2% degli immatricolati, mentre l’area sociale perde il 20% di studenti; le materie umanistiche l’11,9% e le sanitarie il 18,7%.

Crescono scienze agrarie, forestali e alimentari (+45%), scienze e tecnologie fisiche (+25%) e ingegneria industriale (+19%).
Il solo indirizzo umanistico che regge è quello di lingue e culture moderne +16%, mentre tecnologie chimiche registra un +10% e ingegneria dell’informazione un +8%, confermando il trend.

Gli esperti di “Datagiovani” mettono in luce la relativa attrattività del “settore privato, – ancora meglio se di tipo industriale e con lo sguardo verso l’estero” – e l’abbandono di Corsi di laurea come architettura e ingegneria edile (-37%) e farmacia (-34%), che si riferiscono a settori economici oggi fermi, cui si aggiungono le difficoltà di accesso all’esercizio delle professioni.

Il problema italiano è sempre lo stesso: i laureati sono sempre di meno in un paese che è già il fanalino di coda in Europa, la crisi accentua il fenomeno e i giovani cercano soluzioni di buon senso.

Ma bastano queste considerazioni?

Il primo numero di “Scuola Democratica” (gennaio/aprile 2013) contiene alcuni contributi importanti (G. Martinotti, R. Moscati, D. Checchi, G. Luzzato, A. Cammelli), che ribadiscono la necessità di porre la questione dell’aggancio all’Europa non solo in termini quantitativi –in questo la partita è per ora persa –, ma soprattutto in termini qualitativi.

Il problema, infatti, non può e non deve essere visto solo “dentro” l’università, ma prima di tutto nella scuola – l’iscrizione ai percorsi terziari dipende da una scuola che non disperde i giovani e non li seleziona troppo precocemente –, poi nel sostegno che il sistema paese nel suo complesso riesce a offrire alle scelte individuali dei giovani attraverso supporti economici adeguati e nella capacità di costruire prospettive che non si fermino al “hic et nunc”.

La situazione è ben sintetizzata nel titolo del contributo di G. Luzzzato “Laureati: ne occorrono di più, a meno che il paese rinunci a essere innovativo”.

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Vittoria Gallina