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Lingua italiana e comunicazione

Pubblicato il: 09/06/2017 11:58:42 - , , , , e


La crisi della comunicazione linguistica: una sfida democratica.
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Sono trascorsi 42 anni dalla pubblicazione delle “Tesi per una linguistica democratica” che, ricordava sovente De Mauro, avrebbero consentito un importante salto qualitativo nell’insegnamento della lingua italiana nelle aule delle nostre scuole.

L’effetto ci fu davvero, in particolare nella scuola elementare anche se certamente meno nella scuola media e superiore. E tuttavia quel documento, il dibattito e la spinta innovativa che ne seguirono, furono di grande utilità per il Paese. Noi crediamo che oggi sia tempo di riaprire, con uno sguardo orientato alla complessità del presente, quel dibattito. Senza retorica, senza cadere nella celebrazione, ma anche senza cedere alle facili sirene che, ancora una volta, di fronte a segnali indiscutibili di crisi della comunicazione linguistica, auspicano il ritorno alla scuola “severa”, della regola grammaticale e della matita rossa e blu.

Tullio De Mauro, con la sua consueta e gentile ironia, avrebbe irriso questa antistorica lettura dei processi linguistici. Solo chi guarda alla purezza della lingua, al prestigio di sé e della istituzione che vuole rappresentare, può trascurare il fatto che dall’Unità ad oggi sia stato compiuto un vero miracolo linguistico. E sempre Tullio De Mauro avrebbe volentieri rinnovato la sua gratitudine a quelle migliaia di maestre che in condizioni molto difficili diedero un contributo fondamentale alla costruzione della unità linguistica degli italiani. E non avrebbe neppure dimenticato la svolta democratica della riforma della scuola media del 1960, che aprì finalmente le porte a una istruzione decorosa per milioni di ragazzi “figli del popolo” che in precedenza ne venivano esclusi. Non c’è dunque da tornare ad una scuola che era buona e severa perché frequentata da una minoranza che aveva già, nelle proprie condizioni di vita, le garanzie di un buon esito scolastico. Era la scuola di classe che Don Lorenzo Milani avrebbe anche eticamente condannato, individuando proprio nella “conquista delle parole”, il riscatto degli umili. La scuola di classe non è definitivamente scomparsa: l’accesso generalizzato fino ai livelli superiori dell’istruzione pubblica non coincide con il possesso di una solida formazione di competenze per tutti.

Questa è la grande sfida democratica del nostro tempo. Un tempo segnato da nuove e profonde disuguaglianze: economiche, sociali, culturali. Questo dato è confermato anche dalla indagine che ha incrociato i dati OCSE-PISA del 2000 (sui quindicenni) e OCSE- PIACC del 2012 (sugli adulti). Se infatti si conferma in quel quadro la vocazione inclusiva della scuola primaria (elementare e media) pur senza approfondire quali siano gli esiti degli apprendimenti conseguiti, a partire dai 16 anni, i processi di selezione e persino rinforzo delle disuguaglianze, tornano rilevanti e colpiscono duramente soprattutto i giovani degli istituti professionali. Ma non solo: solo 1 giovane su 6 arriva al diploma, la dispersione è ancora al 15% malgrado l’obiettivo del 10% di Europa 2020, siamo ancora gli ultimi in Europa per numero di laureati. Ma soprattutto, come vedremo, siamo lontani dall’Europa per quanto riguarda la educazione permanente degli adulti e le politiche formative qualificate per l’accesso al lavoro.

E proprio mentre assistiamo al permanere di dati inaccettabili relativi alla dispersione scolastica, alla dimensione abnorme del fenomeno dei giovani di famiglie svantaggiate che non studiano e non lavorano, registriamo nello stesso tempo una vera e propria crisi della parola e del discorso. In particolare preoccupa il fatto che la comunicazione tra persone stia assumendo forme di riduzione e semplificazione, in evidente contrasto con la complessità del mondo contemporaneo. Dietro questa difficoltà espressiva, si apre una crisi anche educativa: la realtà delle persone, infatti, è intessuta di elementi percettivi, affettivi, intellettivi e una difficoltà a raccontare e raccontarsi è indicativa di una difficoltà a rappresentare se stessi e comunicare con gli altri. Un linguaggio più povero segnala un pensiero più povero.

Non vi è dubbio, quindi, che le istituzioni chiamate ad intervenire sulla questione linguistica dovrebbero in primo luogo porsi il problema, in termini nuovi, della formazione iniziale e in servizio di tutti i docenti e non solo di quelli della specifica area disciplinare. L’educazione linguistica, infatti, è altro dall’insegnamento della lingua: non è una disciplina, ma è un modo di rappresentare ed insegnare le diverse discipline, facendo dei giovani i protagonisti di una comunicazione dialogica. Di questi temi vogliamo discutere, senza ignorare il fatto che i fenomeni culturali connessi alla globalizzazione hanno certamente avuto un effetto sulla comunicazione tra le persone. Si sono infatti creati contesti comunicativi molto diffusi, tra i giovani in particolare: il web, i social network, i siti che aggregano gruppi di diverso tipo e poi i media, il cinema e le tante forme di intrattenimento.

Tutto questo pone questioni inedite alla comunicazione e all’insegnamento della lingua. E sono tutte questioni non estranee al contesto scolastico e formativo perché la scuola e l’università non sono mondi separati, ma vivono gli effetti di fattori ed agenti esterni, contribuendo nello stesso tempo anche a modificarli. Soprattutto resta centrale la consapevolezza delle nuove contraddizioni che sta vivendo la nostra società. Da tempo segnaliamo con preoccupazione l’emergere di una condizione sociale che esprime rabbia, rancore, litigiosità, aggressività, individualismo. Il linguaggio riflette questi mutamenti e arriva a condizionare i registri comunicativi dei media ed anche della politica, con un evidente abbassamento di livello. Il fatto drammatico è che sembra di assistere ad una assuefazione corale a questo degrado che da anni pervade il nostro Paese con un effetto profondo di declino culturale nel tessuto sociale.

Dietro questa crisi del linguaggio non si può quindi non vedere la crisi del civismo in Italia e una preoccupante crisi del valore della stessa partecipazione democratica delle persone. Nello stesso tempo, proprio la globalizzazione e il bisogno di valorizzare la propria identità nel mare della comunicazione e del mercato globale, ha aperto per la nostra lingua uno scenario di sviluppo e diffusione nel mondo, come mai si era registrato in passato. Il plurilinguismo, trainato dalla nascita della comunità europea, è certamente valore prezioso per una cittadinanza senza barriere, ma non cancella affatto la domanda di identità linguistica. La lingua italiana è sempre più parte organica del nostro straordinario patrimonio artistico-culturale e dei prodotti che vengono richiesti sul mercato internazionale e costituisce un valore insieme economico e culturale. E tuttavia le nostre politiche per la diffusione della lingua italiana all’estero restano ferme a vecchie pratiche ministeriali e a una visione angusta e provinciale che non riesce a dare una risposta convincente alle nuove domande.

Occorre dunque costruire le condizioni per aprire una nuova fase di crescita culturale. Occorre ridare senso a una linguistica democratica per alzare i livelli di padronanza linguistica di tutte le persone del nostro paese. E questo è possibile certo migliorando le didattiche nella scuola e nell’università, ma soprattutto aggredendo quei fenomeni di illetteratismo e povertà linguistico culturale degli adulti sui quali De Mauro aveva insistito negli ultimi anni del suo impegno civile e culturale. Da anni le indagini Ocse-Pisa e poi Piaac, hanno documentato la condizione sconfortante del nostro Paese nelle graduatorie relative al possesso delle competenze di base dei giovani. La CGIL aveva colto nel segno promuovendo una legge di iniziativa popolare per la formazione permanente, ma la legge 107/15 non ha minimamente preso in considerazione questa nuova frontiera dello sviluppo. In tutti i paesi dell’Occidente, i sistemi scolastici accusano questa nuova contraddizione: da una parte tutti hanno innalzato i livelli di scolarizzazione di base ma, nello stesso tempo, tutti accusano il fenomeno di una veloce perdita del capitale culturale negli anni successivi alla conclusione dei percorsi di istruzione.

In Italia, il processo è aggravato da una eredità ancora pesante di tanti adulti con un basso livello di istruzione scolastica, che si trasforma in barriera comunicativa con i propri figli e la società circostante. E’ dunque urgente e carico di significati politici e culturali un rinnovato impegno per fare della educazione degli adulti una battaglia fondamentale di tutte le forze democratiche. Oggi questa battaglia si impone anche per contrastare i rischi regressivi sul versante dell’accoglienza e della integrazione degli immigrati. Una buona conoscenza della lingua è condizione essenziale per capire la realtà in cui si è immersi e comprendere gli altri, per conoscere usi, costumi, norme, per accedere a percorsi di inserimento scolastico e lavorativo. E’ anche una condizione essenziale per evitare di riprodurre comunità omogenee, separate dal contesto generale. La conoscenza della lingua si ripresenta come presidio democratico irrinunciabile, come un imperativo di quell’articolo 3 della nostra Costituzione che oggi si afferma come valore anche per chi non è cittadino italiano ma ha scelto di vivere nel nostro Paese.

Abbiamo dunque bisogno di un sistema di educazione permanente capace di valorizzare tutte le risorse presenti sul territorio ma forte di una garanzia pubblica di accesso, supporto, certificazione e valutazione. Per queste ragioni la costruzione di un sistema di educazione degli adulti resta un impegno prioritario e lo vogliamo sostenere a partire dalla valorizzazione dei CPIA quale soggetto pubblico di riferimento di un sistema inevitabilmente integrato e complesso.

Intendiamo approfondire i diversi e complessi aspetti della questione linguistica, che abbiamo qui sommariamente indicato, promuovendo un percorso di iniziative da realizzare nei prossimi mesi, aperto a contributi esterni e al confronto con le diverse voci del mondo della cultura. Vogliamo aprire questo percorso con una raccolta di adesioni a questo documento e la sua presentazione in alcune realtà territoriali. Contiamo nei prossimi mesi di realizzare un evento nazionale, con la speranza che questo possa favorire la ripresa di una discussione a tutto campo sui nodi complessi del futuro e sollecitare quel cambio di passo nelle politiche generali e di settore, di cui avvertiamo urgente necessità.

CAMUSSO Susanna (Segr. Gen. CGIL Nazionale)

BERLINGUER Luigi (già ministro P.I.)

FAMMONI Fulvio (Presidente FDV)

MASSAFRA Giuseppe (Segr. Naz. CGIL)

SINOPOLI Francesco (Segr. Gen. FLC CGIL)

SORELLA Sergio (Pres Ass. Proteo)

Camusso, Berlinguer, Fammmoni, Massafra, Sinopoli e Sorella

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