Reclutamento degli insegnanti (per il futuro!): un grande passo avanti

Nel riferire circa l’iter del disegno di legge su “La Buona Scuola” (ora giunto al Senato), i giornali non hanno dato alcuna notizia dell’approvazione di un emendamento relativo al futuro sistema di reclutamento e formazione degli insegnanti secondari (autori, l’on. Manuela Ghizzoni e altri). È invece importante parlarne, perché si tratta di una scelta che ha grandissimo rilievo, e che risolve un problema che nessun precedente provvedimento aveva affrontato: l’esigenza cioè di articolare in una procedura coerente il momento della formazione con quello del reclutamento.

Per chi non è nelle “graduatorie”, il sistema prevedeva finora una procedura di abilitazione (in passato la SSIS, ora il TFA) seguita dal concorso di assunzione; ciò comportava, come elementi negativi, sia la presenza di abilitati poi non assunti (e perciò tensioni, precariato, pressioni per “sanatorie”), sia un disincentivo alla scelta della professione docente. I laureati bravi, se appena hanno altre opportunità, non sono indotti a intraprendere un percorso lungo come tempi e incerto come conclusione: due concorsi, il primo dei quali risulterà del tutto inutile se non ha poi successo il secondo.

Il testo ora approvato ribalta l’ordine: prima il concorso, poi il percorso di professionalizzazione. I vincitori, cioè, non entrano subito in attività come docenti, ma hanno l’obbligo di seguire, per un anno, il “corso di specializzazione” che aggiunge alle competenze disciplinari, che si presume abbiano acquisito con il titolo di laurea magistrale, le competenze di natura didattico-educativa. Già durante l’anno di formazione sono retribuiti.

Di ciò non si è parlato nei media sia perché, inevitabilmente, l’attenzione è sempre centrata su chi c’è (i precari attuali) piuttosto che su chi ci sarà, sia – forse – perché l’entrata in funzione del nuovo sistema non è imminente: la legge deve ancora percorrere un lungo iter (in aula alla Camera, indi al Senato), e la norma in discussione sta in una delega, sicché occorrerà poi l’adozione del Decreto Legislativo delegato. Peraltro, la strada è ormai tracciata, e vi sono anche effetti immediati. Per quest’anno era prevista infatti la messa in opera di una componente finora inattuata della passata “riforma Gelmini”, l’istituzione cioè, all’interno delle Lauree Magistrali che possono condurre all’insegnamento, di un indirizzo ad hoc, a numero chiuso, ad esso finalizzato: a tale istituzione ora non si provvederà, poiché essa sarebbe priva di sbocchi.

In una sede come questa è comunque opportuno approfondire il tema, per evidenziare – da un lato – le prospettive positive aperte dalla scelta compiuta dalla Commissione della Camera, ma anche per individuare – dall’altro – alcuni problemi sui quali sono necessari chiarimenti (nel corso dell’iter ancora da compiere, o eventualmente nel Decreto attuativo).

La prospettiva più significativa mi sembra l’attrattività verso la professione docente che il previsto sistema determinerà. Vincendo il concorso, il laureato/la laureata inizia un percorso immediatamente retribuito e la cui conclusione positiva, con un’assunzione a tempo indeterminato, dipende solo da quanto saprà fare lui stesso (o lei stessa): deve superare con successo le verifiche dell’anno di formazione e le valutazioni di un successivo biennio di tirocinio e insegnamento “in prova”. Disporre, già all’indomani della laurea, di una tale opportunità può indurre molti tra i migliori giovani a scegliere questo cammino professionale: si tratta del primo obiettivo che una riforma scolastica deve perseguire, poiché tutte le ricerche internazionali mostrano che la qualità dei sistemi scolastici dipende in primo luogo dalla qualità degli insegnanti. L’esempio più noto è quello della Finlandia, che ha mostrato una stretta correlazione tra i buoni risultati degli allievi e l’enfasi che lì è stata posta sulle procedure atte a reclutare i laureati più qualificati.

Quanto agli elementi da definire meglio, il principale riguarda le modalità con cui le università dovranno organizzare il corso annuale, post-concorso di assunzione, di cui si è detto. Sarebbe disastroso se per ogni “classe disciplinare di afferenza” degli insegnanti (la vecchia “cattedra”) venisse attivato un corso autonomo, gestito perciò dal Dipartimento disciplinare competente: esso sarebbe ancora centrato -quasi inevitabilmente- sui meri contenuti, e ciò a causa della tradizionale scarsa attenzione delle università, soprattutto in alcune aree disciplinari, alle tematiche didattico-pedagogiche. È inoltre quanto mai opportuno (direi necessario) che la formazione dei futuri insegnanti avvenga, dopo una fase universitaria tutta intra-disciplinare, in un ambiente multidisciplinare; ciò promuoverebbe in essi non solo atteggiamenti generali favorevoli a interazioni positive con i colleghi di altre materie, ma anche competenze utili a tal fine. Per ogni Ateneo deve trattarsi perciò di un corso unico, ovviamente articolato in indirizzi corrispondenti alle classi disciplinari: la didattica specifica relativa ad ogni materia troverà spazio in attività differenziate, ma la preparazione a competenze educative “trasversali” dovrà tenere insieme tutti i futuri insegnanti.

Un altro elemento insufficientemente precisato riguarda il necessario coinvolgimento, nell’attività formativa post-laurea, delle competenze professionali presenti nelle istituzioni scolastiche. Al riguardo, l’attuale testo afferma che il corso di specializzazione è istituito “anche in convenzione con istituzioni scolastiche o loro reti”: troppo poco, trattandosi solo di una eventualità, mentre tutta la letteratura internazionale insiste sulla necessità di una vera partnership tra la scuola e l’università. Proprio la presenza di un ambiente che al fine della formazione iniziale le coinvolga entrambe, a pieno titolo, consente anche di puntare a un positivo raccordo tra tale formazione iniziale e la formazione in servizio: tema, quest’ultimo, la cui esigenza è anch’essa evidenziata nella legge in discussione.

Si riuscirà, nel dibattito pubblico su questo provvedimento legislativo, a passare finalmente dagli slogan (renzianamente autoesaltatori ovvero sindacalmente denigratori) a un serio esame dei contenuti?

***
Immagine in testata tratta da Michigan Tech News

Giunio Luzzatto