Percorsi quadriennali: una scarsa adesione

Il Ministero dell’Istruzione con il decreto n. 344 del 3 dicembre 2021 ha previsto, a partire dall’anno scolastico 2022/23, un consistente ampliamento sino a 1000 classi prime della secondaria di secondo grado che possono, in un quadro di sperimentazione, ridurre a quattro anni l’attuale durata di studio di cinque.

La sperimentazione è rivolta sia alle scuole statali sia alle scuole paritarie che siano interessate ad avviare percorsi quadriennali nei licei e negli istituti tecnici a partire dall’anno scolastico 2022/23, mentre per gli istituti professionali si prevede l’avvio di partire dall’anno scolastico 2023/24 a quando, cioè, sarà completato l’iter della riforma degli ordinamenti introdotti con il D.lgs. n. 61 del 2017.

L’ampliamento della sperimentazione a 1000 classi, su cui il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ha espresso parere negativo, fa riferimento al capitolo 1.4 Missione 4.C1 del PNRR, relativo alla riforma del sistema di orientamento, in cui, comunque, non viene fatto alcun richiamo esplicito alla sperimentazione dei percorsi quadriennali. Questi stessi, è bene ricordarlo, sono stati avviati dapprima nel 2013 per 13 licei, e, dall’anno scolastico 2018/19 (con il DM n. 567/17) estesi a un numero di 192 istituti e di cui non si conoscono ancora oggi i risultati.

Una adesione al di sotto delle previsioni ministeriali

Quali sono le scuole secondarie che hanno aderito al nuovo progetto di ampliamento dei percorsi quadriennali? Dai dati pubblicati il 21 gennaio 2022 dagli Uffici Scolastici Regionali emerge un’adesione complessivamente ‘fredda’ da parte delle scuole al progetto di sperimentazione, molto inferiore alle ipotizzate 1000 classi prime: una  percentuale al di sotto del 50%, con punte ancora più basse come, per  esempio, in Lombardia, dove erano previste 150 classi prime; invece, hanno aderito al nuovo progetto quadriennale solo 30 classi distribuite tra licei, Istituti tecnici e professionali.

Come va interpretata, allora, questa adesione non entusiasta da parte delle scuole? Senza dubbio, un ruolo negativo l’hanno giocato i tempi ristretti di progettazione della sperimentazione; in pratica, tra l’uscita del decreto avvenuta il 7 dicembre 2021 e la consegna prevista per il 4 gennaio 2022, le scuole hanno avuto a disposizione meno di un mese per ridefinire un nuovo impianto ordinamentale e culturale, senza il supporto tecnico scientifico di esperti e in assenza di precise linee guida nazionali.

La complessità della progettazione, sicuramente, può aver scoraggiato molte scuole, infatti, nella progettazione vengono richiesti: una rivisitazione degli impianti dei curricoli disciplinari, capaci di garantire il raggiungimento delle competenze in uscita previste in solo quattro anni rispetto ai cinque; il potenziamento delle discipline STEM e dell’apprendimento linguistico; l’introduzione di moduli sui temi della transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile; la valorizzazione delle attività laboratoriali, basate sull’utilizzo di metodologie innovative, incentrate sul coinvolgimento attivo degli studenti e delle tecnologie multimediali; la rimodulazione del calendario scolastico e l’organizzazione dell’orario settimanale delle lezioni con più rientri pomeridiani, finalizzati a recuperare in parte la riduzione di un’annualità. Nel decreto si chiede la disponibilità dei docenti a partecipare a percorsi di formazione e a monitorare costantemente gli esiti della sperimentazione.

Siamo di fronte a una progettazione che richiede, oltre ai tempi di approvazione del Collegio e del Consiglio di Istituto, forti competenze professionali, il coinvolgimento attivo dei docenti e una reale condivisione delle finalità della sperimentazione.

La sperimentazione va inserita in un quadro complessivo di riordino della secondaria di secondo grado

Tuttavia, forse, la ragione di questo scarso successo dell’offerta ministeriale va rintracciato nella natura stessa della proposta. Ci si chiede per quale motivo le scuole debbano imbarcarsi nell’attivare una sperimentazione in pratica a costo zero dove viene detto nell’avviso ministeriale che «l’innovazione è effettuata nei limiti delle risorse strumentali e professionali …» con un impegno di lavoro  aggiuntivo, per sperimentare un percorso formativo di quattro anni, che non è certo che possa garantire risultati di apprendimento in linea con i percorsi quinquennali e con il rischio, in prospettiva, di una riduzione degli organici.

Il punto centrale è, però, capire a quale logica di politica scolastica risponde la riduzione  di un anno della secondaria. Ci si domanda se lo scopo della sperimentazione sia quello di attivare un processo di riforma della secondaria di secondo grado ancora oggi incardinata su un modello ordinamentale gentiliano di tipo classista.
È legittimo chiedersi se il taglio di un anno di scuola secondaria da cinque a quattro risponda a una logica di riduzione della spesa o se invece questo sottenda una visione più complessiva e strategica, per  esempio quella di elevare la qualità degli apprendimenti, di contrastare la dispersione scolastica, che nel primo biennio della secondaria tocca percentuali che vanno oltre il 20% e che nel percorso dei cinque anni vede  diplomarsi regolarmente una media di studenti inferiore al 70%. In altre parole, non si può attivare una sperimentazione ordinamentale come questa senza ricondurla all’interno di un processo più complessivo, che metta ordine nel quadro dei cambiamenti messi in atto.

Mi riferisco specificamente alla recente riforma degli Istituti Professionali:

  • la sperimentazione dei percorsi degli Istituti Professionali di Stato organizzati in quattro anni ha come prospettiva il riallineamento con il diploma di tecnico professionale previsti nella formazione professionale della durata di quattro anni gestiti dalle Regioni?
  • La riduzione a quattro anni punta ad articolare il percorso in due bienni di cui uno formativo – orientativo e l’altro professionalizzante?
  • Il primo biennio diventa realmente conclusivo dell’obbligo di istruzione, spostando l’esame di Stato della scuola secondaria di primo grado a 16 anni?
  • La riduzione a quattro anni del percorso, in particolare degli Istituti Tecnici e Professionali, richiede la ridefinizione dei percorsi post diploma, rendendo vincolante il raccordo con l’Istruzione Tecnica Superiore; puntando, ad esempio, a rendere obbligatori i due anni post diploma visti come snodo per un effettivo inserimento nel mondo del lavoro?

Questi sono solo alcuni problemi correlati alla sperimentazione dei percorsi quadriennali, che vanno affrontati in un quadro complessivo di riforma del sistema di istruzione dove una larga parte si gioca, ora, negli investimenti previsti dal PNRR per la scuola.

Walter Moro