La crisi degli Esami di Stato. Ma per chi sono? – di Arturo Marcello Allega

Nelle scuole di ogni ordine e grado, ci si chiede spesso ‘chi è che fa cosa’ e, soprattutto, chi decide e scrive alle scuole dal Ministero (inteso anche nelle sue articolazioni regionali e provinciali).

Questo dilemma nasce ad esempio con gli Esami di Stato. Sono sotto gli occhi di tutti gli “assurdi” di questo Esame di Stato 2017: Caproni, le ruote quadrate, lo sviluppo tecnologico e il mondo del lavoro, e tanto altro. E, poi, la terza prova!

Qui, non vogliamo sostenere l’oramai inutilità dell’Esame di Stato. Anche perché, se l’eliminazione dell’Esame di Stato comportasse una eliminazione senza alternativa, ci si ritroverebbe con soluzioni simili a quella dell’eliminazione dell’esame di riparazione a settembre di una volta, che ha semplicemente creato una “non soluzione” e una depressione generale diffusa, inclusa la violazione tout court dell’ordinanza ministeriale da parte della maggioranza delle scuole.

 

Quali sono gli elementi costitutivi di questi “assurdi”? I seguenti:

1. non c’è corrispondenza diretta tra i temi oggetto delle prove e quelli raccomandati dai programmi ministeriali (ancora seguiti da tutte le scuole) e/o le indicazioni nazionali (che non implicano la libertà di scegliere contenuti e autori a piacimento), quindi, non c’è corrispondenza tra quello che si pensa e quello che si fa;
2. le prove dovrebbero rappresentare una possibile misura di quanto acquisito dallo studente e non sperimentare le sue capacità immaginifiche o creative nel comprendere la rappresentazione del problema e la sua correlazione con l’ordinario, quindi, non c’è coerenza tra quello che si pretende e l’eventuale accertamento;
3. la valutazione complessiva della crescita di uno studente non si può misurare attraverso la sua capacità di proiettare le sue conoscenze in un mondo della cultura e del lavoro che non conosce, quindi, è inconsistente il tentativo di cercare aperture mentali dove non possono esserci. Meno che mai se si pensa di fare una correlazione con le esperienze di alternanza lavoro, oramai, scadute, nel “basta fare qualunque cosa fuori dalla scuola”.

 

Siamo in fase di Esame di Stato, e tutti noi operatori della scuola, docenti e dirigenti, entriamo in contatto con diverse realtà. L’inaudita constatazione che ognuno di noi vive nelle scuole è la apparente differenza dei livelli scolastici (in termini di apprendimento) non più rappresentata dai risultati finali. Il liceo dovrebbe essere (e si pensa) cosa molto diversa dal tecnico e, così,ancor di più rispetto al professionale. I livelli, invece, non sono molto diversi l’uno dall’altro e l’appiattimento dei percorsi uccideogni forma di valutazione. E questo accade non solamente perché il meccanismo della valutazione è superato in rapporto alle prove offerte, ma anche dal fatto che l’analfabetismo cresce in modo allarmante e gli apprendimenti sono poveri dappertutto. Non si crede più nei contenuti trattati, a prescindere dalle metodologie utilizzate. Sono sempre più rari i casi in cui l’eccellenza si distingue, e quando questo accade è difficile distinguere il contributo della scuola alle capacità nello studente. E per eccellenza non intendiamo il genio (rari), ma lo studente diligente che, nel corso degli anni, ha sempre lavorato duramente costruendo la sua crescita (tanti).

Arturo Marcello Allega