L’istruzione riparte… le perplessità sulla formazione dei docenti

Il decreto legge del ministro Carrozza “L’istruzione riparte” – convertito in legge (8 novembre 2013, n. 128) – prevede una spesa 10 milioni di euro, oltre alle risorse previste nell’ambito del finanziamento di programmi europei e internazionali, per attività di formazione e d’aggiornamento che saranno obbligatorie per il personale scolastico.

La questione è di rilevanza tale da richiedere qualche attenta riflessione, perché se è vero che la formazione e l’aggiornamento fanno parte del profilo identitario del docente, la curvatura verso l’obbligatorietà implica una nuova concezione della professione che la legge, però, non prevede affatto.
Il contesto entro il quale può essere giustificata e legittimata un’attività prescrittiva è quello della valorizzazione della professione docente, intesa come progressione giuridica ed economica. In questo caso, una formazione in servizio – seria e in forma intensiva – dovrebbe comportare dei benefici per il docente, anche in termini di crediti spendibili nella progressione della carriera.

Un’altra condizione imprescindibile dovrebbe essere quella della libertà d’aggiornamento, che, poste alcune condizioni uguali per tutti quelli che accedono a percorsi di riqualificazione (ore di formazione, valutazione, socializzazione dei risultati, ecc.), dovrebbe comportare la scelta da parte del docente dell’ente o del soggetto riconosciuto presso il quale svolgere l’attività di aggiornamento, cioè: reti di scuole, università, Miur, associazioni professionali, ecc…

Non sembra, purtroppo, che sia questa la direzione nella quale è stato indirizzato il presente impegno formativo, dato che la legge si occupa esclusivamente di fissare i campi entro i quali dovrebbe effettuarsi il miglioramento della didattica e che saranno attuati tramite una fase di revisione dei contenuti disciplinari e delle metodologie d’insegnamento/apprendimento.

Li riassumiamo in breve:

a) rafforzamento delle conoscenze e delle competenze di ciascun alunno […] per migliorare gli esiti nelle valutazioni nazionali svolte dall’Invalsi;
b) aumento delle competenze per potenziare i processi d’integrazione a favore di alunni con disabilità e bisogni educativi speciali;
c) potenziamento delle competenze nelle aree ad alto rischio socio-educativo […];
d) aumento delle competenze riguardanti l’educazione all’affettività […];
e) aumento delle capacità nella gestione e nella programmazione dei sistemi scolastici;
f) aumento delle competenze riguardanti i processi di digitalizzazione e d’innovazione tecnologica;
g) aumento delle competenze per favorire i percorsi di alternanza scuola-lavoro […].

Insomma, non è prevista la formazione come itinerario di crescita del docente, bensì i temi proposti riguardano la risposta ad alcune emergenze sociali cui la scuola dovrebbe porre rimedio, attraverso la funzione del docente che dovrebbe essere ampliata verso la comprensione dei nuovi bisogni.
Una scelta di campo dettata da un modello d’istruzione visto come intervento sulle storture del sistema, che prescinde completamente da una presa d’atto del soggetto che dovrebbe promuovere i singoli interventi: il docente, la sua vocazione alla comunicazione, la necessità di rinnovarla attraverso percorsi che mettano a fuoco i contenuti dell’insegnamento e l’ambito scolastico come luogo d’insegnamento/apprendimento.

Tralasciare il potenziamento del soggetto (l’adulto che insegna tramite la sua persona e le relazioni che è in grado di stabilire) significa inevitabilmente mortificarlo a un ruolo di secondo piano.
In questo modo protagonista non è – e non sarà mai – la scuola, considerata come ambiente d’incontro tra diversità che maturano insieme attraverso la trasmissione d’ipotesi di significato sulla realtà. Invece, è protagonista solo l’immediatezza con cui si risolvono alcuni casi. I problemi esistono e sono sotto gli occhi di tutti: richieste d’integrazione e soprusi consapevoli del disagio e delle disabilità.

E tuttavia non sarebbe stato male – anzi in questo caso sarebbe fattore d’autentica innovazione – accompagnare l’indicazione prescrittiva all’aggiornamento con aperture nuove e gratificanti verso la professione docente, che è spesso citata come esempio di categoria demotivata, ma per la maggior parte non lo è affatto, malgrado non si faccia granché di ciò che sarebbe possibile fare per risollevarne la credibilità.

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Immagine in testata di ddpavumba / freedigitalphotos.net (licenza free to share)

Fabrizio Foschi