Tempo di proposte concrete: le pari opportunità di partenza che il sistema di istruzione dovrebbe offrire

La pandemia ha evidenziato le sofferenze della scuola italiana ed è andata oltre. La scuola italiana ha una edilizia vecchia, rovinata, pericolante. La scuola italiana recluta i propri docenti attraverso concorsi macchinosi e cadenzati in modo irregolare, producendo una schiera di precari. E come per tutti i precari, ad offerta migliore non si rinuncia: i bravi  docenti scelgono altre strade, spesso meglio retribuite, e così  si allontanano dalle classi e dai ragazzi. La scuola italiana non ha ancora regolamentato ciò che è già presente in tutti gli altri settori produttivi: la formazione continua obbligatoria.  A tutto questo deve pensare la politica ma come «Sostiene Pereira, gli intellettuali hanno le loro responsabilità nel delineare le linee politiche»[1]

La pandemia ha evidenziato il divario economico delle famiglie, che poi diventa sociale, in una società dove la scuola non è più ascensore sociale. La pandemia ha sottolineato che la nostra società si è digitalizzata ma le tecnologie non sono soltanto una moda, un simpatico e divertente telefonino da tenere in mano per connettersi in modo social.  La scuola a distanza è stata una scuola con moltissime difficoltà ma un pregio lo dobbiamo riconoscere: ha mostrato che vi è un modo di lavorare, studiare, comunicare anche a distanza. Il mondo produttivo si è fermato solo quando non è stato in grado di reinventarsi a distanza.

Non voglio parlare delle innumerevoli difficoltà emotive e delle conseguenze psicologiche di un apprendimento a distanza, soprattutto se protratto nel tempo e per i bambini più piccoli. Non voglio neppure parlare dell’importanza imprescindibile della relazione dell’apprendimento congiunto, possibile solo in gruppo e in presenza. Sto dicendo che solo coloro i quali sono in possesso di un computer – e per giunta lo sanno usare – , a questo punto dell’evoluzione della società, sono in grado di apprendere, sviluppare competenze, raggiungere le informazioni. E le informazioni, in una società veloce e in un incessante cambiamento, sono ciò di cui abbiamo bisogno. Non più la scuola nozionistica, dove si elencano una serie di formule, date in progressione, saperi antichi e letteratura di altri tempi.

Di quella scuola salvo solo  la poesia, che ha sempre il potere dell’immagine evocativa ed emotiva,  e la filosofia, perché insegna un approccio alla vita da più prospettive. Ed è proprio ciò che viene utilizzato maggiormente oggi dai ragazzi: saper cogliere il cambiamento della società e sviluppare un’applicazione, costruirsi una nuova professione, saper viaggiare e attraversare le culture con la stessa facilità di Tiziano Terzani!

Come sosteneva Alberto Manzi[2], abbiamo bisogno di una scuola che insegni a pensare , abbiamo bisogno di insegnare la dialettica attraverso la maieutica (Socrate). I docenti hanno bisogno di una Agorà dove radunare (anche a distanza) i propri alunni e sviscerare l’ars oratoria, possibilmente poliglotta.

I giovani di oggi corrono veloci e sanno ricercare le informazioni, riconoscere le connessioni ma hanno bisogno di interpretare, di comprendere la differenza tra un testo informativo e una fake news. Soprattutto hanno bisogno di pari opportunità e oggi pari opportunità di studio significa anche avere un computer e una connessione internet stabile.  Ancora una volta la responsabilità è politica perché penso che il wifi dovrebbe essere un diritto costituzionalmente riconosciuto. Aggiungerei la necessità di sostenere docenti e alunni con libri che non siano semplicemente leggibili in digitale, accessibili in più lingue e con software di audio lettura. I libri devono essere editabili, i ragazzi li devono poter pasticciare, prendervi appunti, devono poter modificare il libro di testo digitale come facevano con il cartaceo.

Una scuola inclusiva parte sempre dall’offrire lo stesso punto di partenza e sa riconoscere i differenti sforzi: i voti non sono necessari, aveva ragione Manzi. L’apprezzamento e il sostegno di un insegnante nell’esperienza di crescita di un alunno è più di un bel voto, mentre  l’incapacità del docente di entrare in empatia con l’alunno o di non comprenderlo in toto, come persona ma solo per ciò che produce didatticamente, è peggio di un brutto voto. Non si tratta di quantificare i like, ma di costruire insieme, docente e alunno, partendo dalle attitudini di ognuno e offrendo pari opportunità di partenza, gli stessi diritti e doveri di crescita, e  di investire in coloro che sono i cittadini di domani.

 

[1] Antonio Tabucchi Sostiene Pereira, 1994, Feltrinelli Editore

[2] Giuseppe Pennacchia, Alberto Manzi, il mio maestro. Ricordi di scuola e dintorni, 1970

Oriana Micheletti docente di scuola primaria