Privazione della libertà e rispetto della persona: Mauro Palma all’Accademia dei Lincei

La relazione su I diritti delle persone private della libertà svolta il 16 aprile 2021 all’Accademia dei Lincei rappresenta la summa della riflessione di Mauro Palma sul tema. Un pensiero lungo, lo svolgimento di un filo che, attraversando la storia personale dell’Autore, nell’esercizio di diverse funzioni, si riavvolge ora, ordinatamente, trovando una sintesi a partire dallo «sguardo plurale» imposto dal ruolo di Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Plurimi sono i punti di osservazione così come gli obiettivi: dalle restrizioni conseguenti a provvedimento penale a quelle connesse all’accertamento della regolarità della posizione dello straniero che si trovi nel territorio nazionale, dalla sottoposizione a trattamento sanitario obbligatorio al ricovero temporaneo in servizio psichiatrico ospedaliero o in residenze sanitarie. Privazioni de facto o de iure che rientrano nel campo di azione dell’Autorità garante, attraverso l’esercizio di attività di controllo funzionali a “prevenire” situazioni potenzialmente produttive di violazioni dei diritti. 

Due sono gli assi attorno ai quali ruota il discorso di Palma: la restrizione della libertà come extrema ratio; l’affermazione dell’autodeterminazione come principio fondamentale. Il tutto in una prospettiva di effettività, che non tollera astrattezze con riguardo alla tutela della dignità e dell’intangibilità fisica e psichica della persona. Da un lato, il minor sacrificio necessario della libertà personale, sotteso a tutto il discorso di Palma, altro non è che il riflesso del principio di massima espansione della libertà, nelle varie direzioni possibili, che si ricava dalla lettura complessiva delle previsioni costituzionali che interessano i diritti. Dall’altro, l’evocata effettività dei diritti altro non è che l’immediata proiezione dell’impegno costituzionale alla rimozione delle diseguaglianze: non basta riconoscere i diritti, è necessario porre le persone nelle condizioni materiali di poterli esercitare. 

Perché ciò accada – perché i diritti possano essere effettivamente esercitati da tutti – occorre un adeguato sistema di welfare, con tutto ciò che ne consegue, in particolare, nel contesto penitenziario. Il carcere è, infatti, per eccellenza, il luogo delle diseguaglianze, abitato in prevalenza dai ‘fuori margine’ (stranieri, tossicodipendenti, recidivi per reati di media gravità). E le diseguaglianze, rilevabili in ingresso, sembrano acuirsi in uscita. In ingresso, perché qualsiasi studio sulla condizione carceraria restituisce l’immagine di una pena detentiva ‘selettiva’, dove la selezione riguarda il perdente nella competizione sociale; nella fase della espiazione, in quanto si riscontrano significative differenze tra gli istituti penitenziari, sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello della offerta di possibilità di riscatto.In uscita, tra i detenuti, di nuovo essendo molto diversa, secondo il luogo di espiazione, la propensione da parte delle istituzioni locali a favorire il reinserimento nella società e in particolare nel lavoro. Ma quest’ultima diseguaglianza restituisce quasi sempre una negativa condizione di eguaglianza tra gli ex detenuti, che tutti si trovano in difficoltà nel rientro della società e soprattutto nel mondo del lavoro, proiettandosi lo stigma del reato oltre l’espiazione della pena.

Ma l’orizzonte che dischiude la relazione di Palma ha una proiezione più ampia, va oltre il carcere. È un invito ad abbracciare, guardando a tutte le situazioni di limitazione della libertà personale, una prospettiva che non è quella dell’oggi e del dentro, ma quella del domani e del fuori. La restrizione, ove necessaria, non deve mai ridursi a «tempo meramente sottratto», né tradursi in una ‘spersonalizzazione’ del suo destinatario, come rischia di accadere nelle collettività ristrette ove la persona tende a essere ridotta a ‘numero’, confinata nell’anomia. È proprio la natura dei diritti fondamentali a imporre una nuova prospettiva, non potendo mai la necessità di bilanciare o ponderare i diritti , con altre esigenze od obiettivi, pur se di rango costituzionale, o giustificare la loro compressione oltre il punto che ne determini il completo sacrificio. Qualsiasi forma di restrizione delle libertà, per quanto legittimamente motivata dall’esigenza di difendere un interesse della collettività, non può mai far venir meno il rispetto della persona, che è alla base della convivenza civile. 

Come dice Palma, in tutte le situazioni privative della libertà personale la limitazione all’esercizio dei diritti non può, insomma, che essere «strettamente coerente con la ragione in base alla quale l’ordinamento la prevede e l’autorizza». Ove quel limite di coerenza fosse superato, la scelta acquisirebbe una valenza afflittiva supplementare, senz’altro sproporzionata rispetto alla ragione che può stare a fondamento della privazione della libertà personale. Ed è qui che il discorso può ben trascendere la condizione detentiva, chiamando in causa quel rispetto della persona umana che, non a caso, è sia fondamento dei principi di umanizzazione e di rieducazione sia limitazione esplicitamente posta alla possibilità, riservata al legislatore, di disporre trattamenti sanitari obbligatori.

Marco Ruotolo Professore ordinario di «Diritto costituzionale» presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre, Prorettore con delega per i rapporti con scuole, società e istituzioni, Direttore del master in diritto penitenziario e costituzione