Tormentone di fine estate: il nuovo anno scolastico – Vittoria Gallina

Caldo torrido, ricorrenze delle drammatiche giornate dei vecchi terremoti e ricorrenza di nuovi, il “garbuglio” tutto italiano sulla accoglienza e la tutela dei diritti di chi approda nel nostro paese  (perdoni Gadda la citazione che cerca di evitare il senso di disperazione , che travolge chi assiste a continui esercizi di insipienza, opportunismo, ignoranza, incapacità, cattiveria, anzi di vera e propria crudeltà, per fermarsi qui), non impedisce  che, la vicinanza della scadenza autunnale, riporti alla ribalta la scuola e le sue  tristi  vicende. I commentatori politici scoprono che, al di là delle conclamate buone intenzioni, l’operazione posta in atto dalla legge 107 si è, è stata, progressivamente ridotta alla sola operazione di esaurimento di  inesauribili graduatorie, che invece di svuotarsi , vengono di volta in volta rimpolpate in virtù di leggi, leggine, norme, scolpite nella pietra del secolo scorso, che costituiscono base di diritti acquisiti/ acquisibili,  cavilli, sentenze  vecchie e nuove, che daranno lavoro per molti decenni ancora  alla  nostra geniale e fantasiosa giurisprudenza. Poi all’improvviso, durante gli incontri di Comunione e liberazione, la ministra Fedeli fa arrivare al grande pubblico l’annuncio della sperimentazione di percorsi quadriennali nella scuola secondaria superiore…. Allora scoppia il dibattito (il dibattito noOOOO! implorava Moretti a suo tempo).

Tre considerazioni:

1) al solito si parla sempre  di licei, solo di sfuggita di istituti tecnici, nessuna riflessione sulle diverse tipologie di scuola, su cui questa sperimentazione andrebbe ad impattare;

2) l’obbligo di istruzione in Italia , con buona pace di chi non se ne è ancora accorto, dura 10 anni, si conclude entro il biennio della secondaria di secondo grado e registra, soprattutto in alcune filiere, elevati tassi di dispersione e di abbandono;

3) uno spezzone di sperimentazione di un percorso quadriennale è già stato realizzato, tuttavia  come si sia concluso, quali problemi si siano  evidenziati, cosa possa insegnare a chi oggi ripropone il tema ????? Sembrano quesiti inutili , così come la esplicitazione di criteri, metodologie di lavoro, di ipotesi culturali didattico/ formative e di obiettivi. Il “dibattito”, che si è aperto, anche se guidato da autorevolezze accademiche, appare deludente; c’è chi vuole aggiungere e chi vuole levare, gli argomenti, onestamente non molti, sono tutti lì, ma, con grande rispetto per chi ha scritto o risposto ad interviste sui vari giornali, offre l’idea che la scuola sia uno strano oggetto, che per alcuni è un salame da cui tagliare fette e per altri una specie di luganica da riempire anno per anno.

Nessuno ha notato la settimana scorsa che, nel pieno delle discussioni su accoglienza, terremoti, sgomberi e quant’altro, in una notissima trasmissione televisiva,  i quattro “dibattenti “+ il conduttore, parlando dell’eventuale batosta fiscale che si abbatterà, forse, sulla popolazione di Lampedusa,  non riuscivano a fare la elementare operazione necessaria  per calcolare quanto, mediamente, ogni cittadino lampedusano  dovrebbe pagare per rimborsare allo stato  le tasse non versate ( meno male che un giovane ,”nativo digitale?”, ha saputo almeno usare la calcolatrice, levando tutti dall’imbarazzo!).Ma forse la riflessione sulla nostra scuola potrebbe essere un po’ meno astratta e più attenta ai problemi reali, partendo da evidenze e dati di fatto. In questa italiana babele può essere utile seguire lo scambio avvenuto tra due bloggisti, attenti e navigati uomini di scuola (R. Bolletta e C. Salone), che mette in fila le questioni e, con buona pace dell’accademia, offre un positivo esempio di ricostruzione storica di fatti, problemi e ragioni che muovono, dovrebbero muovere le diverse scelte.

Bolletta ha rilanciato nel suo blog il testo di C. Salone, che qui viene riproposto Il liceo “corto”: dal mosaico al merchandising, passando per il cacciavite. Il titolo può apparire criptico, ma sintetizza efficacemente, a mio parere, il destino dell’istituzione scolastica italiana nell’arco di un ventennio circa. Correva l’anno 2000, quando fu pubblicata in GU la “Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli di Istruzione”, meglio nota come la “Legge Berlinguer” (L. 30 del 10.02.2000). Come tutti sanno, questa legge non andò mai in vigore, perché il governo Berlusconi, succeduto a quello di centro-sinistra di Romano Prodi, tramite la ministra Moratti, volle fare “punto e a capo”. Guardando retrospettivamente, fu quello del Prof. Berlinguer l’ultimo, serio tentativo di mutare l’articolazione della scuola italiana, conservandone le caratteristiche storicamente sedimentate e da tutti apprezzate e coniugandole con l’esigenza di una maggiore sintonia con i sistemi scolastici del resto dell’Europa. In primis l’accorciamento del curricolo scolastico da tredici a dodici anni. Berlinguer definì la sua azione come “la strategia del mosaico”, perché composta da un insieme di tessere – interventi normativi da posare in opera in tempi diversi e in zone diverse del sistema scuola (vedi l’innovativo e assai mal compreso e attuato esame di stato), ma capaci di profilare un percorso di studi globale, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, alla formazione post-diploma, all’educazione degli adulti, all’università. Si era nel periodo segnato dall’avvio della autonomia scolastica (art. 21 della legge 59/97, detta “Legge Bassanini”), sostenuta da un Regolamento esemplarmente redatto (DPR 275/99), e spirava ancora forte la fiducia nella politica. Poi il gelo dei piccoli e farraginosi interventi, delle sperimentazioni frammentate e quasi sempre senza alcuna accountabilitycaratterizzò l’azione sostanzialmente conservatrice del ministro Moratti, senza che vi si scorgesse un disegno preciso, se non quello di limitare la sfera di azione della scuola pubblica.

Con il ritorno al governo del centro-sinistra, il ministro Fioroni inaugurò “la strategia del cacciavite”: non più tessere di un mosaico di cui, è bene sottolinearlo, si possedeva saldamente il cartone, ma una serie di smontaggi e rimontaggi per cambiare i pezzi più deteriorati della macchina, badando bene a non “turbare” gli interessi consolidati di corporazioni e sindacati. La debolezza di una tale strategia, che un tempo si sarebbe definita “democristiana”, emerse in piena luce negli anni della crisi, a partire dal 2008. Il governo della scuola affidato al duo Tremonti-Gelmini condusse a un radicale affievolirsi di risorse e di idee. Si tornò all’antico, senza le sue virtù. In quel torno di tempo furono sottratti alla scuola, in un triennio, circa dieci miliardi di euro, con la vana promessa di un successivo, parziale storno per progetti di ricerca e di innovazione. Promessa, naturalmente, non mantenuta. Il clima dettato dal tema costante della riduzione della spesa non è più mutato da allora. Non ci sono stati, è vero, bruschi colpi di accetta, ma si è proceduto a una sorta di costante limatura, la cui polvere è stata nascosta da un’abile azione di marketing. Intendo riferirmi, come è facile intuire, alla cosiddetta “Buona Scuola”, di cui ho avuto modo già di parlare ai suoi inizi………………….La ………ministra Giannini……….., è stata sostituita dal governo Gentiloni da una più baldanzosa e sindacalmente esperta ministra Fedeli.

Idee nuove per la scuola? Non pervenute. Solo qualche iniziativa per tacitare il malumore degli insegnanti e una serie di decreti applicativi della Buona Scuola……………………E veniamo al punto che ha suscitato questa mia ulteriore riflessione: la sperimentazione (aridaje, direbbero a Roma! Ci aveva già provato la ministra Carrozza ai tempi del governo Letta) della riduzione del percorso secondario superiore da cinque a quattro anni. Un ritorno a Berlinguer, come avevo modestamente suggerito circa quattro anni fa? Neppure per idea. Là dove la riduzione dell’intero percorso scolastico acquistava senso e fisionomia, qui, a leggere gli scarni documenti prodotti dal ministero, colmi di caveat per non spaventare troppo il colto e l’inclita (“non ci sarà alcuna riduzione dei contenuti”, “si eserciterà un rigoroso controllo tramite commissioni a diversi livelli”), si vede in controluce solo il desiderio di tagliar posti, con la scusa di allinearci all’Europa, imbottendo in un sacco da quattro, quello che era contenuto in un sacco da cinque. Una proposta? Sempre la stessa: torniamo alla Legge 30, è già bell’e fatta, con tanto di sistema graduale di applicazione, aggiorniamola (sono pur sempre passati diciassette anni), ma manteniamone l’impianto. Ricordiamo che gli istituti “comprensivi” erano stati concepiti proprio in vista di una unificazione del ciclo di secondaria inferiore. Ora che sono stati imposti in tutta Italia, maldestramente e solo per risparmiare risorse, potrebbero trovare una qualche ragione d’essere e un’operatività didatticamente efficace e non solo burocratico-amministrativa.

 

Vittoria Gallina