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Crimini di pace – di Antonello Marchese

Pubblicato il: 22/05/2019 12:00:38 -


La scuola degli adulti tra oppressione e diritto all'esistenza.
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Come cambia , dovrebbe cambiare, il lavoro dei docenti che insegnano ad alunni stranieri, bambini, adulti, adolescenti? Le riflessioni contenute in questi due articoli pongono molti problemi che interrogano noi, la politica, le regole della nostra vita quotidiana e non solo quelle della nostra scuola.

La redazione

 

Fare considerazioni in un tempo di grande caos e inquietudini profonde è difficile anche per un docente appassionato che scelse la scuola al termine di un percorso di studi antropologici e dopo una breve ma significativa attività di ricerca. Eppure sento proprio, più vivo che mai, l’esigenza di condividere alcune considerazioni.

Scelsi la scuola profondamente convinto dal ruolo che la Repubblica ha assegnato all’Istruzione e alla formazione nella sua Carta Costituzionale. Le parole più importanti del nostro vivere comune  in quella splendida porzione di terra chiamata Italia, individuano proprio nella  Scuola una porta di ingresso spalancata  dinnanzi a ciascuno, da qualsiasi parte del mondo arrivi, senza limiti di condizione sociale, per una concreta possibilità di acquisire gli strumenti necessari, non solo per il vivere comune, per la vita sociale e democratica ma anche per la realizzazione di se stessi, dei propri interessi e inclinazioni e per il progresso della società, lì dove per progresso si intende, come per Pasolini, la crescita concreta e progressiva del vivere meglio tutti.

La scuola delle 150 ore, che è stata definita da Filippo Maria De Sanctis[1] un “Movimento auto educativo” unico in Europa e che si è sviluppata come tentativo di riallacciarsi al protagonismo dei movimenti operai  nei sindacati ha tracciato inevitabilmente una strada verso il progresso. Una strada, non sempre senza inciampi, di congiunzione tra la città degli uomini e la  communitas presa dal lavoro e con poco tempo per pensare, immaginare, con-sentire.

La scuola intesa dunque come possibilità di riconoscersi e riconoscere gli altri, come possibilità di una riflessione, di una rappresentazione delle cose che accadono, necessariamente destinata ad espandersi in comunità allargate. Vittoria Gallina, in un recente Convegno[2], ha messo ben in evidenza come anche il limitarsi alla sola lingua del Paese accogliente possa divenire barriera per una integrazione reale. La Professoressa ha sottolineato la necessità di superare il concetto di inclusione e di andare al di là del concetto di integrazione, ma soprattutto ha evidenziato che le tante lingue di cui ciascuno di noi è portatore devono essere utilizzate come sistemi di allargamento della comunicazione e non di restringimento degli spazi, all’interno dei quali, noi ragioniamo con gli altri.

Amartya Sen[3], considera che dobbiamo andare molto al di là del concetto di uguaglianza dell’Illuminismo. L’esperienza dell’Illuminismo ci ha portati a decidere di essere tutti uguali. Questo può indurre a pensare che siamo fatti tutti allo stesso modo. Inutile dire che tale concetto, nel mondo di oggi, esige invece molto di più, cioè a dire il rispetto; perché rispettare vuol dire essere capaci di convivere con persone delle quali riconosciamo elementi di uguaglianza ma riconosciamo anche il diritto al mantenimento delle differenze di ciascuno, perché le differenze sono arricchimento della vita degli esseri umani in un mondo che è molto più complicato di quello che avevamo pensato anni fa[4]. L’Europa che si vantava di aver abbattuto i muri ora li costruisce. Pioniera è stata la Spagna con le blindatissime barriere di Ceuta e Melilla in Marocco. Poi Austria e Ungheria con un muro di filo spinato costato 21 milioni di euro. La grande muraglia di Calais costata alla Gran Bretagna e alla Francia 2,7 milioni di euro. Nel 2018 circa 5 mila persone hanno attraversato la frontiera italo-francese passando da Bardonecchia e dal Colle della Scala[5]. Almeno tre persone sono morte durante la traversata. Si spendono milioni di euro per difendersi da poche migliaia di poveri che chiedono asilo perché in fuga dalla guerra o  perché aspirano ad una vita migliore.

Una lunga strada di movimenti di uomini e di donne che oggi coinvolge più di 68 milioni di persone nel mondo. Di queste più di 20 milioni hanno varcato le frontiere del proprio paese, fuggite in conseguenza di guerre, persecuzioni, ma anche terremoti, cambiamenti climatici, siccità, povertà estrema.

In Europa nel 2018 sono entrati circa 115 mila migranti di cui 57 mila in Spagna, 35 mila in Grecia e 23 mila in Italia. Oggi, Il 9,4% degli alunni  nelle scuole italiane sono stranieri , di questi il 60,9%  è nato in Italia  (502.963 su 826.091 alunni stranieri complessivi).

5.144.440 sono i residenti stranieri  in Italia nel 2017 (5° in Europa, 11° nel mondo), l’8,5% della popolazione totale. I paesi più presenti Romania 19,2%Albania 13,6% Marocco 12,4% [6]

In questi anni la scuola non è stata capace di riorganizzarsi nei tempi e negli spazi per far fronte ad una popolazione studentesca sempre più diversificata e sempre più sofferente, fragile, deprivata. Una scuola ingessata nelle maglie della burocrazia che toglie il fiato per la moltiplicazione di documentazioni da produrre, registri, certificazioni, tutto a discapito del tempo “naturale” della didattica e dell’educazione che è e dovrebbe essere dedicato alla lettura, all’ascolto, al confronto, allo scambio, alla comprensione e all’attenzione e valorizzazione del singolo nel gruppo.

 

 

 

Antonello Marchese

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