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Lavorare in rete in contesti interculturali. Un’esperienza piena di sorprese

Pubblicato il: 21/11/2011 18:17:49 -


In un contesto caratterizzato da una significativa presenza di alunni con cittadinanza non italiana, la scuola quasi fatalmente scope risorse e potenzialità nuove: essa infatti da un lato diventa un luogo in cui spontaneamente si avviano processi di incontro e contaminazione; dall’altro diviene un’occasione per sperimentare progetti in rete che possano individuare percorsi educativi differenti. Una esperienza presentata al 2° convegno di Education 2.0.
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Ogni anno nel nostro istituto – I.C. ‘Daniele Manin’ di Roma – progettiamo percorsi educativi interculturali che coinvolgono molte classi della scuola e che riusciamo a realizzare grazie alla collaborazione delle associazioni di territorio, all’appoggio degli enti locali, alla attiva partecipazione delle comunità migranti e delle famiglie.

L’opportunità di volgere la nostra attenzione a percorsi interculturali ha molto a che vedere con il contesto educativo all’interno del quale lavoriamo e con gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere; obiettivi, che, come sempre accade, costituiscono la risposta alle esigenze della scuola e degli alunni.

Ora, nell’elaborazione della nostra progettualità, siamo partiti da un’analisi di contesto avviata semplicemente assumendo un’evidenza: la significativa presenza di alunni migranti nella nostra scuola, che nel 2009 era pari al 66% della popolazione scolastica totale. Si tratta di un dato che possiamo definire incongruo rispetto alla popolazione del bacino d’utenza della scuola. I dati forniti dal primo municipio, infatti, ci dicono che la popolazione migrante presente sul territorio è pari a circa il 40% degli abitanti. Quindi, è evidente che nella scuola primaria ‘Di Donato’ siamo di fronte a un contesto ‘polarizzato’ , cioè a uno di quei fenomeni che rendono una scuola altamente caratterizzata da un elemento specifico. Poiché l’elemento che caratterizza la ‘Di Donato’ è l’alta percentuale di alunni migranti, spesso si è parlato della nostra scuola come di una ‘scuola ghetto’, immagine implicitamente legata all’idea di un luogo all’interno del quale non solo è difficile la socializzazione, ma è anche a rischio il rendimento strettamente didattico.

A partire da qui, ci siamo dati due principali obiettivi: recuperare la fiducia dell’utenza ‘italiana’ trasformando l’apparente svantaggio del contesto multietnico in opportunità; e individuare percorsi per la costituzione del sé in quanto soggetti pluridentitari lavorando sul superamento dello stereotipo e del senso di estraneità verso la cultura altra. Bisognava, quindi, da un lato ridefinire i rapporti con il territorio per elaborare i timori dell’utenza coinvolgendola direttamente all’interno dell’esperienza scolastica; dall’altra creare occasioni di ascolto significavo e racconto delle proprie appartenenze allargando la gamma dei linguaggi all’espressività tout court.

Ciò che mi sembra importante sottolineare è che questi obiettivi, pensati per avviare un percorso rivolto a alunni e genitori, hanno ‘agito’ anche su noi insegnanti che, dopo diversi anni di lavoro aperto al territorio e al confronto diretto con i diversi attori del processo educativo, abbiamo inaspettatamente ridefinito la nostra idea di scuola. Per molti di noi, infatti, fare scuola oggi significa lavorare cercando sinergie positive con genitori, associazioni, enti, comunità migranti; significa collocarsi all’interno di circoli virtuosi che ci permettono di ridisegnare alcune delle dinamiche legate alla rigida definizione di ruoli e compiti; significa riuscire a pianificare attività laboratoriali intercettando anche le esigenze esterne al contesto strettamente scolastico; significa, lavorare secondo dinamiche reticolari e non gerarchiche che mirano alla valorizzazione delle competenza individuali all’interno delle diverse progettualità; vuol dire, infine, ripensare la stessa nozione di ‘straniero’, parola per noi oggi divenuta problematica, cercandone nuove connotazioni.

Uno dei progetti la cui pianificazione e realizzazione è stata possibile, proprio a partire dalla ‘rete’ è intitolato ‘Incontriamo i paesi del mondo’. Si tratta di un progetto che va avanti dal 2007 e che è dedicato ogni anno ad uno dei paesi degli alunni che ospitiamo. Il progetto, infatti, nasce dall’esigenza di riconoscere e valorizzare le varie culture di appartenenza, attraverso un percorso che non sia interno alle classi ma condiviso dall’istituzione scolastica.

In particolare, nel 2007 abbiamo approfondito la conoscenza delle Cina, festeggiando il Capodanno cinese lungo le vie e le piazze del quartiere insieme alle comunità presenti nel territorio; l’anno successivo è stata la volta del Capodanno iraniano, venendo a contatto con le tradizioni e le usanze tipiche della cultura persiana attraverso la mediazione delle famiglie della scuola; nel 2009 ci siamo occupati del Bangladesh, condividendo con il Museo d’Arte Orientale e Mediazione Sociale un percorso che per la prima volta abbiamo documentato realizzando un CD-R insieme ai bambini; infine, l’anno scorso ci siamo dedicati all’Africa sub-sahariana concludendo il lavoro con una manifestazione che ha coinvolto simultaneamente tutte le classi della scuola (e non solo, quindi, quelle partecipanti), i genitori, le insegnati e le varie associazioni che avevano collaborato alla realizzazione dell’intero progetto. Per quest’anno scolastico ci stiamo organizzando per lavorare sulle Filippine e stiamo di nuovo preparando la ‘rete’ approfittando delle opportunità che i contesti educativi non formali e informali ci offrono per ampliare la nostra progettualità.

Rispetto a questa modalità di lavoro, due le riflessioni che mi preme restituire.

Innanzitutto, va detto che questi progetti sono a costo zero per le famiglie dei bambini che vi partecipano. Gran parte del lavoro è infatti svolto a titolo gratuito dai singoli operatori dei vari enti o associazioni, e, in ogni caso, i finanziamenti che la scuola ha messo a disposizione per la prima volta l’anno scorso per lavorare sull’Africa sono stati residuali. Per il progetto di quest’anno sulle Filippine, abbiamo chiesto un finanziamento al Comune ma ancora attendiamo la risposta.

L’altra riflessione riguarda il livello di adesione e collaborazione tra le parti coinvolte (scuola, genitori, associazioni, enti, ecc). Quando abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto non ci aspettavamo che il grado di cooperazione si sarebbe talmente rafforzato da permetterci di ampliare e ridisegnare i nostri interventi educativi. L’interesse dimostrato da tutti, unito ad una forte carica di entusiasmo, partecipazione e passione, ci ha infatti trascinato, con piacevole sorpresa, ben oltre le nostre aspettative, dando maggior significato al nostro ruolo di educatori e una maggiore carica emotiva al nostro impegno. Un impegno che va ben oltre il recinto degli obiettivi istituzionali della scuola. Nella nostra progettualità, infatti, c’è in gioco la possibilità di sperimentare nuove modalità di educare alla cittadinanza e nuovi modelli di convivenza democratica, che sembrano orientarci verso la consapevole realizzazione di una comunità ospitale, ospitante e amichevole.

ENGLISH ABSTRACT
In a context with a lot of pupils without Italian citizenship, the school discovers new resources and possibilities: it becomes a place of meetings and ‘contamination’, as well as an occasion to experiment with projects of different educational courses.

Miriam Iacomini

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