Gli studenti non italiani nella scuola italiana secondo l’ultimo rapporto del MIUR

Nell’ultimo Notiziario  sugli studenti con back ground migratorio (a. sc. 2019-20), salta subito all’occhio che l’ufficio statistico di viale Trastevere continua a rilevare solo gli alunni «senza cittadinanza italiana». Ma la definizione e il perimetro sono  inappropriati. Non solo perché gli studenti vengono rappresentati per quello che non hanno invece che per quello che sono e portano nella scuola (plurilinguismo, multiculturalità, intercultura), ma perché ne derivano numeri sottodimensionati. L’ISTAT osserva che se si considerassero anche i figli di coppie miste e quelli che hanno già acquisito la cittadinanza italiana, gli studenti figli dell’immigrazione sarebbero molti di più, almeno 1 milione e mezzo, non gli 877.000 dello scorso anno. Negli ultimi dieci anni i nuovi cittadini sono stati più di un milione, 800.000 negli ultimi cinque. Per più ragioni, quindi, sarebbe meglio concentrare lo sguardo sui ‘nuovi italiani’, anche a costo di  altri mal di pancia dei contrari, e  a una sensata riforma della cittadinanza. Altri limiti rendono il quadro meno compiuto di quanto dovrebbe  essere. Mancano i dati sulla partecipazione dei giovani adulti a CPIA e corsi ex-serali, un pezzo importante di quel sistema per l’apprendimento permanente (Centri Provinciali per l’Istruzione per gli Adulti) che in Italia ancora non decolla, e sono parziali – perché ci sono Regioni non collaborative – quelli sulla partecipazione all’IeFP (Istruzione e Formazione Professionale). Lo studio, inoltre, non dà informazioni sui possibili effetti speciali, su questa porzione di studenti, degli sconquassi scolastici da Covid-19.

Le seconde generazioni dell’immigrazione

In numeri assoluti i ‘senza cittadinanza’ sono aumentati dal 2018-19 di sole 19.000 unità. Una crescita (+2,2%) non trascurabile ma  più debole che in passato, in linea con il +23,4% dell’ultimo decennio e invece molto distante dal +357% di quello precedente. Niente di emergenziale, dunque. L’andamento, spiega il Notiziario, riflette la progressiva stabilizzazione di gran parte della popolazione immigrata. Confermato dalla diminuzione ( -3.000 ) degli studenti nati all’estero e dall’aumento (+22.000 ) di quelli nati in Italia. Crescono di quasi un punto le seconde generazioni, ormai il 65,4% del totale, alcune nazionalità di più altre di meno. Gli studenti cinesi, per dirne una, sono nati in Italia nell’84,7% dei casi. Ancorché modesto, l’incremento dell’ultimo anno si traduce in un maggior peso percentuale sul totale della popolazione scolastica, dal 10,0 al 10,3%, perché nello stesso tempo si sono persi per calo demografico più di 100.000 studenti italiani, un’emorragia sempre meno compensabile dagli ‘altri’ ( anche le coppie straniere, col tempo, fanno meno figli). 

Questi e altri fenomeni, come  l’assottigliarsi dei nuovi flussi in ingresso, causano trasformazioni importanti. Le seconde generazioni, ormai maggioritarie, hanno infatti aspettative, comportamenti, esiti scolastici tendenzialmente più simili a quelle dei compagni italiani, le femmine più dei maschi. Se in passato gli studenti di provenienza straniera sceglievano dopo la scuola media soprattutto i professionali, un po’ meno i tecnici e raramente i licei, oggi  scelgono più i tecnici dei professionali, e sempre più spesso anche i licei (pochi il classico, molti di più lo scientifico, il linguistico ed altri). Si sta accorciando anche il gap tra i risultati in Italiano e Matematica ( in Inglese, dice Invalsi, a essere svantaggiati sono invece qualche volta gli italiani), e le comparazioni distinguono tra tre gruppi, gli italiani, gli stranieri nati in Italia e quelli nati all’estero. Le famiglie investono sempre di più sul prolungamento degli studi nella secondaria di II grado (con un incremento degli studenti stranieri del 43% nell’ultimo decennio), puntando sull’istruzione superiore come canale di mobilità ascendente. Le tendenze in corso continuano invece ad avere  connotazioni specifiche nei diversi livelli di istruzione e per aree territoriali. La consistenza delle seconde generazioni, altissima nelle scuole per l’infanzia e nella primaria, precipita a 40,8% nella secondaria di II grado, l’ultima in ordine di tempo a essere investita dal fenomeno. La presenza di studenti stranieri (quasi la metà europei, in testa i romeni)  si addensa diversamente tra Nord e Sud. Se in Lombardia e in Emilia-Romagna sono il 16 e il 17 per cento della scolarità totale, nel Sud sono sempre al di sotto del 10 per cento, dal 7,6 dell’Abruzzo al 2,7 della Sardegna. 

La permanenza di criticità storiche

Ma i processi di stabilizzazione e la  riduzione dei fattori forieri delle massime difficoltà non hanno determinato lineari, progressivi, omogenei processi di superamento di gran parte delle criticità tradizionali. Le pur numerose buone pratiche nell’accoglienza, nell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, nell’educazione interculturale attivate in quasi trent’anni di esperienza, non bastano da sole a innescare un cambio di passo nell’intero sistema. In assenza di politiche che  rendano strutturali i cambiamenti organizzativi e professionali che servirebbero, le evoluzioni positive che pure ci sono, sembrano trainate principalmente dall’incremento delle seconde generazioni, dalle loro minori difficoltà linguistiche e di adattamento, dal loro impegno e dalla loro speciale determinazione. I numeri del Notiziario dicono   che i miglioramenti sono lenti e che il quadro resta per più versi  problematico. 

Spiccano, tra gli altri, alcuni fenomeni. Colpisce, per esempio, che la partecipazione alle scuole per l’infanzia, decisiva per superare prima della primaria le difficoltà linguistiche e relazionali di chi, pur nato in Italia, appartiene a nuclei familiari non italofoni e alle comunità più chiuse, presenta un netto gap tra italiani ( 96,3%9 e stranieri (83,7%), a cui si aggiunge per alcune nazionalità un inquietante svantaggio delle bambine rispetto ai bambini. Colpiscono anche i dati sul tasso di scolarità per età e sulla regolarità dei percorsi. Nel passaggio dal primo al secondo ciclo si perde per strada quasi il 9% degli studenti (l’82% si iscrive alla secondaria di II grado, il 9,6% alla formazione professionale) mentre il tasso di scolarità nella superiore crolla tra i 17 e 18 anni a 73,2%, otto punti in meno rispetto all’81,1% degli italiani. Sono più di un quarto quelli che non arrivano al diploma, mentre  il Notiziario non dice quanti  nella formazione professionale completino l’obbligo di istruzione e conseguano  qualifiche e diplomi. Anche i ritardi scolastici, dovuti in parte a iscrizioni in classi inferiori all’età prevista (dovrebbero essere sempre motivati, ma possono essere  anche il riflesso di un’incapacità di trattare altrimenti le difficoltà, linguistiche o di altro tipo) e in parte alle ripetenze, restano vistosi. Nel 2019-20 gli studenti italiani in ritardo sono l’8,9%, gli stranieri il 29,9%, con valori significativi fin dalla primaria. Nella secondaria di II grado, i primi sono il 18,8%, i secondi il 56,9%. Che sia vero, come sostengono alcuni studi, che sugli studenti con back ground migratorio pesa l’ethnic penalty, una sorta di penalizzazione connessa con lo status stesso di migranti? In Italia non ci sono molti studi sul tema. 

Alcune indagini hanno però accertato che gli studenti stranieri ricevono meno spesso degli italiani, anche a parità di performance nella scuola media, un orientamento al comparto liceale, segno che nella cultura professionale dei docenti vivono stereotipi o pregiudizi che contribuiscono, magari non intenzionalmente, al riprodursi delle diseguaglianze. È comunque noto che in molti contesti scolastici l’intreccio tra rigidità organizzative e deficit professionali non consente di curare come si dovrebbe, dalle scuole dell’infanzia alla superiore, l’apprendimento dell’italiano e il bilinguismo, di assicurare laboratori linguistici permanenti e di sviluppare l’italiano per lo studio, di valorizzare le lingue d’origine. Ne derivano difficoltà nell’apprendimento in quasi tutte le aree disciplinari, tanto più in una scuola fondata sulla lettura e sulla scrittura, e poco abituata a utilizzare e valorizzare altri linguaggi.

Gli ‘addensamenti’ di studenti stranieri nelle scuole

Non è sulle cause delle criticità, del resto, che si concentra il Notiziario, che non utilizza in alcun modo i risultati di PISA e neppure di Invalsi. Nel focus ci sono però dati e informazioni che evidenziano  problemi su cui intervenire prioritariamente, tra cui la segnalata tendenza all’aumento delle scuole con una presenza molto alta – sopra il 30%, talora anche sopra il 50% – di studenti stranieri (il 6,8%, quasi tutte nel Nord), anche nelle scuole del primo ciclo, e in contesti territoriali connotati da insediamenti abitativi molto misti e plurali, sia socialmente che etnicamente. È la ‘fuga bianca’ delle famiglie del ceto medio intimorite da ‘troppi’ studenti di provenienza straniera, come accerta il recente studio del Politecnico sulle scuole del primo ciclo di area milanese? Sono gli effetti di cattive interpretazioni dell’autonomia scolastica e dell’abolizione dei bacini di utenza? È un fatto, comunque, che addensamenti troppo omogenei – lo sostiene anche Invalsi – non giovano né all’integrazione né alla qualità dell’apprendimento. E anche che in molte realtà è assente o molto debole un governo territoriale efficace ed equo del rapporto tra domanda e offerta di istruzione. Risolvere i problemi richiede qualcosa di più e di diverso dalla solita retorica sull’inclusione e sull’intercultura.

Fiorella Farinelli Politica e saggista,  docente esperta di  istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri