Un federalismo differenziato per dividere e discriminare. Parte 1 – di Osvaldo Roman

Da un’analisi delle varie fasi in cui si è dipanata la contraddittoria vicenda dell’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione emergono due considerazioni di fondo.

La prima riguarda il fatto che non si può applicare l’art 116 della Costituzione senza tenere conto di quanto stabilito nella norma costituzionale di cui all’articolo 11 della legge n.3 del 2001. Ciò sia sotto l’aspetto procedurale che non può escludere un voto emendativo del Parlamento sul contenuto istituzionale dei trasferimenti legislativi, sia sull’obbligo che sia un atto legislativo del Parlamento a valutare e a decidere i trasferimenti di risorse legati a tale riforma. Lo prevede anche l’art.14 della legge 42/2009.

La seconda che non si può affrontare un’ ipotesi di attuazione dell’art 116 se prima non si realizza compiutamente il trasferimento a tutte le Regioni delle competenze amministrative di cui all’articolo 118.

Si è parlato e si parla molto di attuazione del Titolo V della Costituzione ma in realtà in tutti questi anni e, soprattutto in occasione del Referendum del 2016 sulla riforma costituzionale, si sono volute nascondere le vere cause che hanno portato alla mancata attuazione di quella riforma. Non si è mai ricordato che essa fu voluta per dare una risposta alle istanze di un effettivo ruolo degli enti locali e delle regioni nella vita amministrativa del paese.

Una risposta alle esigenze democratiche ispirate dalla Costituzione- art.5- che è stata concepita anche come un’alternativa alla spinta secessionista gestita dalla Lega Nord che, partendo dalla mancata attuazione del decentramento amministrativo, di fatto predicava la divisione del paese.

Il nuovo titolo V realizzato con la riforma costituzionale del 2001 (legge n° 3) non prevedeva solo l’art. 116 ma anche il trasferimento di competenze amministrative dallo Stato alle Regioni (art.118) che sarebbe dovuto essere affiancato e sostenuto da un contemporaneo trasferimento di competenze amministrative dalle Regioni ai Comuni e alle Province.

Un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo nuovo assetto sarebbe dovuto essere garantito dalle procedure previste nella legge n.131 del 2003 e dall’elaborazione progettuale, necessaria alla definizione organica delle nuove competenze, realizzata dalla Conferenza Unificata.

Quando tale progetto stava per essere completato e varato nel 2010, grazie al governo di centro destra, Lega PDL guidato da Silvio Berlusconi, riprese il sopravvento la spinta secessionista che trovò nella legge 42/2009, delega sul federalismo fiscale, un provvisorio terreno di soddisfacimento. Un terreno su cui tentò maldestramente di collocarsi anche lo schieramento di centro sinistra almeno sino all’avvento dei governi a guida PD, commettendo un errore gravissimo di cui ha pagato a caro prezzo le conseguenze. Con questi governi successivamente si concepì infatti una disgraziata riforma centralistica della Costituzione, ancora oggi rivendicata dal PD di Zingaretti, che aveva come obiettivo non secondario quello di respingere la spinta regionalista e autonomista. Non fu un caso se tutta la propaganda neo centralista sostenuta da Renzi e dal suo governo si fondò sulla cancellazione dal dibattito pubblico dei veri motivi che avevano portato al fallimento della riforma del Titolo V realizzata nel 2001.Riforma che oggi dovrebbe essere riproposta contrapponendo un progetto realizzabile di decentramento amministrativo dello Stato alla strategia secessionista della destra.

Occorre a mio parere ripartire dal percorso disegnato dalla legge 131/2003 e dalle conclusioni cui era arrivato nel 2010 il Master Plan della Conferenza Stato Regioni.

Al centro della campagna referendaria per la modifica costituzionale furono posti argomenti come l’eliminazione delle eccessive competenze di legislazione concorrente attribuisce alle Regioni e il vasto contenzioso di natura costituzionale che esse avevano provocato.

Non casualmente la riforma Costituzionale bocciata dal Referendum del 2016 aboliva le competenze legislative concorrenti ma potenziava il trasferimento alle Regioni delle competenze legislative statali, confermato nel nuovo articolo 116.

Proprio da tale campagna prende oggi le mosse il tentativo di utilizzare l’articolo 116 della Costituzione come cavallo di Troia del nuovo secessionismo leghista.

Si è realizzata in tal modo una grave sconfitta delle forze democratiche e di sinistra che negli anni ’80 e nel quinquennio 1996-2001, sia al governo sia all’opposizione, richiamandosi ai valori costituzionali, avevano operato negli enti locali, principalmente per l’istruzione, con il sostegno di una vasta partecipazione democratica dei cittadini.

Il principale risultato di quel coinvolgimento reciproco delle diverse realtà locali scuole, comuni, province, istituzioni culturali fu la realizzazione di una gestione dinamica ed efficiente del sistema scolastico che molti oggi ricordano.

Quella sconfitta ha rappresentato un colpo gravissimo per la vita democratica del paese e ha provocato un arretramento di quegli ideali di democrazia, libertà e laicità che animavano la presenza delle forze democratiche nelle istituzioni locali e in particolare nella scuola. Ai danni provocati da tal esito si devono aggiungere quelli provocati durante gli anni 2008-2010 dalle misure di taglio delle risorse per l’istruzione e più in generale per il welfare realizzate dal governo Berlusconi con le iniziative dei suoi ministri Gelmini Tremonti e Brunetta.

Non a caso proprio in questo periodo prese l’avvio il progetto di federalismo fiscale che servì soprattutto a coprire il taglio delle risorse destinate agli  enti locali.

Osvaldo Roman