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La Costituzione e il sistema di istruzione e formazione pt.2 – di Giuseppe Fiori

Pubblicato il: 07/03/2018 11:00:14 -


I princìpi espressi nella Costituzione Parte I sul valore dell’istruzione costituiscono “i fondamentali” della scuola italiana e sono correlati con le norme contenute nella Parte II sull’ordinamento scolastico e il suo funzionamento.
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Nei tre lustri in cui ha operato la riforma del Titolo V del 2001 il “concorso” si è spesso risolto in “conflitto” di competenze, un braccio di ferro politico e istituzionale che si è spostato spesso alla Corte Costituzionale, le cui sentenze hanno tentato di chiarire alcune ambiguità di fondo. Tale difficile situazione ha portato nel 2016 all’eliminazione della potestà legislativa concorrente nella riforma costituzionale che è stata però cancellata dal successivo referendum popolare.

Nella potestà legislativa esclusiva dello Stato rientra la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni proprio come strumento di bilanciamento rispetto al decentramento, nell’intento di assicurare standard omogenei di prestazioni su tutto il territorio nazionale. Pur essendo i LEP collocati tra le materie oggetto di competenza legislativa statale, essi non sono una “materia” in senso stretto, come ha precisato la Corte costituzionale con sentenza n 282 del 2002, ma “ una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle.”

Nell’ambito dell’istruzione tale competenza, comprende dunque le principali tematiche sia di natura ordinamentale che di natura strumentale.

 

Nella potestà legislativa esclusiva delle Regioni rientra l’istruzione e la formazione professionale ( quest’ultima già dall’inizio di competenza regionale) con la realizzazione di percorsi didattici integrati e flessibili per l’offerta formativa tradizionalmente diretta alla fascia più debole della popolazione scolastica.

Ma lo Stato non ha potuto o voluto riconoscere – già con la legge n 40/2007 – tale dettato nella sua pienezza, anche in forza della circostanza che la quasi totalità dei percorsi formativi degli istituti professionali si concludevano con l’esame di Stato, al cui diploma, com’ è noto è riconosciuto valore legale.

La prova della difficoltà di esercizio di tale potestà esclusiva delle Regioni – per la resistenza e l’opposizione statale finalizzata a mantenere nella sua sfera l’istruzione professionale, di fatto parificandola sul piano normativo all’istruzione tecnica – è stata fornita dall’ulteriore riforma del titolo V, bocciata dal referendum popolare, in cui si tentava di ripristinare, sostanzialmente, la separazione dei due settori, riportando le potestà legislative di Stato e Regioni alla situazione anteriore al 2001.

Attualmente l’istruzione professionale è stata rinnovata con il decreto legislativo n.61 del 13 Aprile 2017 – previsto dalla legge n. 107 sulla Buona Scuola – con un biennio sostanzialmente unitario, seguito da un triennio finalizzato all’approfondimento della formazione dello studente; è passata da 6 a 11 nuovi indirizzi coerenti con il sistema produttivo italiano. Il relativo Regolamento di riordino ha ottenuto il via libera della Conferenza Stato – Regioni alla fine del 2017.

 

Da ultimo è bene ricordare che l’art 116 della Costituzione ha previsto “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, in tema tra l’altro di istruzione, che possono essere attribuite alle Regioni, con legge statale, su iniziativa di quelle interessate, sentiti gli enti locali.

Una tale iniziativa è stata presa finora dall’Emilia Romagna, senza ricorso al voto popolare, dalla Lombardia e dal Veneto, con il referendum consultivo del 2017, segnando così l’inizio di un lungo iter, molto diversificato, in grado di portare ad una estensione dei poteri regionali anche in tema di istruzione.

Una strada difficile e impervia che, iniziata con la riforma costituzionale del 2001, è ancora lungi dal vedere il suo compimento. Il minimo comune denominatore delle tre regioni è costituito dalla maggiore efficienza nelle spese e nell’erogazione dei servizi ai cittadini, un traino per reclamare la necessità di ridurre la quota dei trasferimenti allo Stato delle entrate tributarie relative ai settori decentrati.

 

In conclusione autonomia e direzione unitaria d’indirizzo sono le cifre del sistema d’istruzione pubblica del nostro Paese. Un sistema che non rinuncia alla conoscenza anche quando privilegia la competenza e che, avvertendo l’arretramento dei valori culturali, tenta di esprimere percorsi educativi e formativi la cui molteplicità dei linguaggi possa corrispondere alle nuove esigenze della società in uno scenario in cui l’apprendimento è dilatato ben oltre il mondo scolastico.

 

 

Giuseppe Fiori

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