ClanDESTINI (dodicesima puntata)

L’uomo sistemò il suo grande portatile in un vano protetto del bagagliaio della Land Rover, aprì lo sportello e si mise alla guida.

Sul sedile accanto il fratello maggiore della morte stava guardando una mappa di Kigali “Ho mandato l’interprete in ufficio, per rassicurare i nostri dell’avvenuta transazione.”

“Hai fatto bene, devono stare calmi, ora che siamo più poveri…”

“Per poco, per molto poco” il fratello maggiore della morte ripiegò la mappa e diede una manata sulle spalle dell’altro “tutto gira per il suo verso: il giorno dopo il primo sbarco delle casse con le armi nel porto di Chisimaio, saranno pronti i camion per il viaggio a tappe attraverso la Somalia e il Kenya allungando per il Sudan e l’Uganda prima di arrivare da noi, destinazione…”

“I nostri nemici!” completò l’altro “Certo, non abbiamo fretta di consegnarle agli Hutu anche perché prima ce le devono pagare e a caro prezzo… abbiamo messo in piedi un piano geniale: noi ci ripaghiamo le nostre armi per intero e finiremo anche per guadagnarci.”

“Prendi quello stradone e percorrilo fino in fondo, poi gira a sinistra, alla fine della strada ci debbono essere gli studi da dove trasmettono Musekeweya.”

Un aereo in fase di atterraggio passò sopra le loro teste e il rumore assordante coprì le loro voci.

“…il venditore, che ha il nome di una malattia, riuscirà a scovare Didier, è la persona perfetta per noi, deve aver un legame sporco coi servizi segreti, per questo con lui le navi arrivano in porto.”

“Una cosa ho capito” disse l’altro fermando la Land Rover davanti a un semaforo rosso “non c’è una sola grande organizzazione criminale in Italia, sono tanti i gruppi che guadagnano con il traffico delle armi… senza parlare dei rifiuti tossici.”

“Sono tanti come noi!” aggiunse il fratello maggiore della morte “Come tutti quelli che hanno capito che la guerra è il più grande affare! Per questo bisogna superare i periodi di pace, di stallo, eccoci qui a riarmare un po’ anche i nostri rivali e ricominciare da dove l’avevamo lasciata, sola e abbandonata, la nostra povera utile guerra.”

Dal fondo della strada un bambino fece un gesto di saluto festoso.

“È lui?”

La macchina rallentò e accostò al marciapiede, poi il guidatore fece cenno al bambino di rimanere fermo dov’era.

“Prendo il regalo nel bagagliaio.”

L’uomo scese, aprì il portellone e tirò fuori un piccolo pc verde con una manovella.

“Funzionerà, anche se è rudimentale, così la Nuova Alba vedrà subito i bagliori del vecchio tramonto.”

Il fratello maggiore della morte guardava il bambino lontano “Didier aveva quell’età quando l’ho preso con me, era una vittima postuma del genocidio, come tanti. Il padre e la madre, scampati alla morte, lo avevano cresciuto con le storie dei fratelli e delle sorelle torturati e uccisi, come gli altri parenti nel villaggio. Mi è bastato coltivare il suo odio e capire, durante l’addestramento, che quel tipo aveva doti non comuni. Così l’ho portato con me a combattere in Congo. Per fortuna ai nostri confini il lavoro non manca mai per i bambini soldato. Fino a quando l’ho nominato comandante di un plotone.”

“E ti sei fidato a tal punto di lui che ha potuto sentire degli sbarchi a Chisimaio… il comandante Didier era troppo svelto per non capire il nostro segreto, che avremmo venduto le armi anche agli Hutu, agli assassini dei suoi parenti.”

“Ma ora la guerra va ricominciata, solo così possiamo riprendere gli affari. Andiamo ad accendere la miccia, hai portato il biglietto?”

“Sì. Ora solo Didier sarebbe in grado di far cascare il nostro piano come un castello di carte: conosce il porto dove dobbiamo far arrivare le armi, conosce il nostro doppio gioco con il doppio traffico, conosce noi… per questo deve morire.”

I due uomini scesero dall’auto e si avvicinarono al bambino che li aspettava saltellando dalla gioia, il motore della Land Rover era rimasto acceso.

“Ti abbiamo portato anche un altro regalo, per il tuo fratello più grande che lo aspetta da tanto tempo.”

Ma il piccoletto non ha occhi che per quel biglietto, poggiato sul palmo della mano dell’uomo, l’ingresso per gli studi dove si registra Musekeweya. Insieme al biglietto gli consegnano un portatile che non ha bisogno di corrente elettrica perché la sua batteria si ricarica con la manovella. Due autentici tesori regalati da quei due uomini potenti.

“Che succederà nella puntata di oggi della radionovela?” Gli chiede il fratello maggiore della morte con un sorriso che smuove la lunga cicatrice all’altezza della mandibola.

“Non lo so bene, ma dovrebbe svolgersi ancora nel villaggio di Bumanzi, come quella prima…oggi, grazie a voi vedrò gli attori, finora alla radio non ho perso una puntata, come tutti.”

“Quelli di Muhumuro li odiano perché si sono presi le terre vicino al fiume…”

“Sì e Rutaganira vuole la lite, butta benzina sul fuoco” esclamò il bambino “una storia complicata, gli imbrogli non mancano… ma a me piace Hirwa, lui riuscirà a non far scoppiare una scintilla che darebbe inizio a una nuova guerra.”

“Non lo so…” replicò il fratello maggiore della morte “Rutaganira ha dovuto lasciare la sua casa dopo l’aggressione del villaggio. Il suo odio e la sua voglia di vendetta sono giustificati.”

“Se ricominciamo tutti a vendicarci è finita! Rutaganira poi ha commesso crimini orrendi, anche nel suo villaggio, io spero che prima o poi venga processato.” il bambino guardò il piccolo pc verde e sorrise “Mio fratello sarà felice e insegnerà anche a me ad usarlo.”

I due uomini videro il bambino allontanarsi saltellando lungo il marciapiede.

“C’è troppa voglia di pace da parte dei ruandesi grandi e piccoli” l’uomo si rimise alla guida dell’auto “Troppa voglia di fare giustizia verso chi ha combattuto, è proprio ora di farla scoppiare quella scintilla. Più di una scintilla anzi…”

L’altro aprì il cruscotto ed estrasse il telecomando della bomba e guardò l’orologio “Rimaniamo ancora mezz’ora nelle vicinanze, facciamo il botto quando tutti saranno in ascolto.”

***

Una notte senza lamenti avvolgeva la corsia dell’ospedale di Montelusa.

Didier non ricordava bene cosa gli era successo la sera prima, aveva la testa confusa. Forse il medico bianco lo aveva operato ed era ancora sotto l’effetto dell’anestesia, perché non sentiva più salire dal piede quel dolore che gli era diventato familiare.

Non vedeva altro che buio, distingueva appena i contorni degli altri letti con i corpi sdraiati degli altri bambini, a volte i letti ed alcune figure fluttuavano leggermente davanti ai suoi occhi, ma li aveva aperti o chiusi? L’intera gamba era come addormentata.

Guardò il piccolo comodino vicino al suo letto dove avevano poggiato i fumetti, sembrava tutto a posto.

Gli venivano in mente immagini spaventose, teste mozzate, visceri che uscivano dalla pancia, mani tagliate, e sangue, sangue che usciva dai fori delle pallottole. E la donna che lui aveva ucciso col kalashnikov lo guardava infuriata. Ricordava i caricatori curvi che legava uno all’altro, col nastro adesivo, come gli aveva insegnato il fratello maggiore della morte, per ricaricare il mitra più velocemente, quando i trenta proiettili s’erano esauriti. Lentamente le immagini del passato di guerra cedettero a quelle dell’imbarco sulla costa della Libia, del viaggio, del momento in cui l’avevano costretto a buttarsi in acqua. E i pescatori che l’avevano salvato. Poi le immagini del suo arrivo all’ospedale di Montelusa, la scuola, le maestre, suor Annunciazione. La suora che distribuiva il pane si confondeva con la figura di sua madre, che, nella cucina dal tetto di paglia, non lo cacciava via e gli dava un pezzo di pesce secco da mangiare. Desiderava rimanere così, il più a lungo possibile, in quella specie di sogno a occhi aperti, quando l’Uomo Mascherato si avvicinò al suo letto.

Non si stupì troppo di vederlo in corsia.

“Lo sai che sei in pericolo?” gli disse, con una bella voce profonda, appena un po’ rauca.

“Non più in pericolo ora che sei arrivato tu!” gli rispose senza nemmeno pensarci Didier “Ti prego, non te ne andare, stanotte raccontami la storia della vita dell’Uomo Mascherato, quella che solo tu e la tua Diana conoscete.”

L’altro rimase un attimo in silenzio, a bocca aperta, poi alzò le spalle e si sedette sul letto del ragazzo; scostò il lenzuolo e guardò il piede fasciato con le bende insanguinate, esitò, poi cominciò a narrare con voce sorda.

(continua)

Foto di Lidia Maria Giannini, studentessa, anni 12.

(La storia di ClanDESTINI è frutto della fantasia degli autori: qualsiasi riferimento con la realtà, fatti, luoghi e persone vive o scomparse, è puramente casuale).

Calcerano e Fiori: il viaggio di Didier, un video riassunto che svela scenari inediti sulla storia di Clandestini

È in libreria “Teoria e pratica del giallo“, la nuova fatica di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori per le stampe di Edizioni Conoscenza.

Qui le modalità per l’acquisto del libro.

Le puntate precedenti

Prima puntata

Seconda puntata

Terza puntata

Quarta puntata

Quinta puntata

Sesta puntata

Settima puntata

Ottava puntata

Nona puntata

Decima puntata

Undicesima puntata

L’intervista agli autori, Il giallo d’appendice


La video presentazione di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Un giallo prezioso: ClanDESTINI


Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, narratori e saggisti, vivono e lavorano a Roma. Hanno scritto insieme numerosi romanzi polizieschi. Per ulteriori informazioni si possono consultare:
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calcerano

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fiori_(narratore)

http://www.luigicalcerano.com

http://www.giuseppefiori.com

Calcerano e Fiori