ClanDESTINI (quarantanovesima puntata)

L’ora dell’appuntamento con la vedova Argentino era ormai arrivata, il Generale guardò i due fascicoli che aveva davanti a sé sulla scrivania e storse la bocca. La morte del pentito Calogero Valaci e la strage del giudice Argentino e della sua scorta erano due episodi evidentemente legati tra loro, ma quell’evidenza era ancora oscura.

Qualcosa non quadrava ancora nel labirinto della sua logica investigativa: Valaci era stato ammazzato dall’agente Salvatore Macrì perché, pentito del suo pentimento, a pistola spianata, voleva aprirsi un varco, nella casa sicura dove lo avevano sistemato. Ma era morto prima di aver potuto incontrare il P.M., il suo era stato un pentimento allo stato embrionale, favorito dall’indiscutibile capacità di Hansen il quale, peraltro, non era riuscito, così aveva detto, a fargli uscire ancora niente di bocca. La ritorsione con l’incendio dell’ospedale dov’era ricoverato il figlio Totuccio aveva certamente gettato nel panico don Calogero.

I segreti di Valaci, il più importante braccio armato delle cosche, ormai riposavano con lui sottoterra… e allora perché uccidere quel pubblico ministero che quei segreti non aveva fatto a tempo a conoscere?

Chi poteva sentirsi minacciato da un pentimento muto, anzi abortito?

Eppure la contemporanea soppressione del pentito e del giudice sembrava dare il segno del suggello a tutta la vicenda… capitava spesso che la morte si presentasse come la parola definitiva. Il Generale mise ordine sulla sua scrivania, scuotendo la testa. La strage di tre servitori dello Stato non poteva restare impunita!

La mafia lo sapeva bene, se l’aveva compiuta doveva esserci una ragione molto più forte. Argentino, anche senza aver potuto incontrare Valaci, doveva essere al corrente di un’informazione pericolosa per le cosche. Valaci aveva trascinato Argentino nella tomba, ma come era potuto avvenire?
Hansen era in prima linea, in mare aperto e Macrì, prima di seguirlo in Africa, non aveva saputo rispondere a quella sua pressante domanda.
Per questo il Generale, visto che le indagini ufficiali della Procura brancolavano nel buio, aveva deciso di leggere le carte con la sua personale lente d’ingrandimento.

E, per questo, con diplomatica gentilezza aveva fatto accompagnare a Roma la vedova del giudice Argentino e la stava aspettando. Se quella vicenda nascondeva qualcosa di meno evidente, lui doveva scoprirlo: perché un segreto prima va svelato e poi custodito. Questo era la sua regola aurea!

Ada Argentino era vestita di nero, aveva un fascino discreto e uno sguardo inquieto, quando entrò nella stanza e gli si sedette davanti non smise di tenere gli occhi fissi su di lui.

“Mi scuso per questa convocazione, signora,” esordì il Generale colpito da quello sguardo “mi rendo conto che è stata già ascoltata dai colleghi di suo marito e che un’ulteriore ricostruzione dei fatti sia per lei un disagio insopportabile… ma, come saprà, le indagini sono in una fase di stallo altrettanto insopportabile.”

La donna distese i lineamenti contratti del volto “Proprio così, generale, dopo che è stato ritrovato sgozzato, in una zona tra Montelusa e il porto, un killer della mafia dalla cui balestra erano partiti i dardi contro l’auto blindata di mio marito, le indagini sui mandanti non hanno fatto nessun passo in avanti. Sembra che non indaghino neanche più, ormai, ed è questa circostanza che mi ha convinto ad aderire al suo invito… anche se credo che quest’incontro non sarà di reciproca utilità.”

Il Generale ignorò quest’ultima frase e indicò uno dei due fascicoli sul tavolo “La borsa di suo marito è scomparsa dal luogo della strage, certamente portata via dal killer. Dunque si può ipotizzare che abbia trafitto il giudice alla gola con il coltello da lancio ed eliminato la sua scorta per prendere quella borsa.”

“Ci ho pensato anch’io… e se lei mi vuole domandare se so immaginare cosa ci fosse in quella borsa, io posso rispondere solo quello che ho già detto in Procura.”

“Cioè.”

“L’incartamento su Valaci, ovviamente mio marito doveva portarlo con sé, anche se andava a interrogare un morto. E, certamente, l’agenda che non abbandonava mai e il suo blocco da disegno.”

“Come ha saputo suo marito che Calogero Valaci era rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con uno dei nostri agenti?”

“Lo abbiamo saputo dalla TV, prima che partisse gli avevo acceso il televisore nel tinello per il notiziario di Teleisolanostra che ascoltava spesso. Si teneva informato con Rai news e il telegiornale locale.”

“Come accolse la notizia?”

“Non batté ciglio!”

“E non le sembrò strano? Dopotutto quella morte rendeva inutile il suo viaggio.”

“Mille volte mi sono chiesta perché. Perché non rimase sconvolto da quella notizia? Perché io non gli ho subito detto di non partire! Perché è uscito, salutandomi, come se…” la donna si interruppe.

Il Generale aveva scorto qualcosa e i pensieri si organizzarono rapidamente prima che la vedova riprendesse a parlare. “Come se Valaci per lui fosse ancora vivo?” azzardò cautamente.

Ada Argentino chinò la testa ancora affranta da quel rimorso “Non gli facevo mai troppe domande sul suo lavoro, sapevo che il segreto d’ufficio deve valere pure per le mogli,” la donna s’interruppe ancora rialzando la testa “ma ripensandoci non mi posso perdonare. Mi fossi fatta dire qualcosa, almeno! Invece gli ho solo ricordato il blocco da disegno che aveva detto di volersi portare .”

Il Generale prese il fascicolo e lo aprì “C’era un blocco da disegno dunque, nella borsa?”

La donna assentì “Un blocco con gomma, carboncino e matite. Mio marito quando poteva amava fare schizzi!”

“Forse gli avevano detto che ce ne sarebbe stato bisogno…in assenza di fotografie!”

La vedova lo guardò senza capire.

”Leggo che dall’ispezione del pc di suo marito non è emerso nessun indizio per le indagini.” continuò il Generale.

“Questo hanno detto i suoi colleghi, anche se lui una volta, scherzando, mi confidò che aveva trovato un sistema per cancellare definitivamente le e-mail spedite o ricevute, senza lasciarne alcuna traccia nei server, una cosa giudicata da tutti quasi impossibile. Aveva la fobia di lasciare impronte informatiche dietro di sé.”

Il Generale guardò involontariamente il proprio computer “Interessante, e solo lei era al corrente di questo suo trucco?”

“Non credo proprio, “sulle labbra della donna comparve l’ombra di un sorriso“ qui in Sicilia, diceva sempre, bisogna procedere lentamente e con circospezione come una lumaca e poi bisogna tornare indietro per cancellare la bava che hai lasciato dietro di te.”

“Quindi forse non c’erano più tracce nel suo computer relative al pentimento di Valaci, però aveva certo stampato i documenti e li aveva messi nella sua borsa” parve dire a se stesso il Generale “e in uno di quei documenti ci doveva essere la spiegazione per il suo mancato stupore alla notizia dell’uccisione del pentito.”

“È probabile… sembra che lei, generale, annetta una grande importanza a quel mancato stupore!”

“Sì, signora Argentino, sia lo stupore che le matite e il carboncino…sono indizi, come il cane da guardia che stranamente non abbaia…”

Lei sorrise apertamente, divenendo un po’ più carina.“Già, nel racconto di Sherlock Holmes, il cane che non ha abbaiato quando è passato il padrone.”

“Sì, e prendendo a prestito l’immagine, anche suo marito non si è stupito perché sapeva che non era vero. E che Valaci era ancora vivo, per questo è partito lo stesso.”

“Ma… e quanto ha detto la stampa? L’agente, quel Salvatore Macrì, che gli ha sparato, che gli ha dovuto sparare…come è possibile che sia stata montata una finzione di tale portata?”

Il Generale si alzò, tendendole la mano per salutarla “Immagino, immagino dico, che sia stato perché suo marito sapeva della finzione. Avrebbe rapporto anche col carboncino e le matite, probabilmente. Perché suo marito ha ritenuto opportuno autorizzarla quella finzione!…”

“E perché mai?”

“Il Generale fece un’impercettibile smorfia. “La Mafia, signora Argentino, la Mafia! Può averla autorizzata solo allo scopo di mettere al sicuro il pentito… una irregolarità peraltro molto grave” il Generale si fermò per radunare meglio i suoi pensieri, Hansen doveva avergli chiesto un documento scritto per coprirsi le spalle “Mi creda, so come ragionano poliziotti, carabinieri e agenti segreti….ecco cosa c’era nella borsa da far sparire, la prova dell’autorizzazione alla finzione, senza la quale nessuno si sarebbe azzardato a procedere!” Non disse che Hansen non gli aveva detto niente e nemmeno fece cenno al disegno della sparatoria che era uscito sui giornali dell’Isola, certamente opera di un uomo di fiducia dello stesso Hansen.

La morte di Argentino era una tipica esecuzione mafiosa, riconducibile certamente a quello squilibrato che amava le armi bianche. E che a sua volta aveva trovato la morte in circostanze alquanto insolite: come aveva ricordato la vedova Argentino, era stato sgozzato, non lontano dal porto di Montelusa, in mezzo ai fichi d’india. Sul terreno, oltre ai suoi dardi e alla balestra, erano stati ritrovati numerosi bossoli di proiettili, ma al Killer bianco avevano tagliato la carotide. A Roma si direbbe, divagò il Generale, la morte sua!

Chi l’aveva mandato, poi, il Killer bianco non era tanto difficile da ipotizzare: con il pentimento e la morte di Calogero Valaci, don Gerlando Cascio Ferro aveva perso il suo killer di fiducia e aveva dovuto rivolgersi sul libero mercato, dove primeggiava proprio lui. Era sfortunato don Lando, ultimamente, nella scelta dei killer … e forse non c’era due senza tre.

Ada Argentino si alzò frastornata “Ma allora Valaci è ancora vivo.”

L’altro scosse la testa. “La morte non si fa ingannare signora, neanche dall’autorizzazione di un giudice onesto come suo marito. Siamo noi vivi che ci facciamo ingannare… ”

Il Generale girò intorno alla scrivania e s’accostò alla donna… doveva essere sulla quarantina, un corpo ancora snello si intravedeva sotto l’abito nero. La vedova Argentino fece un esitante passo indietro, scrutando quell’uomo massiccio e la sua criniera ingrigita.

“Signora Ada – posso chiamarla così, vero? – le abbiamo prenotato il volo di rientro per domani mattina, mi chiedevo se posso invitarla a cena stasera.”

La donna prese la borsetta che aveva lasciato poggiata sulla sedia “Come a cena, a casa sua ?” chiese.

“No davvero. Adesso ho da fare ma vorrei continuare a parlarle, a volte bisogna saper trovare un’idea da piccole cose, indizi, tracce insignificanti… Io non cucino mai in casa, sono scapolo, e spesso devo consumare un rapido pasto in quest’ufficio. Pensavo di invitarla in un ristorante non lontano da qui. Da Severino, si chiama. Le metto a disposizione una macchina, la riaccompagna al suo albergo e rimane a sua disposizione. Poi la riporta qui all’ora di cena…”

La donna lo guardò incuriosita: aveva l’aria di un vecchio leone feroce che scruta una gazzella. Tentennò la testa. “Se può essere utile accetto volentieri. Ancora scapolo alla sua età?…” disse porgendogli la mano.

(continua)

(La storia di ClanDESTINI è frutto della fantasia degli autori: qualsiasi riferimento con la realtà, fatti, luoghi e persone vive o scomparse, è puramente casuale).

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L’intervista agli autori, Il giallo d’appendice


La video presentazione di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Un giallo prezioso: ClanDESTINI


Calcerano e Fiori: il viaggio di Didier, un video riassunto che svela scenari inediti sulla storia di Clandestini

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Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, narratori e saggisti, vivono e lavorano a Roma. Hanno scritto insieme numerosi romanzi polizieschi. Per ulteriori informazioni si possono consultare:
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fiori_(narratore)

http://www.luigicalcerano.com

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Calcerano e Fiori