Seminario annuale Invalsi

Nei giorni dal 25 al 28 novembre 2021 si è tenuto a Roma in forma mista -in presenza ed online – il VI Seminario Invalsi. Nell’ultimo periodo si può dire che le prove si  siano consolidate – ne fa fede l’interesse loro riservato alla edizione 2021 in relazione alle ricadute del periodo Covid – Nel frattempo è cambiato il presidente. Tuttavia il Servizio Nazionale di Valutazione è fermo e perciò è venuta meno la funzione di miglioramento nei confronti delle scuole. Per questo sembra tanto più importante l’altra funzione, cioè quella di ricerca sul sistema scolastico, anche in relazione delle definizione di policy. 

I seminari annuali sono un momento importante di questa funzione.  Se ne sta consolidando e ampliando la dimensione internazionale, con la partecipazione di ricercatori stranieri, grazie anche a una significativa presenza di esperti di IEA, che rimane il deposito più significativo di competenze nel campo delle valutazioni internazionali ed ai costanti contributi di   Andreas Schleicher responsabile di OCSE Istruzione. 

In Italia per Invalsi  un altro partner sempre più importante è diventato l’ISTAT, con cui mettere insieme i numeri della scuola per cercare di avere un quadro attendibile della sua realtà. Per esempio, cercando di sommare dispersione esplicita e implicita, là dove  per esplicita si intendono abbandoni e bocciature di competenza ISTAT e per implicita i risultati delle prove Invalsi inferiori alle attese. Altri partner sono oggi Save the Children, con cui approfondire i temi della povertà educativa in chiave di equità e Banca d’Italia che ha sempre avuto un ruolo di sostegno, grazie anche a due presidenti che ne hanno strutturato l’impianto scientifico nella fase iniziale.

L’arco dei temi affrontati è al solito molto ampio e talvolta dà l’impressione di una certa dispersività; probabilmente una maggiore concentrazione dei temi stessi permetterebbe un dialogo più  fruttuoso fra i ricercatori e conclusioni più significative. Anche perché non mancano i campi da esplorare, primo fra tutti la situazione del Sud che segna il divario interno più ampio fra tutti i Paesi del livello dell’Italia e che non può essere liquidata con una generica diagnosi di arretratezza economica. 

Alcune delle ricerche presentate

Sul tema Covid  e le ricadute sugli apprendimenti, una ricerca che confronta  due coorti di bambini di due anni successivi mostra che quelli della coorte Covid hanno subito in media una perdita equivalente a circa tre mesi di scuola. Il danno maggiore  è stato sperimentato da quelli con genitori non laureati e rendimenti scolastici pregressi superiori alla media, oltre che  dalle figlie femmine di genitori senza una laurea, probabilmente perché sono quelli che traggono maggior beneficio dagli stimoli offerti dalla scuola in situazioni normali. 

L’attuale focalizzazione dell’interesse sul tema dell’equità orienta molto il mondo della ricerca. In particolare viene messo a fuoco il passaggio dalla fine della scuola media alla scuola superiore e lo stretto legame fra status economico sociale e scelta di percorsi accademici o professionali. Molti ricercatori ritengono che una maggiore equità sarebbe garantita se un numero maggiore di studenti dei livelli ESCS medio-bassi si iscrivesse a percorsi generalisti, sostenendo oltretutto che questi darebbero maggiore accesso al mercato del lavoro. E che l’orientamento scolastico ha e potrebbe avere un ruolo decisivo in tutto ciò. Ma una ricerca realizzata nell’area di Torino ha concluso che anche un programma di orientamento particolarmente efficace non influenza la scelta dell’indirizzo formativo e che questo risultato è lo stesso per studenti con genitori con alti o bassi livelli di istruzione. 

La discussione sulla efficacia e funzionalità delle bocciature si trascina ormai da decenni nei sistemi scolastici dei paesi affluenti. I costanti risultati delle ricerche che da almeno un cinquantennio ne indicano una scarsa efficacia in termini di acquisizioni cognitive  hanno indotto molti paesi ad eliminare di fatto le ripetenze. Non fa eccezione una analisi longitudinale che si presenta come  il primo tentativo di valutare l’impatto della ripetenza in Italia e uno dei pochi esistenti in Europa. I risultati rivelano che la bocciatura aumenta la probabilità di passaggio a percorsi scolastici meno impegnativi e aumenta notevolmente l’abbandono scolastico, con un impatto negativo maggiore per gli studenti con genitori poco istruiti o con un background migratorio. 

Il tema dell’anticipo della frequenza scolastica a 5 anni è affrontato da due diverse ricerche da due angolature diverse. Ambedue le ricerche rilevano che gli anticipatari (bambini nati entro aprile che, a partire dalla Legge Moratti, possono iscriversi alla scuola primaria prima del compimento dei 6 anni) collocati in gran maggioranza al Sud alle prove Invalsi mostrano nei primi anni risultati inferiori, un gap che va poi attenuandosi fino a sparire. In una ricerca si giunge all’ipotesi che il gap complessivo nei risultati scolastici del Sud sia in parte significativa dovuto a questo fatto. Lascia perplessi il fatto che i problemi siano maggiori nei primi anni, mentre è consolidata oramai  la constatazione che alle prove Invalsi di seconda elementare lo iato fra Nord, Centro e Sud è molto limitato, se non inesistente. Nell’altro lavoro ci  si sofferma invece sulle ragioni presumibili della scelta dell’anticipo: ricerca di vantaggi competitivi da parte dei ceti medio-alti,  pressione sociale in questo senso e solo in minor parte la sostituzione di servizi per la prima infanzia carenti o comunque più costosi. Infine, la scelta dell’anticipo scolastico sarebbe più diffusa dove la percentuale di genitori permissivi (o forse meglio non autoritari, come nelle società meno arretrate)e la mobilità sociale sono basse e l’ineguaglianza e i rendimenti dell’educazione alti. 

Viene affrontato anche il tema degli studenti stranieri, portando in evidenza la presenza di un grading bias (pregiudizio nella valutazione)sfavorevole nei loro confronti . Cioè gli insegnanti assegnerebbero voti inferiori agli studenti stranieri rispetto ai loro compagni italiani caratterizzati dalla stessa performance nei test standardizzati in cui l’identità dello studente non è nota. Le performance dei ragazzi e delle ragazze le cui competenze sono sottovalutate finirebbe quindi per peggiorare in modo più significativo rispetto ai compagni a cui è stato assegnato un insegnante privo di queste forme di pregiudizio, portando in tal modo al compimento una cosiddetta profezia che si autoavvera. 

Sempre a livello della scuola nel suo complesso sarebbe di massima importanza cercare di individuare i fattori che determinano un effetto scuola (ES) positivo o negativo. Si tratta di una misura di quello che viene anche altrimenti chiamato Valore Aggiunto; mentre la grande maggioranza delle scuole italiane non sembrerebbe evidenziare allo stato attuale della ricerca un Valore Aggiunto significativamente positivo o negativo, esiste comunque una minoranza in ambedue gli estremi, con una maggioranza dei VA negativi collocata al Sud. La ricerca presentata cerca di individuarne fattori significativi. In merito alle variabili organizzative, la leadership di supporto, il decision-making partecipativo e il supporto dei colleghi sembrano avere un ruolo positivo. In merito invece alle variabili didattiche, la fiducia nelle potenzialità della didattica e le iniziative per l’inclusione hanno riportato livelli significativamente più alti tra gli insegnanti di scuole con ES negativo; l’ideologia delle doti naturali è risultata invece significativamente più presente tra gli insegnanti di scuole con ES positivo. Certamente non è chiaro quale sia la causa e quale l’effetto, se cioè le speranze nella didattica ed i tentativi di inclusione causano o sono invece causati da situazioni problematiche. 

Sempre sul tema voti una ricerca trentina è approdata alla conclusione che gli studenti con insegnanti più severi in quinta elementare avrebbero risultati migliori in Italiano e Matematica sia in terza media che in seconda superiore. E questo indipendentemente dal genere, dal background socioeconomico e dai diversi livelli di partenza. 

Da ultimo viene da osservare che latita  un minimo accenno al tema degli studenti di alto livello, mentre abbondano i temi legati all’equità. Il problema dei cervelli che emigrano comincia dalle scuole, quando si pensa che i migliori non abbiano bisogno di riconoscimento, di valorizzazione, se non addirittura di sostegno. Anche perché fin dall’inizio delle prove standardizzate internazionali è risultata evidente la scarsità degli apicali italiani. E non solo al Sud. 

Tiziana Pedrizzi, già dirigente scolastico;  distaccata IRRE. Esperta di  sistemi educativi.