Carlo Bernardini: la lunga lotta per l’educazione scientifica – di Mario Fierli

Carlo Bernardini è stato ricercatore in un punto focale della Fisica italiana, i laboratori di Frascati, e accademico alla Sapienza di Roma. Ma ha anche dato un grande contributo come divulgatore, sostenitore della cultura scientifica e della sua importanza per l’educazione. Contributo che è anche il frutto del sodalizio con la moglie Silvia Tamburini, insegnante di Fisica. In fondo a questo articolo ci sono elencati alcuni documenti che, nella loro successione temporale, scandiscono il suo impegno in fasi diverse del dibattito sulla riforma della secondaria superiore: il riformismo degli anni’70 e le prime sperimentazioni, quando Bernardini era senatore indipendente. Gli anni ’80 quando l’ipotesi di riforma sfuma, ma in cui crescono le sperimentazioni e si istituzionalizzano con il progetto Brocca e i vari progetti di settore. Gli anni ’90 con il progetto di riforma Berlinguer. Un testo più recente non legato a progetti di riforma, è un dialogo: una sua lettera a Tullio De Mauro e la risposta di quest’ultimo.

Il punto fisso dell’impegno di Carlo Bernardini è stato la promozione e la difesa del pensiero scientifico e del suo valore culturale di cui coglie tre aspetti, con specifico riferimento alle scienze sperimentali: l’intuizione, l’induzione, e il linguaggio. L’intuizione scientifica “corrisponde alla soluzione di un problema con qualche metodo, non canonico, che viene esplicitato solo dopo che il risultato è stato prefigurato senza esserne coscienti”. Per l’induzione Bernardini cita la apparentemente paradossale definizione di Wheeler: “non affrontare mai un problema se non se ne conosce già la soluzione. L’induzione si accoppia all’intuizione e l’insieme dei due processi costituisce la capacità di “ragionare con i propri mezzi (Bernardini, De Mauro 2003)

L’intuizione, naturalmente, non è un meccanismo esclusivo del pensiero scientifico. E qui nasce il problema del linguaggio scientifico. Non si possono impropriamente assimilare le intuizioni prescientifiche a quelle scientifiche: è possibile (come è successo) intuire che l’universo sia nato da un qualche oggetto originario, ma questa intuizione acquista un vero senso solo nell’ambito di una teoria, di metodi e di un linguaggio in cui “i termini del discorso abbiano un’esistenza completa”.

Forte di queste idee Bernardini conduce un’incessante battaglia, di difesa e contrattacco, per il valore culturale del pensiero scientifico. Combatte anzitutto le “volgari” sottovalutazioni crociane di questo pensiero e la conseguente pretesa di gerarchia culturale e di posizione dominante della cultura umanistica. Pretesa che, dice Bernardini, si spinge fino a sostenere tesi senza fondamento, come quella per cui la conoscenza del greco antico favorirebbe l’apprendimento della matematica e delle scienze. Ma combatte anche alcuni epistemologi che accusano gli scienziati, e in particolare i fisici, di essere diventati strumentalisti incapaci di produrre teorie che descrivano la realtà. Qui si apre però anche un fronte di critica “interna” verso molti colleghi scienziati che non riconoscono e a volte disprezzano l’esigenza di affermare la scienza come pensiero oltre che come competenza specialistica.

 

Lo sviluppo del pensiero scientifico e la facoltà di ragionare con i propri mezzi sono, per Bernardini, gli obiettivi alti dell’educazione scientifica (ma non solo). Da questo nascono tutti i ragionamenti e le proposte sul “fare scuola”.

L’accusa più frequente alla didattica delle scienze è la piattezza di un sistema totalmente trasmissivo, nozionistico e “addittivo” invece che “formativo moltiplicativo” (Bernardini, Tamburini 1978). “Insegnare non è ammaestrare, ma abituare a formulare problemi”, come ci hanno insegnato Emma Castelnuovo e Lucio Lombardo Radice (Bernardini 1983). Occorrerebbe un insegnamento per problemi, meno preoccupato di rispettare “il canone” della disciplina e capace di creare rapporti veri con la realtà extrascolastica. Occorre anche la capacità di affrontare l’imprevisto che può nascere dall’impatto con la realtà e che può mettere in apparente crisi l’applicazione di leggi consolidate: Bernardini espone più volte l’episodio dello studente Mpemba alle prese con un fenomeno che sembra non obbedire a una legge della termologia.

Un punto cruciale è il rapporto con le formule. In una formula si può nascondere un intero universo. Le formule sono “il microscopio e il telescopio della mente” (Bernardini, De Mauro 2003), sono quindi dense di significato. Che però non può essere compreso con un insegnamento poco più che mnemonico: bisogna ragionare sul mondo che esse sintetizzano. E’ su questo punto che si innesta la polemica frequente con la matematica scolastica, accusata sia di formalismo eccessivo, sia di esercizio del calcolo fine a se stesso. Questi due caratteri finiscono per riversarsi sulla didattica delle scienze, della fisica in particolare, impedendo l’apprendimento dei significati. L’algoritmismo è l’altro difetto: la Fisica ha anche bisogno di procedimenti ad hoc che non insegnano il risultato ottimale, ma un risultato accettabile entro limiti di errore stabiliti. Non a caso chiede un maggiore spazio anche al calcolo delle probabilità.

I libri di testo sono l’altro inevitabile bersaglio della polemica di Bernardini. “i manuali scolastici disciplinari sono quanto di peggio si possa trovare, specie per quelli più adottati nelle scuole. Sono pedanti e, generalmente, lontani da ogni godimento intellettuale” usano il deprecabile linguaggio ufficiale (lo scolastichese) perché ritenuto rigoroso in quanto linguaggio di area. (Bernardini, De Mauro 2003).

I laboratori e la pratica sono scarsi e asfittici. Il loro uso è, almeno nei Licei, più o meno facoltativo. E quando sfugge alla formula della dimostrazione dalla cattedra, rimane comunque non il luogo in cui si sviluppano e progetti e le intuizioni, ma quello in cui si verifica che le formule e le leggi già “spiegate” sono vere. Mai promuove il lavoro pratico. Bernardini si batte per un sistema laboratoriale ampio che si realizza in parte nella scuola, ma anche si allarga all’esterno nei luoghi di ricerca, nei musei, nei luoghi di produzione.

Ovviamente Bernardini si è occupato molto degli insegnanti. Con i quali lui e la facoltà in cui lavorava avevano creato un forte gruppo di ricerca didattica a Roma. Gli insegnanti si adattano spesso alla piattezza della didattica routinaria. Quando si mettono in un’ottica di ricerca didattica e lavorano per formare gli studenti alla facoltà di ragionare con i propri mezzi, sono “acrobati con le mani legate”. E’ difficile che sfuggano ai dettati del programma-canonico e alla piattezza dei libri di testo ad esempio usando saggi, testi divulgativi monografici, testi di storia della scienza (Bernardini, De Mauro). Fin dai suoi primi interventi (Bernardini, Tamburini 1978) traccia i possibili percorsi della formazione universitaria, del tirocinio e della formazione e permanente degli insegnanti: quelli su cui si è verificato un movimento oscillatorio ancora oggi non risolto.

Bernardini ha seguito nel tempo i progetti di Riforma della secondaria superiore. Fin dall’inizio ha propugnato un modello curricolare che prevedeva una progressiva diminuzione delle ore delle discipline di area comune e un parallelo aumento di quelle di indirizzo, che avrebbe dovuto occupare tutto l’orario del quinto anno (Bernardini, Tamburini 1978). Anche in un recente intervento-proposta nel Comitato per lo Sviluppo della Cultura Scientifica e Tecnologica del MIUR, proponeva questo modello necessario per una forte spinta verso la scelta vocazionale e lo sviluppo del pensiero e delle pratiche della scienza.

 

RIFERIMENTI

(Bernardini Tamburini 1978) C.Bernardini, S.Tamburini, L’insegnamento delle scienze nella scuola secondaria superiore, in AAVV. La scuola della riforma, De Donato, 1978

(Bernardini 1983) C. Bernardini, Scienza e tecnica in un disegno formativo unitario, in AAVV Una scuola per l’adolescenza, La Nuova Italia, 1983.

(AAVV 1997) AAVV, I materiali della Commissione dei Saggi, Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, Le Monnier, 1997.

(Bernardini, De Mauro 2003) C. Bernardini, T. De Mauro, Contare e raccontare. Dialogo sulle due culture, Laterza, 2003

 

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Mario Fierli