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Il ’68 e l’istruzione. Prodromi e ricadute dei movimenti degli studenti – di Vittoria Gallina

Pubblicato il: 05/06/2019 12:00:05 -


Recensione di Vittoria Gallina.
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Un testo breve, che condensa in tre parti, più una conclusione, una riflessione non solo sul ’68 guardato dal punto di vista dei sistemi di istruzione, ma sulla stessa  “produzione” di studi, ricordi, analisi, interpretazioni che l’occasione del cinquantenario ha provocato. Su questo punto i curatori esplicitano una condivisibile valutazione. Gli approcci delle pubblicazioni uscite nel 2018, di tono variamente celebrativo, sono stati due: uno, definito “generalista”,  che ha presentato il movimento come finalizzato a una profonda trasformazione della società nel suo insieme; il secondo, espresso come  ricerca di elementi di continuità (approccio continuistico) tra il mondo pre-sessantotto, il sessantotto stesso e il dopo . In tutte queste produzioni, alla fine, risulta  poco messo a fuoco, quasi marginalizzato, il tema della istruzione ed è proprio su questo punto che il volumetto vuole ritornare, fornendo brevi ricostruzioni storiche, analisi dei fatti,  messa in evidenza dell’impatto sul pre-esistente e le reazioni delle forze politiche e delle stesse istituzioni; lo scopo è leggere quella “ traiettoria non lineare, seguita dalle idee del ’68 nel corso di mezzo secolo” che, per citare ancora le parole conclusive del saggio di L.Benadusi, “annovera parziali realizzazioni, trasmutazioni, insabbiamenti.”

I quattro capitoli del libro rendono esplicito quel punto di rottura,il breaking point di cui parlano gli autori, che si è poi proiettato e in qualche modo mantenuto , come “ricadute”, nel corso del tempo. I curatori Luciano Benadusi, Vittorio Campione e Roberto Moscati  e gli autori di alcuni dei contributi – Luigi Berlinguer, Alessandro Cavalli, Enrico Pugliese, Giunio Luzzatto, Fiorella Farinelli –  sono stati testimoni diretti, protagonisti di quei movimenti, successivamente impegnati nel faticoso sforzo trasformativo, che il sessantotto italiano  ha innescato, ma, solo in parte, realizzato. Il motivato, attento interesse alla ricostruzione dei fatti, dei processi ed effetti che, dal movimento studentesco hanno trovato origine, è il filo conduttore del testo.  L. Berlinguer parla di rilevanza del 68 come fatto storico, che ha aperto la “stagione della democrazia scolastica e universitaria”in Italia: rottura del paradigma autoritario della trasmissione dei saperi tra generazioni e  sollecitazione a promuovere, anche in via legislativa, forme di partecipazione degli studenti nelle università ed anche delle famiglie nel governo della scuola. Tuttavia il modo nuovo di leggere il rapporto tra formazione e lavoro, che è visto come il contenuto più interessante di questa svolta anti-autoritaria, il rientro a scuola  e nell’università, come fatto sociale collettivo e non individuale, il tema dell’apprendimento permanente, che pure nel movimento era esplicitamente enunciato, non si è sviluppato in Italia come invece è accaduto in altri paesi.

La lettura delle forme in cui si è espressa, in Europa e negli USA, la rottura generazionale  è presente nei contributi di Cavalli, Palomba, Salmieri, Pugliese; Cavalli collega il fenomeno alle battaglie per i diritti civili delle persone di colore, alla protesta contro il tradimento dei valori della democrazia americana , al propagarsi di sensibilità cosmopolite, che caratterizzano quel decennio “fluido” partito dal  Free Speech Movement di Berkeley (1964),  e diventato lotta anti-imperialistica  vissuta da generazioni che, formatesi negli anni di un impetuoso  sviluppo socio-economico, immaginavano possibili forme di rivolgimenti   generali, come fatti realizzabili e raggiungibili in tempi brevi. Guardando all’oggi, tre sono gli effetti durevoli del ’68:  cambiamenti della condizione femminile, interesse per l’ambiente e istruzione, forse più nella scuola che all’università (tema questo su cui ritorna la terza parte dl libretto). Interessante è la ricostruzione del clima culturale   in cui si diffondevano nuove basi teoriche nelle scienze sociali e nella tensione trasversale della cultura pedagogica, che si esprimeva in Francia nella esperienza delle università “aperte” e nella creazione di strutture affiancate alle l’università  (Instituts universitaires de technologie) e in Gran Bretagna  nei Colleges of advanced technology.  L’ esperienza della Open University, come “mezzo di  equità intergenerazionale” in senso riparativo, verso chi ne era stato escluso, rispondeva, proprio  in Gran Bretagna, già prima del 68, all’accresciuta domanda di istruzione superiore, che vedeva i giovani emergere come un nuovo soggetto culturale di sinistra, la new left , contro il carattere classista e discriminatorio del sistema scolastico e universitario. Il coinvolgimento negli eventi della guerra in Vietnam sarà l’esperienza nuova dei giovani inglesi, fino allora poco sensibili a schierarsi  in battaglie di politica estera; luogo di aggregazione verso forme di progettazione attiva e propositiva sarà la London school of economics, che vede una consistente presenza   di studenti stranieri. L’approfondimento sul ’68 americano,  che, dalla organizzazione della SDS, student for a democratic society  negli anni 1960, segue  l’evoluzione delle elaborazioni e delle lotte della silent generation che esercita  un ruolo sociale attivo contro iniquità, discriminazione, aggressione imperialistica a livello internazionale, descrivono un paese  attraversato dalla messa in crisi di diritti civili e sociali nei drammatici eventi degli assassini di Robert Kennedy e di Martin Luther King, e vede, anche qui  come nei paesi europei, l’esplosione di conflitti legati alla discriminazione culturale dei sistemi di istruzione di scuola e università. I tre capitoli della terza parte guardano alla situazione italiana, Luzzato presenta il quadro istituzionale e legislativo relativo all’università, Farinelli sottolinea la centralità che le tematiche della scuola hanno assunto in quegli anni, dibattito e attenzione quasi   sconosciuta nel nostro paese, Michelini ripercorre il senso della pedagogia antiautoritaria e la sua organizzazione in dimensione teorica ed in pratica didattica. Autonomia versus centralismo è il tema dei movimenti del ’68, che tuttavia si sono arenati nello scontro frontale contro il disegno di legge di riforma universitaria, la “famigerata”2314; i successivi interventi ( provvedimenti , più che riforme organiche)  hanno alternato tentativi di assunzione di istanze di trasformazione e difesa di assetti tradizionali, trovando una sistemazione normativa parzialmente organica, solo alla fine degli anni ’90 ( legge Ruberti e riforma Berlinguer). Nel 1969 le uniche risposte istituzionali ai movimenti sono state l’accesso all’università dei non liceali e la liberalizzazione dei piani di studio. Farinelli ricostruisce il clima in cui due temi importantissimi sono stati portati per la prima volta all’attenzione  della società italiana “da e dentro” la scuola: il ruolo sociale della istruzione, la riproduzione delle diseguaglianze entro e attraverso il sistema formativo , la funzione pubblica della istruzione e gli spazi entro i quali studenti e famiglie avrebbero potuto esercitare un ruolo di utile partecipazione. Sicuramente quei movimenti hanno provocato cambiamenti di prospettiva ( non si spiegherebbe altrimenti la polemica ancora presente sui mali del ’68) ma i compromessi raggiunti in sede legislativa non hanno permesso di affrontare  due problemi fondamentali: l’adeguamento culturale della scuola media unica, inadeguata di fronte al problema della in-eguaglianza delle opportunità, e il mantenimento dell’assetto gerarchico della secondaria superiore, che non trova soluzione ancora oggi, malgrado il prolungamento a 10 anni della scolarità obbligatoria. Comunque proprio il movimento del 68 ha fatto entrare, orgogliosamente, nella scuola una generazione di insegnanti che si sono fatti carico di una stagione significativa di pratiche educative nuove e di sperimentazioni. Le teorie e pratiche educative che, nel quadro della nuova  cultura pedagogica internazionale, si sviluppa anche in Italia nel segno di pedagogie antiautoritarie, hanno portato alla affermazione della centralità dell’allievo nel processo educativo e quindi alla necessità di misurare e progettare razionalmente gli interventi educativo/ formativi alla luce della scoperta della politicità dell’educare. Il libro non offre una conclusione, ma fornisce tre chiavi di lettura: l’intreccio tra esperienza di nuove forme di lotta contro il potere accademico, ma non solo, ma anche l’impegno a produrre proposte complessive di ridefinizione dei disegni culturali (le tesi della Sapienza ricostruite nei vissuti dei sit in e dello scontro diretto in sede istituzionale e nelle città); lo slancio verso un cambiamento sociale, che andasse ben al di là delle sedi del dibattito universitario e la risposta autoritaria degli apparati repressivi, esplicitamente messi in campo; la vitalità di un progetto di scuola democratica che, seppure in forme carsiche, è ancora, per fortuna ben presente in quelle che Benadusi richiama come positive ricadute e azioni trasformative, la lunga durata di un processo culturale,   e il suo difficile percorso di traduzione in cambiamenti negli ordinamenti e nelle forme del rapporto tra società e formazione.

Per approfondire:

Benadusi, L., Campione, V., Moscati R. (2018). Il ’68 e l’istruzione. Prodromi e ricadute dei movimenti degli studenti. Guerini e Associati 

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