La formazione che conta è per gli alunni

Il dibattito è acceso anche dalla recente riforma sul reclutamento degli insegnanti per le scuole del secondo ciclo, sulla formazione iniziale e continua per tutti i docenti, già resa obbligatoria dalla legge 107/2015, art 1 c. 124.

La formazione è non solo fondamentale ma anche imprescindibile, per ridare fondatezza alla tanto vituperata dignità del ruolo docente.

Chi non è avvezzo al mondo della scuola, però forse non sa che i docenti, di qualsiasi grado, svolgono un numero imprecisato ma impressionante di formazione continua, in servizio.

Ma come? Attraverso le innumerevoli iniziative che partono proprio dal Ministero. La cosiddetta formazione di ambito rivolta ai docenti già di ruolo. Mai riconosciuta a livello di punteggio in una qualsiasi graduatoria o a fini concorsuali. In sostanza il ministero mette a disposizione un sacco di soldi su svariati temi formativi, con docenti esperti interni o esterni al mondo della scuola. Il docente aderisce liberamente, moduli da 20, 30 o più ore; durante l’anno scolastico o nelle pause didattiche.

Altro modo per i docenti di svolgere formazione è quello di aderire con la propria classe ad una infinita possibilità di progetti da svolgere in orario curricolare, ovvero mentre si è in classe.

Dal mondo delle Fondazioni e delle Associazioni, sono innumerevoli le proposte che arrivano alle scuole: un docente esterno svolge un laboratorio in classe, il docente di classe fa semplicemente sorveglianza, al limite tutoraggio. Assiste ovvero alla lezione con i propri alunni. In pratica si pagano più docenti, nella stessa classe, per un monte ore variabile.

La recentissima proposta di legare ad una formazione triennale, la carriera del docente è davvero un palliativo se non si riconosceranno le figure del cosiddetto Middle Management che, in collaborazione con il Dirigente Scolastico, contribuiscono al buon andamento delle innumerevole attività di una istituzione scolastica.

Sottolineo che i vari Governi che si sono succeduti dalla riforma Berlinguer, non hanno mai declinato gli standard per la professione docente: non sappiamo, caso raro l’Italia, quali siano i requisiti minimi per accedere alla professione docente.

Non si può chiedere al docente di essere un esperto erga omnes! Riconosciamo piuttosto le alleanze del territorio e le differenti peculiarità professionali.

Abbiamo vari problemi: da un lato il docente e la formazione continua, sulla materia di insegnamento e le metodologie innovative; dall’altro la necessità di nuove figure formative, estranee al mondo della didattica ma ormai fondamentali nella società odierna.

Poi abbiamo il problema del funzionamento della scuola: il Dirigente Scolastico e le figure di sistema – Collaboratori del Dirigente, Funzioni Strumentali, fiduciari di plesso, Commissioni PTOF, di valutazione, dipartimenti….

Infine le esigenze delle famiglie che chiedono a gran voce, da anni, di ampliare il tempo scuola, chiedono alla scuola di occuparsi dell’istruzione ma anche dell’educazione dei loro figli, perché, ovviamente, entrambi impegnati professionalmente.

La domanda opportuna a parere della scrivente è chiedersi perché il docente dovrebbe essere motivato alla formazione? Perché dopo tre anni otterrebbe un aumento di stipendio, solo e se supererà le prove di valutazione? E perché allora un docente dovrebbe continuare ad essere disponibile a svolgere le funzioni Strumentali, il Collaboratore del Dirigente, inseguire progetti territoriali? Perché non si riconosce a livello contrattuale che moltissimi docenti già impegnati e con competenze maturate a suon di formazione – a cui hanno aderito spontaneamente – sono necessari al funzionamento delle istituzioni scolastiche?

Non sarebbe più opportuno legare la progressione di carriera degli insegnanti all’assunzione progressiva di maggiori responsabilità, oltre al merito e all’anzianità di servizio?

Infine, come possono le famiglie monoreddito o con redditi precari garantire un’ampia offerta formativa ai loro figli se risiedono in un quartiere periferico, a forte processo migratorio, un territorio fragile? Quali sono o docenti disponibili e motivati ad insegnarne in queste scuole?

L’alleanza scuola e territorio è sancita in svariati passaggi legislativi, l’ultimo con la legge 107 del 2015. Ma come qualcuno ha detto: l’autonomia scolastica si perde nel momento in cui la società civile spiega alla scuola quello che dovrebbe insegnare mentre dovrebbe essere proprio la scuola a produrre i cambiamenti nella società, preparando gli alunni ad una consapevolezza crescente dei loro diritti e doveri.

Come conciliare? Credo che siamo ormai tutti convinti della necessità di offrire il tempo prolungato nel primo ciclo e attività aggiuntive negli altri gradi di istruzione.

La scuola e il territorio sarebbero due perfetti alleati se ci decidessimo a riorganizzare seriamente spazi e tempi.

Didattica con i docenti al mattino e, al pomeriggio, attività artistiche, musicali, sportive con associazioni ed educatori, tutti professionisti e soprattutto estate compresa!

Il Ministero rischia di creare l’ennesima riforma farraginosa, ricca di lungaggini ma senza  davvero investire le somme a disposizione con il PNRR per una rivoluzione tanto attesa dal mondo della scuola.

Ragioniamo sulle soft skills degli alunni, quelle di cui non possiamo dimenticarci, secondo l’ultimo quaderno Eurydice 2021 . Non si può prescindere dall’istruzione trasversale, dal garantire a tutti le stesse opportunità di accesso ad attività non solo meramente didattiche ma anche artistiche, musicali, sportive, di relazione, sperimentazione.

Perché il Governo non si impegna seriamente nel riorganizzare i tempi della scuola istituendo un modello didattico antimeridiano con i docenti in cattedra e un modello pomeridiano di attività dedicate all’aggregazione, allo spazio laboratoriale, allo sport di alto livello, alla musica e all’arte? Perché non consolidare l’alleanza con il territorio e il mondo dell’associazionismo lasciando che siano esperti del settore a contribuire allo sviluppo delle soft skills dei nostri alunni?

La società è cambiata, i genitori chiedono il tempo pieno ma gli alunni restano seduti in una classe 40 ore a settimana. E’ impellente ripensare gli spazi interni delle aule affinché diventi una scuola realmente aperta al territorio, dove “si fanno cose” anche in libertà, anche lasciando a gruppi di alunni spazi da utilizzare, spazi da colonizzare, dove esprimere attitudini e passioni.

E’ impellente utilizzare gli spazi del quartiere poiché sono moltissime le scuole che non hanno a disposizione cortili, giardini, campi da calcio, basket, pallavolo, palestre. Allora, come ben illustrato nel quaderno Eurydice 2021, le opportunità di accesso alle occasioni di formazione, restano condizionate dal quartiere in cui si risiede e dalle disponibilità economiche dei genitori.

Ancora una volta, l’estrazione sociale condiziona fortemente l’accesso alle future carriere professionali dei nostri alunni.

1 L’equità nell’istruzione scolastica in europa: strutture, politiche e rendimento degli studenti

 

Oriana Micheletti docente di scuola primaria