Non possiamo essere indifferenti

Il messaggio della DS Annalisa Savino sui fatti di via della Colonna di Firenze è all’origine di un diffuso dibattito che ripropone la questione dell’educazione dei giovani nel sistema scolastico in una fase storica di passaggio segnata dalla pandemia, dalla guerra, dalla crisi climatica, dall’inflazione, dalle migrazioni bibliche. Una lettera nobile e luminosa che con esemplare semplicità ricorda ai suoi studenti che di fronte alla gravità e alla immane crudeltà degli eventi che ci circondano, e sui quali non possiamo incidere direttamente, ci sono i fatti del nostro quotidiano, delle baruffe fuori scuola, delle chat violente, dei rapporti interpersonali deteriorati, c’è la vita corrente dei marciapiedi e dei muretti, in cui la violenza  e l’intolleranza si possono diffondere come un’infezione e apparire non gravi lasciandoci indifferenti perché eventi ben più gravi ci sovrastano. È in fasi storiche come queste che la convivenza civile e democratica può incrinarsi dando luogo a regimi autoritari violenti e guerrafondai come vivemmo noi italiani cento anni fa con il fascismo e (aggiungo io) come sperimentiamo ora con la crisi dell’Occidente liberal democratico  di fronte al dilagare della cruda realtà delle guerre scatenate da regimi autoritari.

Il richiamo della preside contro l’indifferenza ci riguarda come rivista che discute di scuola e che cerca di alimentare una crescita diffusa della qualità democratica della convivenza dei giovani e del valore di ciò che si apprende per diventare cittadini competenti, liberi, critici, consapevoli e tolleranti. Per questo nella nostra prima pagina abbiamo inserito subito la foto della circolare.

Vogliamo aggiungere qualche ulteriore riflessione a commento del dibattito così esteso che ha avuto luogo in questi giorni. 

In effetti il testo della lettera si prestava ad una lettura politica ostile all’attuale governo e molti commenti hanno accentuato questa interpretazione. Nella sua reazione il ministro Valditara ha gioco facile nel dire che un pubblico funzionario non può mostrarsi ostile nei confronti delle istituzioni che rappresenta. In realtà la preside stigmatizza chi si chiude e alza muri contro i diversi e sogna i valori degli avi; forse tocca un nervo scoperto di una parte della attuale maggioranza facendo esplicito riferimento ai programmi di quella organizzazione giovanile a cui sembravano appartenere coloro che avevano aggredito. Ma questo riferimento era necessario se non si voleva che la lettera si riducesse ad una blanda esortazione buonista: il rifiuto della violenza necessita di un contesto valoriale preciso che, tradotto per una comunità scolastica, vuol dire non illudiamoci di poterci isolare dai problemi che ci circondano alzando muri ed escludendo chi non ci piace, non dobbiamo essere indifferenti ma nemmeno intolleranti.  

La leggibilità politica del testo non giustifica però la posizione del Ministro che reagisce esibendo la forza dei rapporti di potere che regolano l’amministrazione di una organizzazione complessa come la scuola: non per niente un sindacato dei dirigenti scolastici ne rivendica il ruolo specifico che va oltre la mera gestione burocratica in quanto essi sono interpreti e rappresentanti di comunità educanti formate da adulti e giovani spesso distribuite in vasti territori. Troppo spesso sembra che l’autonomia scolastica sia una fastidiosa sovrastruttura rispetto ad una concezione ormai superata di scuola inquadrata dentro strutture burocratiche verticistiche. 

Nella reazione del Ministro c’è anche una vecchia e consolidata convinzione della destra conservatrice che la scuola possa essere un luogo asettico finalizzato solo al raggiungimento degli obbiettivi conoscitivi dell’apprendimento in cui la politica è bandita in quanto sarebbe un indottrinamento e una strumentalizzazione a fini elettoralistici e partitici. In realtà, non solo la scuola non bandisce i contenuti propri di un discorso politico con insegnamenti specifici come l’educazione civica, la storia, la filosofia, le scienze, la letteratura ma è anche  il luogo in cui tutti gli attori dal dirigente allo studente, all’ausiliario fanno politica con comportamenti  e decisioni che si realizzano in una agorà che in quanto tale è politica. La lettera della preside si inserisce in questo quadro e  nel proprio contesto specifico sarà accolta, commentata, contestata, chiosata come tanti altri eventi che intorno ai fatti che l’hanno originata si svilupperanno in quella scuola. 

Visto che la condivisione via social delle immagini del pestaggio del ragazzo davanti alla scuola è all’origine di questa reazione emotiva intensa e diffusa vorrei a chiusura richiamare l’attenzione del lettore su tutta la sequenza e sul sonoro in particolare sulla voce fuori campo e poi sull’immagine di una signora che interviene a difesa del ragazzo a terra: questa professoressa interpreta molto bene il valore di chi insegna ai giovani, tiene stretti i libri quasi fossero uno scudo e si intromette quando ancora i ragazzi si azzuffavano, chiede gridando di smettere e allontana i picchiatori come per dire sbrigatevi prima che arrivi la polizia. Anche questa scena si presta a tante letture e molteplici interpretazioni, è l’ambiguità del rapporto educativo che spesso deve accogliere e comprendere altre volte punire. È la difficile realtà della scuola militante che questa rivista cerca di rappresentare.

Raimondo Bolletta già dirigente scolastico, membro della redazione