C’era una volta il merito

Nella storia della scuola italiana il merito è stato associato al privilegio di frequentarla contro chi ne rimaneva escluso. Con la Costituzione fu proclamata l’uguaglianza dei diritti dei cittadini e fu invertita la scala dei valori, cioè chi era meritevole ma privo di mezzi doveva essere aiutato a salire fino ai gradi più alti dell’istruzione.  Un tale principio veniva messo in pratica dalle regioni che dovevano sostenere il diritto allo studio, ma altri soggetti, pubblici e privati, potevano concorrere con varie forme di premi.

L’affermarsi della pedagogia personalista, con l’alunno al centro del processo formativo, la scuola doveva promuovere i talenti dei singoli senza tuttavia lasciare indietro nessuno. Merito ed equità erano dunque i due binari sui quali doveva camminare il percorso di crescita e di sviluppo dei soggetti, ma questo binomio non sempre si è mostrato in equilibrio; nel corso degli anni infatti ci furono momenti nei quali si voleva far prevalere l’egualitarismo puntando sul successo formativo per tutti, ed altri dove si voleva investire sulle potenzialità dei singoli in una prospettiva orientativa.

All’inizio del nuovo millennio l’economia e il mercato del lavoro assunsero un’influenza notevole nell’indirizzare il sistema formativo, sostenuti da quanto andava consolidandosi in tal senso nell’Unione Europea e proveniva dall’esperienza statunitense; una politica di stampo liberale riprese la questione del merito non solo per gli studenti, ma anche per i docenti e le scuole stesse, nella convinzione che il filo rosso della meritocrazia avrebbe potuto collegare i vari attori del sistema nella direzione della promozione della qualità.

Così la partecipazione avrebbe assunto il carattere della customer satisfaction, l’autonomia tendeva alla aziendalizzazione ed entrò con prepotenza la cultura dei risultati, con la messa in campo di una serie di strumenti di verifica. In quasi tutti i paesi europei infatti era già in atto la valutazione degli alunni con prove standardizzate, ma anche quella delle scuole con apparati ispettivi, fino ad arrivare ai docenti che sulla base di performance verificate potevano beneficiare di incentivi economici o di carriera.

La meritocrazia aveva fatto il suo ingresso nel dibattito politico riguardante la scuola, anche se la base degli operatori, soprattutto la maggioranza dei docenti, guardavano con molta diffidenza l’operazione per il timore che si arrivasse alle sanzioni, dal momento che dal gran discutere non uscivano convincenti modalità di miglioramento delle predette condizioni economiche e di carriera. Ricerche effettuate sui  diplomati delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario evidenziavano una piccola parte di questi giovani docenti d’accordo nel collegare gli incentivi al merito accertato, ma la stragrande maggioranza con il sostegno dei sindacati era contraria.

Con il ministro Gelmini furono avviate diverse sperimentazioni per la valutazione degli apprendimenti, con l’INVALSI, ma anche degli insegnamenti e delle scuole, in vista dell’istituzione in Italia di un Sistema Nazionale di Valutazione (SNV). Il progetto relativo ai docenti aveva finalità premiale e questo avrebbe mostrato quelli più meritevoli, così come si sarebbero collegati gli esiti degli apprendimenti con la qualità delle scuole.

Si trattava di un’adesione volontaria al percorso sperimentale, ma nonostante ciò  molte scuole non accettavano un protocollo calato dall’alto, come aveva fatto il ministro Brunetta nei confronti dei pubblici dipendenti, esse volevano partecipare alle varie fasi del percorso. Fu difficile perciò trovare scuole disposte a partecipare e a volte anche le famiglie presenti negli organi collegiali erano contrarie. Il ministro Gelmini insisteva sulla valutazione del merito, sulle scuole migliori, ma di li a breve il passaggio di testimone al ministro Profumo vide depotenziata la visione meritocratica per un’azione di sostegno al miglioramento, principio sul quale era basato anche il SNV nel frattempo istituito. La dimensione premiale almeno nella prima fase non venne eliminata così come fu evidenziata la valutazione per il sostegno all’autonomia, che però non ebbe nessun ulteriore potenziamento.

La pubblicazione delle graduatorie formate a seguito della valutazione delle scuole procurò non pochi conflitti, tra esigenze di trasparenza e indicazioni per le scelte delle famiglie, e indusse talvolta comportamenti scorretti da parte delle scuole stesse, come ad esempio utilizzare la bocciatura per togliere ostacoli ai premi. Questa operazione non sembrava essere pienamente accettata dagli operatori scolastici e nemmeno essere riuscita a produrre i risultati attesi, così come l’ufficializzazione di sistemi di misura ha l’effetto di indurre comportamenti opportunistici.

Al termine della sperimentazione la stragrande maggioranza dei partecipanti non volle più ripeterla ed anche quando la “buona scuola” la reintrodusse in maniera generalizzata rimase a metà, limitata all’autovalutazione, ai progetti di miglioramento per arrivare alla rendicontazione sociale: le pratiche burocratiche previste dal SNV. Sarà la contrattazione ad intervenire sugli incentivi e non la valutazione del merito …..           

Gian Carlo Sacchi  Esperto di politica scolastica. Ha fatto parte del Consiglio di amministrazione dell’INDIRE e ha fatto parte del comitato Scientifico della Regione Emilia Romagna per le esperienze di integrazione tra istruzione e formazione professionale.