Home » Politiche educative » La scuola e il lampione 

La scuola e il lampione 

Pubblicato il: 13/01/2021 05:33:11 -


Print Friendly, PDF & Email
image_pdfimage_print

Le vicende legate alla pandemia portano all’ennesima riflessione sulla struttura del sistema d’istruzione e formazione in Italia, un sistema nazionale articolato e complesso, in cui convivono numerosi enti autonomi con un intreccio di funzioni e competenze. 

Il temuto effetto della riapertura e del funzionamento delle scuole sull’impennata del contagio sembra essersi in parte verificato, anche se è mancata la trasparenza sugli effettivi numeri, eppure già dalla scorsa estate presidi e professori sono stati impegnati a realizzare le condizioni perché ciò non avvenisse. Distanziamento tra banchi, utilizzo di tutti gli spazi disponibili, sanificazione dei locali, mascherine in classe: insomma è stato fatto tutto il possibile e il dovuto. Ma qualcosa non ha funzionato lo stesso e c’è stata una vistosa retromarcia per la scuola secondaria.

Quando in una notte buia – come racconta il famoso apologo – ci accorgiamo di aver appena perso in strada le chiavi di casa, le cerchiamo subito nella zona in cui siamo, illuminata da un lampione. È come se soltanto lì potessero essere cadute. Intendo dire che nei mesi di luglio, agosto e settembre l’unica zona illuminata dal lampione era quella dell’organizzazione scolastica, un tema tipico dell’autonomia, un tema sul quale si è potuto esprimere, da parte di ogni singola scuola, tutto il potenziale progettuale per comporre il diritto all’istruzione con la tutela della salute. Allora cosa non ha funzionato da noi, visto che in giro per l’Europa la maggior parte dei Paesi, con dati epidemiologici simili ai nostri, ha ritenuto di poter far funzionare la scuola con la presenza di professori e studenti ?

Credo che francesi, inglesi e tedeschi abbiano cercato la chiave per la soluzione del problema fuori dal raggio di luce del lampione,  a meno che i dati sulla diffusione della pandemia  nella scuola e per la scuola a breve non dimostrino che è stata una decisione sbagliata. 

In quei tre mesi prima dell’inizio non si è appieno considerato l’impatto di tutto ciò che premeva sul bordo di quel cerchio illuminato fuori dalle classi, fuori dalle scuole. C’è una vasta area, come tutti sappiamo, una sorta di territorio scolastico fuori dalla scuola che va dalle strade alle piazze intorno, fino agli iperaffollati mezzi per raggiungere la scuola dove ragazze, ragazzi e docenti vivono un tempo di pre-lezioni e di post-lezioni. Uno spazio e un tempo che è stato troppo a lungo ignorato – da questo gennaio ci sarà il tentativo di sopperire con il coordinamento prefettizio – perché abbiamo appunto solo preso in considerazione quello che era sotto gli occhi di tutti: l’organizzazione scolastica. 

E questo è stato doverosamente fatto da tutti gli operatori scolastici, ma chi doveva operativamente tener conto della scuola fuori della scuola, con i suoi flussi urbani e con le occasioni di evitabili assembramenti? La risposta è semplice: una molteplicità di enti che almeno ora, dopo l’esperienza di questi mesi, potrebbero coordinare i loro interventi in maniera più efficace per realizzare una calibrata e problematica riapertura delle scuole con  misure già avanzate, quali l’aumento temporaneo del trasporto pubblico per la popolazione scolastica (magari utilizzando i molti bus turistici inattivi) e la differenziazione degli orari delle lezioni rispetto alle altre attività lavorative.

Ulteriori misure di accompagnamento potrebbero consistere nello screening periodico per gli studenti delle superiori e per il relativo personale scolastico in un piano di vaccinazione dedicato alla scuola non nel suo complesso, ma con singoli interventi strategici (ad esempio, per docenti e studenti in vista degli esami di fine corso).

Ma le vicende legate alla pandemia ci portano all’ennesima riflessione sulla struttura del Sistema d’istruzione e formazione in Italia, un sistema nazionale articolato e complesso, in cui convivono numerosi enti autonomi con diversità di funzioni e di competenze, che già prima dell’emergenza sanitaria ha mostrato di avere evidenti problemi di governance, con la conseguenza che l’anomalia italiana rischia ancora di estendere una carenza educativa resa evidente dalla bassa percentuale di laureati e dagli alti tassi di abbandono scolastico. In un articolo su l’Unità del 7 Gennaio 2016 Luigi Berlinguer avvertiva «Riemerge il vecchio connotato classista, attraverso il fenomeno della dispersione, che altro non è che l’espulsione del più debole a opera del sistema».

Eppure, dall’inizio di questo secolo, sono state chiare le cifre di autonomia e direzione unitaria d’indirizzo che il sistema multilivello voleva avere, non rinunciando alla conoscenza anche quando privilegiava la competenza. All’arretramento dei valori culturali si è tentato  di esprimere percorsi educativi e formativi la cui molteplicità dei linguaggi poteva corrispondere alle nuove esigenze della società, in uno scenario in cui l’apprendimento è dilatato ben oltre il mondo scolastico.  Sembrava, dunque, essere arrivati in quel breve arco temporale, tra la fine di un secolo e l’inizio di un altro, alla conclusione di una fase e al decollo di un’altra già consolidata negli assetti ordinamentali.

Non tutto è andato così, com’è noto, per una moltitudine di fattori – non ultimo l’aspra battaglia ideologica sulla scuola nel primo decennio di questo secolo che ha lasciato sul terreno la riforma del Ministro Berlinguer imperniata sulla «centralità dell’apprendimento» – ma ora, a distanza di tempo, appare interessante esaminare uno dei principali fattori di resistenza: quello della rete degli apparati gestionali. Una risposta  organizzativa ai processi decisionali diffusi che, lungi dall’essere funzionale allo sviluppo dell’autonomia delle scuole, ha finito con l’essere invece funzionale solo al mantenimento di uno statu quo di scarsissima efficacia ed efficienza.

La pluralità degli enti e degli apparati che sono riusciti a ritagliarsi potestà e competenze in tema di organizzazione scolastica e curriculare – di fatto imbrigliando il dinamismo e l’innovazione, che sono tipiche espressioni del principio di autonomia – ha certamente consolidato le singole maglie di quella rete, provocando, per altro verso, un effetto di disarticolazione del sistema di istruzione e formazione. E il consuntivo dell’attività politico-amministrativa scaturita dal quadro ordinamentale disegnato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 appare tuttora a tinte incerte. 

Vale a questo proposito il monito lanciato da Giuliano Amato sul Sole24ore del 14 Ottobre 2012: «[…] È illusorio cercare il rimedio nelle sole riforme istituzionali, giacché, per dirne una, in un sistema di governo che rimanga multilivello non troverà mai un riparto di competenze che eviti la necessità in più casi di un loro esercizio comune e quindi di una intesa in vista di un fine comune».

Una gestione strategica che a una realtà educativa fatta di enti, ognuno con il proprio lampione, sia in grado di opporre una realtà fatta di processi integrati per la crescita individuale e sociale, vera forza motrice del cambiamento e del progresso. Una visione d’insieme particolarmente necessaria dopo lo stress test che il Covid-19 sta infliggendo al settore dell’istruzione, in grado di cogliere a pieno le opportunità che le ingenti risorse del recovery plan metterà in campo per il futuro delle studentesse e degli studenti italiani.

Giuseppe Fiori

234 recommended

Rispondi

0 notes
1135 views
bookmark icon

Rispondi