I rifiuti

Precisando  che «l’emergenza epidemiologica non muta il quadro normativo che riguarda le iscrizioni», l’estate scorsa il Ministero dell’Istruzione ha voluto chiarire che gli istituti scolastici sono tenuti »lad accettare le  iscrizioni anche tardive in tutti i casi in cui un rifiuto comporterebbe la negazione del diritto all’istruzione».   Nel caso «di impossibilità ad accoglierle per incapienza delle classi», viene inoltre puntualizzato che «le scuole devono farsi parte attiva nell’aiutare le famiglie a trovare un’altra sistemazione consona anche attraverso il supporto degli ambiti territoriali degli USR». La Nota  ( n.1776/ 5 agosto 2020 ) cita in proposito qualche possibile motivo di iscrizione tardiva, come il passaggio  da scuole paritarie a scuole statali  o  il trasferimento delle famiglie per esigenze  anche economiche connesse con la  crisi pandemica, circostanze di sicuro non preventivabili  nel gennaio 2020, alla scadenza cioè delle iscrizioni per il 2020-21.   

Sebbene sia per certi versi comprensibile  che le scuole, nella straordinaria concitazione dei mesi trascorsi ad attuare le misure di prevenzione del contagio, possano avere perso di vista  altre priorità, fa però una certa impressione  che viale Trastevere abbia dovuto richiamare i dirigenti scolastici alle loro  responsabilità fondamentali, all’abc insomma del loro ruolo. Ci sono stati davvero, come si può dedurre dal cenno a ‘segnalazioni’che è contenuto nella Nota, casi  di rifiuti in bruciante contrasto con il diritto- dovere all’istruzione  e «perfino con l’obbligo scolastico» ?  O a preoccupare il Ministero sono stati solo  comportamenti dissonanti  – delle scuole, degli uffici,  di entrambi – rispetto  alla disponibilità all’ascolto,  alla collaborazione interistituzionale, all’impegno  diretto  per la soluzione dei problemi che dovrebbero essere il tratto fondamentale, tanto più in tempi di crisi, di un’istituzione come la scuola ? La seconda, speriamo.

Bisogna però  sapere che i rifiuti delle  iscrizioni ‘tardive’ giustificati con «l’incapienza delle classi»  (e accompagnati da  ritardi, inefficienze, e persino riluttanze a farsi carico del problema ) non sono una novità assoluta per la scuola pubblica italiana. E neppure così rari da poter essere derubricati a  incidenti di percorso.  Come tanti altri piccoli e grandi limiti che stanno venendo a galla perché acuiti dalla pandemia, anche questa tipologia di violazione del diritto all’istruzione c’era già prima. E già prima  è stata ripetutamente  segnalata, ma con esiti spesso deludenti. Forse perché, riguardando i figli dell’immigrazione – in particolare i minori  ‘ricongiunti’, cioè i bambini e gli adolescenti cui viene consentito di raggiungere i genitori emigrati  in Italia – non tutti hanno gli occhi per vederla. E per riconoscervi  qualcosa di diverso, e di  più inquietante di una semplice rigidità  burocratica, che pure nella scuola è sempre più insopportabile che altrove. 

Il difficile percorso dell’iscrizione per i minori stranieri di nuova immigrazione

Il fatto è che in parecchi casi i minori ricongiunti ( ma il tema , con qualche differenza e parecchie analogie, interessa anche i minori stranieri non accompagnati e altre tipologie dei cosiddetti ‘neoarrivati’), bussando alla porta della scuola senza una domanda di iscrizione presentata  entro la scadenza prescritta,  si trovano spesso la strada sbarrata perché, ad anno scolastico iniziato, le classi sono o vengono dichiarate ‘incapienti’. Intendiamoci, è impensabile che i dirigenti scolastici, a trent’anni e più dai primi ingressi consistenti di minori con background migratorio nella scuola italiana, non conoscano ciò che è prescritto dal Testo Unico sull’immigrazione e che viene puntualmente richiamato  nelle circolari sulle iscrizioni, secondo il quale  l’accoglienza è dovuta in ogni caso e in ogni momento dell’anno scolastico. Ed è altrettanto impensabile che possano sottovalutare l’opportunità e perfino  l’obbligo, quando non siano in grado di risolvere un problema, di chiedere il supporto dell’amministrazione scolastica. E tuttavia  gli intoppi, da più parti, sono capitati e continuano a capitare. Se infatti il più delle volte, sia pure sempre con  ritardi più o meno consistenti e frustranti per i ragazzi e per le loro famiglie, prima o poi si trova una scuola disponibile ad accogliere, in altre circostanze  invece non succede. O, quanto meno, non succede in tempi ragionevoli o con soluzioni  che non prevedano scoraggianti spostamenti in sedi scolastiche anche lontanissime  dal luogo di residenza (a Roma, per esempio, per un ragazzino di 12 anni residente nella prima periferia è spuntata una volta una scuola di Ostia, stesso Comune ma a 27 km di distanza ).   Ma capita anche di peggio, e tanto più in  scuole stressate dalla pandemia, dove è difficile persino ottenere un appuntamento o, più banalmente,una risposta per telefono  o per e-mail.  Scuole che rispondono solo dopo molte insistenze, che fanno comunicare il diniego in modo irrituale dal primo che risponde finalmente al telefono, senza motivazione scritta e senza ulteriori indicazioni alle famiglie.  Le segnalazioni di associazioni, mediatori culturali, CAF, famiglie che a Roma arrivano a ScuoleMigranti, una rete di scuole del volontariato impegnate nell’insegnamento dell’italiano a migranti adulti e nei doposcuola di rafforzamento linguistico nel primo ciclo, sono un’imbarazzante rassegna di comportamenti autoreferenziali, burocratici, inefficienti. Di sottovalutazioni, ritardi, rimpalli al mondo dell’associazionismo e del volontariato. E il quadro purtroppo non cambia di molto quando le segnalazioni arrivano, per le mille vie con cui si aggirano i portoni chiusi e i  telefoni muti, anche agli uffici dell’amministrazione periferica. Che fare? Bisogna ricorrere anche qui agli avvocati, alle diffide, alle denunce, ai media?   

Per fortuna non è ovunque così. Dove sono stati costruiti solidi protocolli territoriali sui temi dell’accoglienza scolastica dei minori stranieri, si sono via via consolidati  dispositivi, procedure, strumenti di programmazione flessibile condivisi tra amministrazione scolastica, prefetture, scuole, ed altri soggetti istituzionali e sociali con cui si pone  un qualche rimedio anche al problema delle iscrizioni tardive e delle classi incapienti. Un problema, del resto, enormemente ridimensionato rispetto agli anni dei flussi più concentrati e imponenti. Gli studenti con background migratorio, sebbene sempre in crescita in numeri assoluti e  percentuali (10% del totale studenti ), sono ormai in grande maggioranza nati in Italia ( 67% ) o arrivati prima dell’ingresso nella primaria, mentre i cosiddetti neoarrivati, pur con andamenti diversi da un anno all’altro, si sono ridotti dai 34.000 del 2014-15 ai poco meno di 23.000 del 2018-19. Ma i minori ricongiunti, che sono solo una parte dei neoarrivati, restano pur sempre un ‘problema’ di cui in parecchi casi le scuole preferirebbero non doversi occupare. Perché non hanno imparato l’italiano negli asili nido e nelle scuole per l’infanzia, perché sono frequentemente adolescenti che hanno dovuto lasciare parenti, scuole, amici, sport per raggiungere genitori che conoscono poco, e un Paese che non è noto per capacità di accoglienza e di integrazione. E soprattutto perché la scuola italiana, nonostante i trent’anni e più di esperienza (e le tante realtà di eccellenza nel campo dell’integrazione linguistica e culturale ), non è ancora diffusamente dotata, soprattutto nelle due secondarie, di quello che serve: insegnanti specialisti nell’insegnamento dell’italiano lingua 2, laboratori linguistici attrezzati, flessibilità organizzative, alleanze con il territorio e con le comunità. Occhi per vedere e mani per fare.

Fiorella Farinelli Politica e saggista,  docente esperta di  istruzione e formazione, componente dell’ Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri