Come contrastare la dispersione scolastica?

L’abbandono precoce della scuola che si registra nell’obbligo d’istruzione, in particolare nell’arco che va dagli 11 ai 16 anni, e che investe da un lato la scuola secondaria di primo grado e dall’altro il primo biennio della secondaria superiore, è uno dei nodi non risolti della politica scolastica del nostro paese.

In questo arco di tempo il nostro sistema scolastico perde oltre il 20% degli studenti provenienti in generale da strati sociali deprivati culturalmente e socialmente. È sconfortante osservare che, a 50 anni di distanza dalla famosa “Lettera a una professoressa” di Don Milani, in cui si denunciava che il “principale difetto della scuola italiana sono i ragazzi che ancora disperde”, la sfida di avere una scuola capace di “dare di più a chi ha di meno” non è stata ancora vinta. È questa, però, il traguardo principale che il nostro paese deve raggiungere: avere un sistema di istruzione dell’obbligo capace di combattere le disuguaglianze e di garantire il successo a tutti gli studenti.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di azzerare la dispersione, di “rimuovere gli ostacoli” che limitano di fatto “l’uguaglianza dei cittadini,” che “impediscono il pieno sviluppo della persona” (art. 3 della Costituzione).
L’Unione Europea ha indicato, nei FSE del 2014/2020, come prioritaria per il nostro paese la lotta contro la dispersione scolastica. Anche nel documento dei saggi nominati dal Presidente Napolitano si sottolinea la necessità di “definire urgentemente un programma speciale per ridurre l’abbandono scolastico specialmente nelle grandi città”.

Il problema però è come combattere la dispersione scolastica per garantire una effettiva uguaglianza formativa. Qui si tratta di mettere in atto una strategia capace di rimuovere le principali cause della dispersione in un arco di tempo breve. Questo è possibile?

Per rispondere a questa domanda è necessario prima di tutto partire da un dato incontrovertibile: il nostro sistema di istruzione, soprattutto della secondaria di secondo grado, così com’è oggi organizzato, genera un tasso di dispersione molto elevato.
Dobbiamo aver chiaro che c’è una dispersione che va attribuita a cause di tipo socio-culturali, legate al contesto in cui vive lo studente, ma c’è anche una dispersione prodotta dal sistema di istruzione.
Ed è su questo aspetto che è necessario intervenire con nuove proposte di politica scolastica.

Il dato è ancora più allarmante, se si pensa che la nostra scuola secondaria produce dispersione nonostante l’innalzamento dell’obbligo di istruzione introdotto con la legge n. 296 del 2006 e rimane quindi sostanzialmente una scuola classista in cui permane radicata l’idea gentiliana che la secondaria di secondo grado deve essere una scuola selettiva.
Questa idea classista della nostra secondaria di secondo grado viene anche confermata da una recente indagine OCSE Pisa, pubblicata alcuni giorni fa su tutti i quotidiani, in cui viene messo in evidenza che i professori italiani della scuola superiore assegnano voti più alti alle studentesse e agli alunni dei ceti più abbienti, penalizzando, a parità di performance, gli studenti che provengono dagli strati sociali più svantaggiati.
Si parla di alunni e alunne di 15 anni, che frequentano il primo biennio dell’obbligo di istruzione, che si trovano a scontrarsi con un sistema di istruzione ingiustamente selettivo, in una fase dello sviluppo evolutivo particolarmente delicata dove l’insuccesso viene spesso vissuto come un proprio fallimento, producendo uno stato di delusione, di rassegnazione e di sfiducia verso le istituzioni difficilmente recuperabile.

Per capire come è possibile combattere la dispersione e su quali aspetti intervenire per garantire effettive opportunità di apprendimento, è necessario focalizzare l’attenzione sullo snodo del primo biennio della secondaria. In particolare è importante riflettere sulla necessità di rendere concreto e reale l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione fino a 16 anni.

Il problema dell’assolvimento dell’obbligo scolastico va, senza dubbio, collocato all’interno di un quadro più ampio e complesso, che riguarda la necessità di una riforma organica della secondaria di secondo grado, rimasta ancora oggi sostanzialmente organizzata su un impianto didattico ordinamentale del 1923, voluto dall’allora Ministro dell’Educazione Giovanni Gentile.
C’è da chiederci questo: come mai, in oltre 90 anni, la secondaria di secondo grado non è mai stata realmente riformata?

Anche il recente intervento di riordino, messo in atto con la Legge n.133 nel 2008 dal governo di centro-destra, si configura come un puro intervento di razionalizzazione del sistema. Infatti sono state tagliate tutte le sperimentazioni messe in atto per via amministrativa negli ultimi 20 anni.

Il riordino manca di una visione sistemica di cambiamento organico della secondaria; l’impianto attuale è rimasto organizzato su quattro macro-ordinamenti: licei (suddivisi al proprio interno in 5 diversi indirizzi), Istituti tecnici, Istituti Professionali e Formazione Professionale gestita dalle Regioni.
Questo impianto, organizzato da norme e modelli didattici rigidi e separati tra loro, costituisce un ostacolo concreto a ricondurre a unitarietà il progetto formativo della secondaria di secondo grado.

Oggi, se vogliamo avere un sistema competitivo capace di rilanciare la crescita del paese, c’è bisogno di un sistema di istruzione unitario, che tenga insieme istruzione, formazione e lavoro che sia in grado di allargare le opportunità di apprendimento dello studente.
L’attuale impianto organizzativo della secondaria superiore, invece, canalizza precocemente a soli 14 anni il percorso formativo e di vita dello studente, senza che egli abbia possibilità di ritorno o penalizzando con una perdita di anni, di formazione e di esperienze un eventuale cambio di indirizzo.
Tutto questo è decisamente in contrasto con quanto affermato nell’art.2 della Legge Delega n.53 del 2003, in cui si dice che “a tutti gli studenti deve essere assicurato il diretto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il 18° anno di età”.
A tutt’oggi a molti studenti questo diritto viene negato.
L’obiettivo, invece, deve essere quello di allargare e di far aumentare le opportunità delle scelte formative.

Quindi la sfida più importante per il nostro paese è quella di puntare a costruire un sistema di istruzione e di formazione capace di garantire a tutti gli studenti reali opportunità formative, fornendo a tutti la possibilità di acquisire una solida e unitaria cultura generale di base per poter esercitare il diritto fondamentale di cittadinanza attiva e responsabile.

Sul terreno dell’unitarietà il primo biennio della scuola secondaria gioca un ruolo decisivo. Infatti, uno dei pilastri della legge che innalza l’obbligo d’istruzione afferma che il primo biennio non è solo finalizzato a garantire l’assolvimento formale dell’obbligo di istruzione, ma ha anche il compito di essere formativo, cioè di sviluppare un insieme di conoscenze e abilità capaci di fornire allo studente le competenze di base necessarie per essere un cittadino attivo.

Il biennio della scuola secondaria è oggi lo snodo strategico per tutto il sistema di istruzione, perché è il momento conclusivo del percorso dell’obbligo di istruzione: è in questo momento che lo studente fa le proprie scelte future. Inoltre, oggi, il primo biennio della secondaria di secondo grado è l’anello più debole del sistema di istruzione, in quanto è nella fascia tra i 14 e i 16 anni, nel momento del passaggio delicato dalla preadolescenza all’adolescenza, che si registra il più alto tasso di dispersione scolastica.
L’insuccesso scolastico in questa fase dello sviluppo della personalità dello studente può incidere negativamente sulla motivazione allo studio, sulla propria autostima e soprattutto può innestare un processo di autovalutazione che lo porta ad abbandonare il sistema scolastico.
Infatti è proprio in questo momento, durante il primo biennio che:
• il 13% degli studenti evade la scuola;
• uno studente, una volta bocciato, abbandona definitivamente il sistema scolastico;
• secondo l’ISTAT sono 2 milioni i giovani tra i 15 e i 24 anni che non sono né a scuola, né al lavoro;
• ancora tra gli alunni stranieri si registra un tasso di dispersione vicino al 45%.

L’aspetto da evidenziare è che l’abbandono che si registra nel primo biennio si proietta su tutto l’arco della scuola secondaria, dove più di un quarto degli studenti – parliamo di 25 studenti su 100 – non raggiunge né una qualifica, né un diploma.
Siamo di fronte a una percentuale di diplomati moto bassa che ci colloca agli ultimi posti tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, che invece ci chiede di garantire entro il 2020 un tasso di diplomati pari al 90%: questo significa abbattere in meno di 7 anni oltre 15 punti di dispersione.
Questa è il vero terreno su cui una nuova politica scolastica si deve misurare, ponendo al centro della propria azione l’equità e il successo formativo di tutti gli studenti in obbligo d’istruzione.

La domanda da farsi, a cui è ormai urgente trovare una risposta, è: cosa è necessario fare per abbattere la dispersione e rendere effettivo l’assolvimento dell’obbligo di istruzione che non si traduca in una semplice operazione formale?

Sono tre le linee d’intervento che riteniamo fondamentali per ridurre la dispersione.

1. Bisogna fare in modo che il primo biennio della secondaria diventi effettivamente orientativo in senso formativo. Per questo è necessario che la scelta orientativa dello studente non avvenga più nella scuola media, come avviene ancora oggi, perché la scuola media non è più, dopo l’innalzamento dell’obbligo, il termine del percorso d’istruzione. Per questo motivo la scelta definitiva dell’indirizzo da parte dello studente dovrebbe essere spostata nel corso del primo biennio, in particolare durante il primo anno della scuola secondaria.
Questo permetterebbe allo studente che ritiene di aver sbagliato la scelta di poter cambiare indirizzo senza essere penalizzato, senza perdere anni scolastici e senza dover sostenere esami integrativi, garantendo un passaggio al secondo anno del nuovo indirizzo automatico e senza penalizzazioni.
Si tratta, quindi, di superare la rigidità degli indirizzi, offrendo la possibilità di crearsi un piano di studio personalizzato, grazie al passaggio da un indirizzo all’altro.

2. Bisogna garantire a ogni studente il raggiungimento di una soglia equivalente di conoscenze, abilità e competenze al termine del primo biennio, e per questo è necessario agire sugli orari delle discipline e sul piano didattico degli ordinamenti, in modo da rendere coerenti i quadri orari riferiti all’area generale dell’Istruzione con uno zoccolo di saperi comune a tutti i bienni dei Licei, degli Istituti Tecnici, degli Istituti Professionali.
L’unitarietà del sapere si gioca nel rendere coerenti tra loro gli impianti culturali del primo biennio. In particolare è necessario pensare a un impianto organizzativo didattico dove il monte ore settimanale nel primo biennio sia comune a tutti gli indirizzi e dove il nucleo centrale delle discipline riferite all’area comune sia lo stesso e sia coerente con la continuità del curricolo, che va dai 6 ai 16 anni, e coerente con l’acquisizione delle competenze culturali e di cittadinanza previste a 16 anni alla fine del primo biennio.

3. Il terzo terreno su cui bisogna agire con la massima urgenza è quello del rinnovamento della didattica, rimasta sostanzialmente gentiliana, basata soprattutto sulla lezione frontale, nonostante il regolamento sull’obbligo di istruzione (il D.M. 139/07) introduca, in coerenza con le indicazioni europee, una didattica incentrata sulle competenze che mette al centro l’apprendimento e la didattica laboratoriale.

La sfida è quindi quella di accentuare la dimensione formativa e orientativa del primo biennio; di puntare sulla rimotivazione, sul recupero, sul potenziamento delle competenze di base, dove le discipline di indirizzo siano effettivamente orientative, di assaggio, quindi non selettive.

Nel primo biennio è necessario puntare su una didattica che valorizzi la manualità, l’operatività e che sia alla base del recupero che sa progettare e tenere insieme il sapere essere con il sapere e il saper fare.

Questo rinnovamento richiede un forte investimento sui Dirigenti scolastici e sulla formazione degli insegnanti, fornendo loro gli strumenti e le strategie adeguate per attuare una didattica centrata sulle competenze e sull’apprendimento.

Se vogliamo davvero abbattere la dispersione azzerandola, è necessario che gli insegnanti e i Dirigenti facciano un salto di qualità pensando all’obbligo di istruzione non come un’occasione per selezionare, ma come un’opportunità per recuperare, potenziare e sviluppare le competenze di base, di cittadinanza di tutti gli studenti.

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Walter Moro