Merito, Dispersione, Divari 

  1. Merito di chi, a quale età, a quale condizione ?

Merito è un concetto molto sfaccettato, al centro di dibattiti storicamente  e culturalmente rilevanti, con grandi ma controversi  impatti sui sistemi educativi e sulla valutazione dei risultati. Se un ragazzo ha 8 in matematica, è facile concordare  sul fatto che è bravo, ma la condivisione valutativa si fa di sicuro più problematica a proposito delle competenze socio- emotive  più prossime a valori identitari, come l’apertura e la collaborazione con gli altri,  o quando ai buoni risultati nelle discipline  vengono associati  “dovere”, “responsabilità ”, “impegno”. In ogni caso, se vogliamo che il Paese sappia misurarsi con lo sviluppo accelerato dei nostri tempi e che la  qualità del  vivere civile migliori, chi merita deve essere accolto, individuato, coltivato e premiato. Anche perché per chi è in condizioni sociali difficili, la scuola è l’unica e difficilmente ripetibile occasione di crescita  in una società oggi molto più bloccata, e anche più polarizzata tra vincitori e vinti, rispetto alla seconda metà del secolo scorso. Una delle prove più evidenti di quanto faccia male al nostro sistema educativo la non valorizzazione delle potenzialità e dei meriti dei  giovani sono gli oltre due milioni di Neet, marcati da un’idea negativa di sé radicatasi  in un’ esperienza scolastica connotata da  risultati scarsi nelle competenze di base – anche quando si sia conseguito il titolo finale –  e vissuta perciò come fallimentare.  

Nell’istruzione va garantita quella che Michael Sandel chiama uguaglianza di condizione, solo a valle di questa si può prendere in considerazione il dilemma uguaglianza dei risultati Vs uguaglianza delle opportunità. Un’uguaglianza di condizione che permetta a chi vive in contesti socio culturali difficili, di far fiorire i propri talenti e di esercitarli, dimostrando così i propri meriti.  Nella scuola si tratta di garantire a tutti (non solo ai “capaci e meritevoli”) il pieno possesso delle competenze alfabetiche, culturali e di   su un profilo professionale dato una volta per tutte e  in grado di stare al passo con i cambiamenti. E’ un buon livello di formazione di base  la condizione per partecipare a ulteriori occasioni di formazione continua/permanente, e per essere un cittadino attivo. Da lì in poi, da una vera uguaglianza di condizioni, ciascuno  potrà, se si impegna, dimostrare di essere “il migliore”. Questo livello  di base, che nel nostro Paese coincide con il biennio e in Europa con il diploma,  sarebbe opportuno che coincidesse non tanto con il titolo quanto con le competenze a cui questo si riferisce, con in più un po’ di cultura digitale e di socio emotional skill.

       2. Autonomia scolastica e governance del sistema

La legge sull’autonomia ha permesso alle scuole di realizzare progettazioni, piani  di miglioramento e ampliamento dell’offerta formativa legate alle aspettative ritenute più rilevanti per lo sviluppo del territorio, le specificità del contesto sociale e produttivo,l’evoluzione  professionale della comunità docente. Nonostante i lamenti dell’ANP – l’”autonomia bloccata” dall’impossibilità dei dirigenti  di scegliere liberamente i collaboratori insegnanti e amministrativi – in molte realtà del  Paese, talvolta anche in contesti non facili, dove un dirigente capace e visionario ha favorito la crescita di un bel gruppo di collaboratori, ha costruito buoni rapporti con le imprese, gli EELL, il Terzo settore, le istituzioni culturali locali, le Università, elaborando un progetto forte di scuola, si sono prodotti risultati eccellenti prima di tutto per gli studenti, ma anche per gli insegnanti, contenti di sé, del lavoro che fanno e delle loro professionalità. Queste scuole sono tante, anche al Sud, grazie al DPR 275, che contiene quasi tutte le indicazioni  più importanti.Per contro la loro distanza  da quelle in difficoltà si è approfondita e il solco di anno in anno diviene più profondo.

In Sicilia, dove  grazie al robusto sostegno di una fondazione privata seguo con la collaborazione di associazioni del Terzo settore tre istituti comprensivi in grande difficoltà per un progetto di miglioramento con un orizzonte di sei anni, la situazione è piuttosto complessa. La evidenziano i dati dell’Invalsi :

 

Sicilia, distribuzione delle scuole per tipologia
Non prioritarie in difficoltà** in grande difficoltà*
Grado 8 46,6% 42,1% 11,3%
Grado 13 34,0% 23,8% 42,2%

*In grande difficoltà: più del 45% degli allievi per due anni di fila a in tutte e quattro le prove Invalsi

**In difficoltà: tra il 30% e il 45% degli allievi per due anni di fila a livello 1 o 2 in tutte e quattro le prove Invalsi

Se più della metà delle scuole medie e più di due terzi delle scuole superiori (in cui peraltro nella quasi totalità dei casi gli studenti conseguono la maturità) hanno alunni con risultati negativi, i bambini e i ragazzi che frequentano queste scuole di sicuro non hanno  possibilità di far emergere i loro talenti, di far crescere le loro capacità, di far valere il loro merito, anche quando sono in gamba e si impegnano . Il “valore aggiunto” delle loro scuole è negativo, talvolta molto negativo. E’ una situazione diffusa in molte altre regioni. I divari nella qualità dell’offerta delle scuole è ben presente anche nelle città del Nord. Non a caso un fenomeno sempre più evidente è quello della segregazione scolastica: chi ne ha la possibilità sceglie di far frequentare ai propri figli alcune scuole, per lo più nei centri delle città. Una polarizzazione tra scuole in cui c’è da un lato concentrazione di alunni figli di genitori a bassa scolarità e in condizione sociale difficile e dall’altro figli di genitori scolarizzati e per lo più in buone condizioni economico-sociale (qualche volta, soprattutto al Sud, la polarizzazione è nello stesso istituto, tra una sezione e l’altra ). A Milano il 60 per cento dei bambini del primo ciclo non frequenta la scuola di zona. Vale la pena sottolineare che lo studio di questi fenomeni appassiona di più coloro che si occupano di programmazione urbana, del traffico che alle 8 del mattino impedisce il passaggio sui ponti di Torino, dei prezzi delle case che vanno alle stelle vicino alle scuole più attrattive , e interessa molto meno le cattedre di pedagogia . Ma se una scuola ha 85% di bambini stranieri di prima e seconda generazione, tanti Bes e un’altra  una popolazione scolastica del tutto diversa come la mettiamo?

L’autonomia ha permesso a molte scuole di fiorire ma, a distanza di 25 anni, ha bisogno di una valutazione associata a una nuova assunzione di responsabilità da parte del Ministero, per ridurre segregazione e divari territoriali, per innescare percorsi di miglioramento in direzione dell’eguaglianza delle  opportunità.  Grazie a sistemi informativi sofisticati e  rodati, delle scuole in difficoltà il Ministero conosce in verità tutti i connotati: i risultati degli allievi, la dispersione esplicita e implicita, l’andamento delle assenze degli studenti  e quello della “fuga” verso scuole migliori dei migliori tra gli insegnanti, i dirigenti, gli amministrativi  (qualche “eroe” per fortuna continua a esserci), mentre a fermarsi lì sono spesso gli operatori  peggiori che si mimetizzano meglio nei contesti meno esigenti. Conosce anche le condizioni dell’offerta, dalla qualità edilizia ai laboratori, dal tempo scuola alle relazioni con il contesto territoriale e alle dotazioni tecnologiche. Tuttavia il Ministero tratta tutte le scuole nello stesso modo : quanto al personale, la sua assegnazione è regolata dagli stessi  impersonali algoritmi che valgono ovunque.In Francia dal 1981 ci sono le ZEP (Zone di Educazione Prioritaria), oggi ECLAIR (Écoles, Collèges et Lycées pour l’Ambition, l’Innovation et la Réussite), articolati in più livelli di difficoltà, con insegnanti in più, assistenti pedagogici, incentivi economici per chi insegna in quelle scuole etc.  Sarebbe ora di avviare anche da noi un cantiere di riflessione su come intervenire in queste realtà.

Per il sostegno a queste scuole ci sono i PON, oggi il PNRR, null’altro. Forse il ragionamento sul merito deve partire da qui.  Quattro settennati di miliardi europei con obiettivo principale la lotta alla dispersione ma con  divari nel frattempo cresciuti (i dati Invalsi e Pisa, ma anche il diffondersi della segregazione scolastica, sono impietosi), c’è con tutta evidenza molto  che non va. Non va, tra l’altro, che a programmare e gestire le risorse siano, nel Ministero, sempre le stesse persone responsabili di come sono andate le cose finora.  Anche il PNRR divari  sta diventando infatti un megacorsificio di recupero. Incide poco/nulla sulla programmazione “normale” della scuola autonoma, per aiutare a migliorarla, accompagnarla e farla crescere nei risultati di apprendimento degli allievi, nella diffusione di innovazione didattica, di laboratorialità, di crescita professionale dei docenti etc. Idem per le azioni del PNRR 4.0 per gli ambienti di apprendimento. Gli acquisti sono predefiniti in modo uguale, anche per le scuole già iperdigitalizzate e per quelle che hanno fatto un uso intelligente delle molte risorse attivate per la DAD in epoca Covid. Gli acquisti spesso non sono conseguenza di nuove visioni dell’offerta formativa delle scuole, di nuove impostazioni della didattica, che magari richiederebbero interventi sugli infissi o nuovi spazi  per azioni di animazione teatrale.  Stiamo assistendo a una quantità di progetti fotocopia, spesso suggeriti dai venditori di tecnologie e arredi, oggi attrezzatisi come assistenze tecniche molto interessate al mercato scolastico. Sullo sfondo, una spesa che sceglie la via della progettazione più banale e meno impegnativa, che  ha paura di misurarsi con “azioni di sistema” (oggi per esempio ben utilizzate negli Erasmus +) che potrebbero vedere le scuole autonome protagoniste di alleanze con l’associazionismo, le famiglie, i territori, le imprese per rafforzare e migliorare il lavoro degli insegnanti e rendere più flessibile, personalizzata e dotata di senso per gli allievi l’offerta della scuole.

Se  autonomia e merito devono crescere, è necessario riflettere sulle responsabilità e il ruolo del Ministero, su una più efficace valutazione dei suoi dirigenti, dei DS e  dei docenti. Se possibile applicando formule di valutazione reputazionale semplici ed efficaci. Una sfida su cui Berlinguer e Renzi si sono arresi. 

La possibilità di far fiorire i talenti, di valorizzare il merito e il miglioramento della scuola non passano da nuove “riforme” dei cicli, ma da un ruolo più forte, più responsabile nel governo del sistema da parte del Ministero, e da una  presa in carico delle tante situazioni in difficoltà e in forte difficoltà, mentre le situazioni di eccellenza devono essere meglio valorizzate e diffuse.

Ludovico Albert Esperto di politiche scolastiche. Già dirigente pubblico in istituzioni locali e  presidente della Compagnia di San Paolo per la scuola di Torino. Attualmente coordina a Palermo un progetto di lotta alla dispersione nel primo ciclo.