Lettura e povertà educativa

Quello italiano è un popolo ignorante. Un ragazzo su 3 legge un comune testo e non capisce, e così anche un adulto su 2. 

Per alcuni leggere vuol dire trasformare correttamente segni in suoni, senza necessariamente comprendere quello che è stato letto. Negli ultimi 150 anni la scuola ha fornito questa capacità ai cittadini, ma oggi ciò non basta più. Per vivere in una società delle lettere bisogna anche comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere dai testi che si leggono, e ciò per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità. Chi non lo sa fare è detto analfabeta funzionale. In Italia ci sono tanti analfabeti funzionali. Perché?

Le cause sono molteplici e tra loro interconnesse a cominciare dal modesto grado di istruzione della popolazione italiana (figura 1) e da una scarsa propensione alla lettura. 

Grado di istruzione della popolazione italiana

Il basso livello culturale della popolazione è quindi causa ed effetto del diffuso analfabetismo funzionale. Se un bambino vive in una famiglia dove i genitori sono analfabeti funzionali, con basso titolo di studio e non leggono nemmeno un libro all’anno, ci sono poche possibilità che abbia i prerequisiti necessari per iniziare un percorso di apprendimento della lettura. Non ha un vocabolario adeguato, non è abituato a usare il linguaggio per conversare, non distingue chiaramente i suoni della lingua italiana, non è abituato alla narrazione: insomma è un bambino vissuto in un ambiente sfavorevole alla creazione dei presupposti per la lettura.

All’ingresso della scuola si dà per scontato che tutti i bambini siano alla pari per iniziare ad apprendere lettura e scrittura. Non è così: alcuni non sono proprio in grado di leggere, come i bambini dislessici (5%), altri provengono da famiglie povere o deprivate culturalmente, altri ancora, pur provenendo da famiglie borghesi, per motivi diversi non hanno acquisito i prerequisiti necessari. Questa situazione spiega l’alto grado di abbandono scolastico negli anni successivi. E qui veniamo ad un’altra causa del mediocre livello culturale degli italiani.

I governi che si sono succeduti dalla metà del Novecento in poi non hanno saputo o voluto gestire il necessario passaggio da una scuola di élite a una scuola di massa di qualità e hanno varato riforme parziali nel tentativo di usare per tutti un impianto scolastico pensato per pochi. Per esempio, nella prassi scolastica, l’apprendimento della lettura è sempre legato all’apprendimento della scrittura manuale, si insegna a leggere mentre si insegna a scrivere, si parla perciò di lettoscrittura. Ciò ha funzionato abbastanza bene nella scuola d’élite, ma in una scuola di qualità e di massa è necessario diminuire le difficoltà di apprendimento (non l’apprendimento!) e quindi sarebbe opportuno insegnare la lettura indipendentemente dalla scrittura, che potrebbe essere appresa in un secondo tempo. In questo modo le difficoltà legate alla lettura sarebbero disgiunte da quelle legate alla scrittura.

Un obiettivo della scuola dovrebbe essere quello di formare lettori appassionati e non solo decodificatori di segni, ma per questo ci vorrebbero politiche per permettere a tutti i bambini di cominciare il percorso scolastico senza handicap di partenza, ad esempio potenziando il sistema delle scuole dell’infanzia. Un’idea per diminuire la povertà educativa è quella di fornire ai bambini i prerequisiti per diventare lettori esperti, prima di iniziare il percorso scolastico, consentendo di diagnosticare e prevenire problemi di apprendimento. Ma come fare? Le neuroscienze ci dicono che

«Non impariamo a leggere in cento modi diversi. Ogni bambino è unico […] ma quando bisogna imparare a leggere, tutti hanno lo stesso cervello, che impone gli stessi vincoli e la stessa sequenza di apprendimento» (S. Dehaene).

Quindi in primo luogo bisogna sviluppare un metodo che segue questa sequenza. Poi è necessaria una comunità di educatori in grado di usarlo. Infine ci vuole una struttura in cui realizzarlo. Riguardo al metodo, ho sviluppato un programma di apprendimento della lettura in età prescolare basato esclusivamente su giochi. Questo tiene conto delle ricerche dei neuroscienziati Dehaene e Wolf su come il cervello legge, sulle teorie dell’apprendimento di Montessori, Skinner, Bruner e Vygotsky e sulle ricerche più recenti nel settore delle tecnologie didattiche. L’efficacia del metodo è stata sperimentata in tesi di dottorato, che hanno coinvolto sia bambini a sviluppo tipico sia bambini con problemi di apprendimento. Il metodo e le idee sottostanti sono descritti nel libro Scrittura e lettura nella storia e nell’educazione.

Il Lyons Club italiano (sezione di Ortona) ha dato vita al progetto Leggo anch’io rivolto a creare una comunità di educatori che operano presso strutture pubbliche e private, in spazi appositamente attrezzati, detti Tane dei piccoli lettori. Qui, bambini dai 3 ai 6 anni e i loro genitori trovano un ambiente di gioco e un educatore che li avvia alla lettura usando il programma su menzionato. Verrà un giorno in cui tutte le scuole d’infanzia italiane avranno una loro  tana dei piccoli lettori?

La tana dei piccoli lettori

 

 

Vittorio Midoro Ricercatore CNR, Institute for Education Technology