Come evitare che la didattica a distanza  esasperi le criticità del nostro sistema educativo

Quando le scuole riapriranno, è probabile che si dovrà ancora ricorrere alla DAD in modalità ‘obbligatoria’, sostitutiva della didattica in presenza. Per quanto tempo, con quale organizzazione, per quali studenti non sappiamo ancora:  oggi è  tempo di programmare ma non tutto può  essere programmato. È certo però che sia gli scettici che gli entusiasti  dell’e-learning dovrebbero prendere sul serio le criticità degli ultimi  mesi, non tutte riconducibili  alle condizioni di emergenza  della prima fase di attuazione.   L’urgenza di riannodare il più in fretta possibile il rapporto  con  gli studenti, le difficoltà delle tante scuole  poco esperte  hanno prodotto improvvisazioni, sottovalutazioni e anche  ingiustificabili  dimenticanze.  E  un ‘nuovo’ che in futuro genererà forse decisivi miglioramenti nella qualità e nell’efficacia dell’insegnamento, ma in cui in molti casi ci si è limitati unicamente a travasare il ‘vecchio’.   

Il rischio che la DAD allarghi la forbice della diseguaglianza

Di una delle criticità  più  vistose, la mancanza in parte delle famiglie di devices e connessioni, si è  occupato il Decreto Scuola del 17 marzo, con un investimento di 85 milioni (5 per la formazione dei docenti). Se basteranno, e se tutto funzionerà  come dovrebbe (a oggi si sa di non pochi  istituti  che i tablet  non li hanno ancora consegnati ),  per settembre il problema potrebbe essere  parzialmente  risolto. Ma il surplus di diseguaglianza  determinato dal  trasferimento  dell’attività scolastica dentro i confini  domestici  è fatto anche delle differenti condizioni abitative e dalla variabile disponibilità di tempo  da parte dei genitori, problemi per cui  non ci sono soluzioni facili né immediate.  A pesare – oggi con la DAD ma  in verità anche prima, con l’eccessivo peso attribuito  dagli insegnanti allo studio ‘individuale’ è inoltre  il fatto che spesso nelle famiglie non c’è chi sia  in grado di aiutare gli studenti che per età non possono essere autonomi nell’accesso alle piattaforme e nella gestione delle attività (la fascia più problematica è quella dai 3 ai 10 anni, talora anche oltre). E neppure di tenere relazioni appropriate con la scuola. 

Un’evidenza  che ha potuto sorprendere  solo chi si ostina ad ignorare, sottovalutandone gli effetti in tutti i campi della vita sociale,  il deposito maligno di percorsi scolastici abbandonati troppo presto o  poco capaci di sviluppare le competenze che servono. Anche solo per usare senza problemi le piattaforme non bastano – anche questo finalmente lo scopriamo –   le abilità di touchscreen  e la familiarità con le funzioni principali di un cellulare di ultima generazione. Come si può mettere rimedio a queste difficoltà, che scaricano altra diseguaglianza su un sistema scolastico già traballante  in termini di equità sociale? E’ singolare che da viale Trastevere non siano ancora venute  apposite misure in questo senso. È interessante, invece, che in altri ambiti anche istituzionali  si pensi di mobilitare giovani neolaureati e volontari per  interventi  di supporto formativo ai genitori. Una sfida anche per i Comuni, la cui iniziativa educativa sta forse riprendendo vigore. È il «cantiere aperto» di cui ha scritto  Dario Missaglia su queste pagine. Che può significare  anche  istruzione ed educazione degli adulti, solidarietà intergenerazionali dentro e attorno alla scuola, contrasto delle diseguaglianze con l’aiuto delle energie dei contesti territoriali. 

Le difficoltà di adattare le nuove forme didattiche ai bisogni educativi speciali

Ma ci sono criticità di altro tipo, le più dolorose in una scuola di cui piace vantare il profilo universalistico o, come si dice oggi, ‘inclusivo’. Anche qui quanta approssimazione sotto la retorica del nuovo che avanza, e quanti ‘danni collaterali’. Se riferimenti agli speciali bisogni formativi degli alunni disabili ci sono stati in ogni presa di posizione istituzionale sulla DAD, indicazioni più accurate  ed estese anche alle categorie dei bisogni educativi speciali e dei disturbi specifici di apprendimento sono arrivati solo dopo un diluvio di denunce e richieste di aiuto dei genitori e delle associazioni di rappresentanza. Da un lato l’impossibilità per molti di accedere alle videolezioni e di fruire di una  didattica a distanza  per lo più poco declinata sulle  caratteristiche e problematiche individuali. Dall’altro gli arretramenti e le involuzioni causate  dalla perdita  di un ambiente fitto delle relazioni che  aiutano a vivere e ad apprendere. Tanti studenti disabili, tanti bambini e ragazzi con problemi fisici o cognitivi sono rimasti soli e senza aiuti e relazioni esterne alla famiglia. Mentre delle grandi risorse disponibili – efficaci strumentazioni tecnologiche dedicate, pratiche didattiche eccellenti, profili e figure di buon livello professionale – pochissimo è stato finora utilizzato nella DAD. Forse perché anche nella scuola  in presenza l’integrazione della didattica speciale in quella per tutti è meno diffusa di quello che dovrebbe, forse perché la cooperazione educativo-didattica tra gli insegnanti di sostegno e gli altri in tante scuole è  insufficiente o logorata. O forse anche perché tutto ciò richiede ricerca e sperimentazione per poter essere trasferita nelle forme e nei linguaggi della didattica a distanza. Quando riapriranno le scuole, e si dovrà forse alternare presenza e distanza, che scelte si faranno ? In un documento CISL sulla riapertura si propone di assicurare  agli studenti con disabilità la massima continuità della didattica in presenza, ma non è detto che questo sia fattibile, e forse neppure utile. Il problema comunque c’è, e sarebbe rassicurante che tra  coloro che programmano l’organizzazione del prossimo anno scolastico ci sia chi ne tiene conto.

I problemi specifici dei migranti

E poi  gli studenti con back ground migratorio, il 10 per cento, forse di più dell’intera popolazione scolastica. Una parte importante, anche perché in maggioranza figli dell’immigrazione stabilizzata ( il 64% sono nati in Italia ), delle nostre troppo scarse risorse giovanili.  Dal primo ciclo arrivano notizie non buone, dal secondo (tecnici e professionali ) ancora meno. Molti non si sono mai connessi, o hanno abbandonato dopo i primi giorni, o stentano a tenere il passo, e con tante famiglie non si riesce  a stabilire un contatto. Di gran parte dei  ‘ricongiunti’ arrivati tra settembre e gennaio, si sono perse le tracce.  Con la perdita dell’aula fisica, si perdono anche gli scambi comunicativi tra pari attraverso cui passa buona parte dell’apprendimento dell’italiano per le comunicazioni quotidiane.  Anche se  viale Trastevere non ne ha mai fatto cenno  nelle indicazioni per la DAD, il loro disagio attuale è la spia non solo dei suoi limiti oggettivi ma dei tanti fattori di svantaggio che, anche per chi è nato in Italia, rendono particolarmente accidentati i percorsi scolastici e  ancora troppo distanti da quelli dei compagni italiani gli esiti di apprendimento. 

Il problema principale – lo dicono tutti gli studi, per ultima anche l’indagine ISTAT 2020 sulle seconde generazioni –   sta nel fatto che la scuola italiana per lo più sottovaluta l’importanza dell’italiano che serve per studiare o  non è ancora in grado, dopo vent’anni e più di esperienza, di affrontarlo in modo ovunque appropriato e competente. Dover imparare a distanza, per molti di questi studenti, si sta rivelando un’impresa impossibile. In abitazioni spesso  povere e  affollate, in nuclei frequentemente  monoparentali, con adulti che in molte situazioni non hanno gli strumenti culturali e linguistici per aiutarli. La didattica a distanza, anche dove tenta di utilizzare i metodi e gli strumenti dell’insegnamento dell’italiano lingua2, non è del resto al momento in grado di inventare quello che non c’è o non è abbastanza evoluto  nella didattica in presenza. Un gran brutto segno che non se ne discuta come di una questione che riguarda, come altre, il senso e la qualità dell’istruzione pubblica, e il futuro del Paese.

Fiorella Farinelli Politica e saggista,  docente esperta di  istruzione e formazione, componente dell’ Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri