Sviluppo della professionalità dei docenti è la “buona scuola”

Il ritardo accumulato dal nostro sistema d’istruzione sulla questione “docente” è enorme: questo ritardo è particolarmente rilevante sulle tematiche della formazione in servizio, il reclutamento, la carriera e lo sviluppo della professionalità docente; per renderci conto di questo ritardo, basti ricordare che lo stato giuridico degli insegnanti, introdotto con i Decreti Delegati nel 1974, è fermo da oltre 40 anni.

Mentre in questi 40 anni nel nostro sistema d’istruzione sono state introdotte, anche se in modo frammentario e parziale, molte innovazioni – penso in particolare all’autonomia scolastica (DPR 275/97), allo sviluppo degli istituti comprensivi, ai piani di studio incentrati sulla competenze, all’innalzamento dell’obbligo a 16 anni – tali innovazioni non sono state a tutt’oggi, tradotte, per l’assenza di una seria e qualificata politica di formazione e di sostegno alla professionalità dei docenti.
Il documento del Governo Renzi sulla “buona scuola” ha il pregio di avere messo la questione “docente” al centro dell’attenzione, affrontandola non in modo parziale, ma complessivamente, mettendo sullo stesso piano la necessità di eliminare definitivamente il precariato che (definita un’ “emergenza storica da eliminare intervenendo alla radice del problema”) è una delle cause principali della bassa qualità del nostro sistema d’istruzione e impegnandosi ad assumere 150.000 docenti entro il 2016.
Allo stesso tempo nel documento si punta a rendere obbligatoria la formazione in servizio e prevedere uno sviluppo della carriera dei docenti basato su crediti didattici, formativi e professionali.
L’asse del ragionamento è che una buona scuola si fa con buoni insegnanti, motivati e incentivati professionalmente, aggiornati attraverso un sistema di formazione obbligatoria e continua.

Nella proposta del governo ci sono tre grosse novità che meritano di essere evidenziate.

La prima riguarda la formazione, che costituisce lo strumento principale per qualificare la professionalità dei docenti: si pensa a una formazione non occasionale, mordi e fuggi com’è stata sinora, ma a una formazione continua e stabile che accompagni l’intero arco professionale del docente, incentrata sugli aspetti professionali, cioè sull’acquisizione di metodologie attive, sulla relazione-comunicazione, sulla progettazione didattica, sui bisogni e le modalità di apprendimento degli studenti.
L’idea è di mettere in campo una formazione in servizio intesa come ricerca – azione dove i docenti sono i veri protagonisti della propria formazione, guidati a produrre (quindi a fare ricerca didattica sul campo) strumenti didattici, spendibili subito e da sperimentare concretamente in classe.
La formazione deve diventare qualcosa di utile che serve a migliorare la qualità del lavoro da svolgere direttamente con gli studenti.
Questa formazione richiede la messa in campo di risorse organizzative, incentivi professionali ed economici.

Nel documento del governo – questo è il secondo aspetto da evidenziare – si sottolinea che la formazione “ deve diventare lo strumento che permette di qualificare la professionalità dei docenti” e deve essere strettamente legata alla carriera dei docenti. Ci sembra questo uno dei punti centrali del documento. La novità forse più importante è la proposta di rendere obbligatoria la formazione in servizio, superando il generico diritto- dovere previsto dai decreti delegati. All’obbligatorietà della formazione viene legato lo sviluppo professionale di carriera del docente, incentrato sul riconoscimento di Crediti Formativi spendibili per incarichi aggiuntivi, per i concorsi e per l’avanzamento di carriera, che non risulterebbe più basata solo sull’anzianità di servizio (sui famosi sei gradoni che segnano le tappe della carriera del docente), come avviene oggi, ma anche sul merito professionale, cioè sulla qualità dell’impegno del docente a migliorare le proprie competenze professionali.
Mi sembra questo uno dei punti qualificanti del documento che punta a riconoscere e a valorizzare; in questo senso va considerato il merito: elevare la qualità delle prestazioni professionali dei docenti svolte oltre che nella didattica d’aula anche nella dimensione formativa, organizzativa e progettuale che si svolge a livello d’istituto e di reti di scuole nel rapporto con il territorio.
Nel documento si parla non in modo generico di formazione, ma si indicano precisi campi di intervento legati “al profilo professionale del docente” e si indica come prioritaria una formazione sui “modi di pensare”, sui “metodi di lavoro” e sulle “abilità per la vita e lo sviluppo professionale nelle democrazie avanzate”.
Si parla quindi di una formazione legata non a contenuti teorici, ma incentrata sullo studente, che punta a sviluppare negli alunni una cultura basata su competenze chiave di cittadinanza attiva.

Ne documento – e qui vengo al terzo aspetto si mette in evidenza come una formazione, per essere efficace, abbia bisogno di essere supportata da un solido sistema di sviluppo professionale.
Parliamo quindi di una formazione in servizio, permanente, progettata e definita a livello d’istituto, cioè una formazione che nasce da bisogni concreti dei docenti, dal basso e incentrata su un modello che valorizzi le esperienze, organizzata su un sistema a rete tra le istituzioni scolastiche, supportata nella ricerca didattica dalle associazioni professionali dei docenti. Stiamo parlando di un’esperienza in parte già avviata con la formazione sulle Nuove Indicazioni organizzata su reti di scuole e incentrata sul curricolo verticale che vede la partecipazione della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado.

Va apprezzato nel documento lo sforzo di valorizzare e di dare piena applicazione all’art. 7 del regolamento dell’autonomia scolastica, laddove si parla di reti di scuole e di laboratori territoriali finalizzati a sostenere le innovazioni, la ricerca didattica e la formazione dei docenti.

Ora si tratta di capire, dopo la fase della consultazione aperta dal governo che si concluderà il 15 novembre, quali strumenti concreti verranno messi in campo.
Per strumenti concreti intendiamo non solo i provvedimenti legislativi, ma le risorse e le azioni per rendere effettivamente operative le proposte.

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Immagine in testata di Tumisu/Pixabay (licenza free to share)

Walter Moro