Il fascino del cunto, ovvero del racconto

“Una vita compiuta prova a rispondere a una chiamata: che cosa puoi essere o fare solo tu?” Gli antichi lo chiamavano destino,  Alessandro D’Avenia preferisce chiamarlo “destinazione, una libera risposta a ciò che la vita offre e che brilla già nell’infanzia”[1].

A partire da questa premessa, mi fa piacere raccontare la storia dell’incontro in Sicilia di due figli d’arte, che hanno saputo arrivare alla loro arte non in quanto figli di qualcuno, ma con una libera risposta animata da serietà, dedizione, impegno e passione. Due “destinazioni”, che armoniosamente si fondono per dare vita a un nuovo cunto, un originale e avvincente racconto, capace di catturare lo spettatore, che ne coglie le emozioni e ne vive le vibrazioni.

Quando si trasferisce per lavoro in Sicilia – approdo e rifugio di divinità e di eroi, terra che si nutre dei miti e delle leggende, in uno straniamento magico e felice che tanto piaceva ai Greci[2]la regista e saggista Giovanna Taviani conosce Mimmo Cuticchio, ultimo cuntista e puparo vivente, erede dell’Opera dei Pupi, che sopravvive grazie a lui e alla sua scuola e che l’UNESCO ha definito capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’Umanità[3].

Nato all’interno del teatro,  fin da piccolo Mimmo conosce da vicino i principali protagonisti dell’opera, tanto che Orlando, Rinaldo, Bradamante, Astolfo e gli altri paladini e personaggi finiscono col divenire suoi zii, nonni, fratelli. Dopo i bombardamenti del 1943 fugge da Palermo con la sua famiglia,  portandosi  dietro quelle maschere vive che sono i Pupi, più di trecento marionette, veri e propri personaggi, quasi persone. Per Mimmo un tirocinio lungo oltre vent’anni, a fianco del padre: “I pupi sono vivi con tanto di nome e cognome. Ho fantasticato con loro; con loro ho riso e ho pianto”.

Giovanna, figlia di Vittorio e nipote di Paolo,  i “fratelli di cinema”, che scoprirono precocemente la loro vocazione e lasciarono gli studi universitari per la regia[4], ha affiancato alla ricerca letteraria accademica gli studi sul cinema, debuttando agli inizi del Duemila come documentarista.

Quando arriva in Sicilia per lavoro, papà Vittorio è già malato; Giovanna si appassiona del mondo dei nuovi narratori orali, che si richiamano alla grande tradizione del cunto e dei cantastorie, e entra a farne parte.  Sale su un furgone rosso carico di Pupi, simile ai vecchi carretti siciliani del dopoguerra, che andavano in giro per l’isola a mostrare l’Opera dei Pupi al popolo di contadini e pescatori,  fa salire a bordo il cantastorie Mimmo e i suoi allievi e comincia le riprese di un viaggio personalissimo, Cuntami. Storie di canto magico[5] .

Il viaggio del furgone rosso parte da Palermo e attraversa i grandi spazi solitari della Sicilia, toccando cinque luoghi simbolici, ciascuno legato a una storia e a un grande narratore orale: il Teatro dei Pupi della Compagnia Figli d’Arte Cuticchio, la Partinico dell’attivista della non violenza Danilo Dolci, la baia di Enea, le ciminiere dell’industria petrolifera della costa ferita di Gela, i mulini a vento di Trapani, che intrecciano la loro storia con quella di Cervantes e di Don Chisciotte.

Scopo del viaggio non è soltanto quello di raccontare l’isola attraverso le sue storie popolari,  che tramandano l’epica del mito greco e del ciclo carolingio, ma anche narrare il presente, proponendo una chiave interpretativa contemporanea, che lega a doppio filo il mito e le storie epiche alla modernità e a tanti episodi di mafia[6].

Emerge così anche il messaggio di impegno e militanza civile, che contraddistingue cavalieri contemporanei, figure come quella di Peppino Impastato, che ruppe con il padre e iniziò la sua battaglia contro Cosa Nostra  attraverso l’emittente radiofonica Radio Aut, da lui fondata; e quella di Salvatore Carnevale detto Turiddu, il sindacalista ucciso nel 1955, perché aveva dato fastidio ai proprietari terrieri locali, difendendo i diritti dei braccianti agricoli.

Il viaggio, iniziato a Palermo, a Palermo si conclude,  ma la vita continua: così Giovanna Taviani svela un’ulteriore valenza del racconto come antidoto alla morte, perché raccontare ed ascoltare delle storie è l’unico modo per non sentirsi soli, vincere la morte e tramandare l’intima storia familiare a figli e nipoti.

Da piccola Giovanna raggiungeva a nuoto le grotte di Polifemo,  dove ascoltava incantata la voce di papà Vittorio che le raccontava le avventure di Ulisse. Questo è stato il suo rito di iniziazione alla potenza del racconto e del mito.

E il film si chiude proprio sotto la superficie di quel mare, dove i pupi e le loro storie affondano per tornare a riposare, tra le ceneri dei genitori di Giovanna, che non hanno mai smesso di raccontarle storie: “Io sono lo sguardo del film, la sua voce narrante, perché questo film è prima di tutto un mio cùnto di gioia e di dolore, dedicato alla mia infanzia e alla mia memoria. Un viaggio di formazione, che ha inizio nel liquido amniotico del ventre materno, e finisce sotto le viscere della terra, nelle profondità del mare, dove i miti del mio passato tornano a riposare in mezzo alle ceneri di mio padre e mia madre”.

Grazie a Palumbo Editore e all’infaticabile cura di Giovanna Taviani, ora il docufilm Cuntami è in tour nelle scuole e nelle università italiane da Gela alla Toscana.

Un’occasione da non perdere per avvicinare i ragazzi e le ragazze alla magia di questo racconto e intraprendere con loro anche un originale percorso di educazione civica di contrasto alle mafie, nel ricordo di vittime innocenti.

 

[1] A. D’AVENIA, Un calcio alla morte, in “Corriere della Sera”, 16 gennaio 2023.

[2] G. GUIDORIZZI-S. ROMANI, La Sicilia degli dei. Una guida mitologica, Raffaello Cortina Editore, 2022

[3] D. TOMASELLO,  Playtelling, Performance narrative nell’Italia contemporanea, Marsilio, 2021, con intervista a Mimmo Cuticchio e a Gaspare Balsamo

[4] M. BARABOTTI, R. BODE’, R. JOHNSON, B. NICCOLI, R. PERPIGNANI, Fratelli di cinema. Paolo e Vittorio Taviani in viaggio dietro una macchina da presa, Donzelli, 2014.

[5] Premio speciale nella categoria Nastri d’Argento sezione Docufilm alla 78ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia; premio della giuria del SNGCI per la sezione #Frame Italia  e Premio della giuria IULM al Festival Sguardi Altrove International Women’s Film Festival; Miglior film al Festival Cinema d’Idea di Roma, 2022.

[6] Per approfondire: G. C. CASELLI – G. LO FORTE, Parole contro la mafia, Piemme, 2022; G. C. CASELLI – G. LO FORTE, La giustizia conviene. Il valore delle regole raccontato ai ragazzi di ogni età , Piemme, 2021.

Spettacolo teatrale “I cento passi. La storia di Peppino impastato”, tratta dall’omonimo film di “I cento passi” diretto da Marco Tullio Giordana, e presentata dalla Compagnia Vicootto a Milano nel 2018.  Regia: Giacomo Liva, che interpreta Peppino Impastato. “Felicia Impastato”, film per la televisione  diretto da Gianfranco Albano.

“Cosa nostra spiegata ai bambini”, di Stefano Massini, con Ottavia Piccolo. Regia Sandra Mangini. Produzione Officine della Cultura.

 

 

Rita Bramante Già Dirigente scolastica, membro del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica