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L’arcivernice: L’uomo a una dimensione (settantatreesima puntata)

Pubblicato il: 07/02/2014 12:29:16 -


“Quale migliore occasione per sfruttare una volta di più il suo miracoloso strumento, per far rivivere forse il più noto, il più influente pensatore, nell’ambito del sociale, del secolo scorso, l’icona dei movimenti studenteschi: Herbert Marcuse?”
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La servetta tracia, che ride della dabbenaggine di Talete, così distratto da non sapere neanche passeggiare. E, all’opposto, il Talete che sfrutta la sua conoscenza per fare incetta di olive, e si arricchisce. Due tradizioni opposte. Chissà qual era quella vera. Ma, pensò Ramon, in fondo non era importante; nel senso che erano vere entrambe, non tanto per Talete individuo, ma per il sapiente in generale. C’è il pensatore distaccato, che vive in un mondo tutto suo, nella famosa “torre d’avorio”, che vive cioè nell’atarassia, nell’imperturbabilità rispetto alle cose del mondo. E per converso c’è il pragmatista, o lo scienziato, che agisce sul mondo per dominarlo, per incidere il più possibile su di esso. Ecco, Ramon si sentì, così, inadempiente rispetto alla formazione della sua cultura: aveva sempre avuto a modello il primo caso, aveva privilegiato il conoscere, filosoficamente il problema gnoseologico, mettendo in parentesi la dimensione sociale dell’esserci in questo mondo. E se è vero che tale mondo sta nel pensiero, è altrettanto vero che ogni pensiero effettivamente pensato è un accadimento del mondo; il pensiero sta a sua volta nel mondo. Formalmente, sono dunque due insiemi infiniti, gli suggeriva una reminiscenza cantoriana. Era comunque il caso di allargare l’indagine, di collocare qualche conoscenza della dimensione pratica, politica e sociale entro la propria preparazione. Quale migliore occasione per sfruttare una volta di più il suo miracoloso strumento, per far rivivere forse il più noto, il più influente pensatore, nell’ambito del sociale, del secolo scorso, l’icona dei movimenti studenteschi: Herbert Marcuse?

“Ecco il punto da cui partire, da Freud: la civiltà sostituisce il ‘principio del piacere’, connaturato all’uomo, con il ‘principio di realtà’, teso a controllarlo e infine a inibirlo; e l’uomo impara a reprimere le proprie pulsioni, o quanto meno a differirle, sublimandole in attività socialmente omologate, in prima istanza il lavoro, che diviene condizione di accettazione sociale”.

“Dunque Freud aveva già capito tutto, Maestro…”.

“No Ramon; ho detto che questo è il punto da cui partire, non il punto d’arrivo. Freud sbaglia nell’accettare questa sostituzione come inevitabile, e connaturata con il concetto stesso di ‘società’; ma non è così: tutto ciò avviene non di necessità, o per scarsità dei beni materiali. Avviene piuttosto a causa di un’organizzazione del tutto irrazionale, e di una divisione dei beni drammaticamente iniqua. Questo tipo di convivenza non è assolutamente una necessità sociale, non è l’unico possibile, né tanto meno il migliore. È il frutto dell’industrializzazione capitalistica; e ha come conseguenza che le stesse categorie svantaggiate, come la classe operaia, si riconoscono negli stessi valori borghesi, che altri amministrano a loro danno. E così l’uomo, spogliato dei suoi istinti, non è più tale, ma diventa semplice ‘consumatore’, vale in quanto elemento di mercato, e in proporzione a quanto può ‘comperare’. Potremmo dire che l’uomo, quest’uomo monodimensionale, è ciò che compra. Ad esso la società, così come è organizzata, in cambio dell’accettazione d’appartenenza, chiede ‘prestazioni’, in modo crescente, creando conformismi e inducendo bisogni virtuali o psicologici, che non avrebbero ragione di essere”.

“Ma la via d’uscita è allora il capovolgimento del sistema, per intenderci, una qualche forma di ‘comunismo reale’?”

“Purtroppo no, Ramon; perché il meccanismo è il medesimo: anche i regimi che si definiscono ‘democratici’ creano bisogni artificiali, avendo accettato il modello che ho spiegato sopra. E l’esito diventa dunque di nuovo quello della repressione delle pulsioni, e infine dell’inibizione di qualsiasi reale opposizione; e diviene così fatale la trasformazione in totalitarismo”.

“Ma cosa rimane allora al filosofo? Per citare Lenin: ‘che fare?’”

“La filosofia si rifugia nella divinizzazione del linguaggio, o nella constatazione empirica del dato; pensa in primis alla così detta ‘filosofia analitica’, Ramon; non v’è niente in tutto ciò che possa incidere sul mondo reale, tutto quel che si può fare è aspirare ad averne una replica fedele nelle nostre teste. E diviene chiara, allora, la vera lacuna. Ciò che manca è ‘l’immaginazione’. Ecco il punto, si dovrebbe avere ‘l’immaginazione al potere’. Ma questo stimolo non può essere ritrovato nelle organizzazioni politiche tradizionali, come ho già detto l’uomo a una dimensione è comunque pre-omologato. E allora le idealità costruttive vanno ricercate in coloro che non sono ancora stati fagocitati, in quelli che, proprio in quanto ‘emarginati’, sfuggono alla morsa del conformismo: i perseguitati, i disoccupati, i disperati”.

“Maestro, ma le forze in campo sono impari. Come sperare che siano i più deboli, i reietti, a sconvolgere il mondo, a razionalizzare la società?”

“Certo, essi da soli non possono farlo; ma forse da essi può essere attinta quella consapevolezza che sposti gli equilibri sociali interni, e non esterni, e tale consapevolezza può far presa, prima o poi, su strati socialmente importanti o politicamente organizzati, come ad esempio i sindacati”.

Ramon capiva bene come Marcuse fosse diventato l’icona del sessantotto; e coglieva nelle sue parole in modo molto netto l’influenza del socialismo utopistico ottocentesco, ma anche certi stilemi heideggeriani; si ricordò che Marcuse aveva studiato anche sotto la guida di Heidegger. Strano connubio, marxismo, socialismo utopistico, esistenzialismo, ma anche, per esplicita dichiarazione dello stesso pensatore, hegelismo. Si risolse a chiedere lumi su quest’astrusa convivenza di visioni del mondo tradizionalmente incompatibili. E cominciò:

“Ma come far convivere, Maestro, entro questa visione di un ‘eros’ che non è solo freudiano, ma è amore del bello, e della vita, come far convivere…”

Ma si accorse che la ieratica figura era ormai un fantasmatico drappeggio di luci e di ombre.

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