Si riparte

Si riparte. Education 2.0 ha avuto una interruzione “prevalentemente tecnica” che abbiamo superato. Torniamo quindi al nostro lavoro.

L’occasione è l’appuntamento con l’iniziativa del Governo di innovare la scuola italiana. È sempre stato il leit motiv della nostra ricerca, il cambiamento educativo, soprattutto investendo i contenuti dell’istruzione. Non è questa la sede per affrontare anche i problemi strutturali.
L’intero apparato curricolare dell’istruzione segna da tempo il passo, è invecchiato, risponde ancora a criteri educativi di cento anni fa. Ed è ancora molto diffusa una metodologia didattica trasmissiva. E tuttavia – ne abbiamo tante volte parlato – la scuola è piena d’iniziative individuali o di rete fortemente innovative e di alto contenuto culturale.
Un punto determinante è il superamento dell’eccesso di logo-centrismo, d’identificazione del sapere con l’approccio analitico (necessario e prezioso, ma nocivo se esclusivo). A scuola non c’è l’arte e la cosa è di una gravità inaudita. Non voglio richiamare tutte le fonti che demolirebbero una tale scelta, dalla grande tradizione filosofica all’insistenza dell’alta pedagogia, all’apporto odierno delle neuroscienze.

Ma forse l’argomento principe del riscatto dell’arte, come disciplina formativa, è il buon senso. Preferisco circoscrivere momentaneamente, fra le arti, l’attenzione alla musica. Praticare musica (suonare o cantare) richiede per tutti gli studenti il massimo d’impegno di fatica, ma provoca emozione altissima, perfino gioia. Che cosa si può chiedere di più a un’azione educativa che ha bisogno di rigore e che regala, appunto, gioia?

Non più, quindi, solo il dominio della ragione ma, al suo fianco, la fantasia, l’immaginazione, l’espressività individuale, la creatività di ciascuno, persino il sogno.

La sollecitazione che la pratica musicale provoca inerisce alla sfera della soggettività, la ragione a quella dell’oggettivo. E se soggettività significa libertà, significa apporto da parte di ciascuno del proprio personale contributo. L’arte non s’insegna: si pratica, si affina, sempre col protagonismo del discente.

La musica educa alla virtù, ma merita praticarla perché è bella e piace, diceva Aristotele. E qui emerge un punto centrale: l’educazione estetica, la formazione al bello, grande assente dalla nostra scuola. Eppure il bello è dentro ognuno di noi, è un’aspirazione permanente, è un bisogno profondo. Guai alla scuola che non educa al bello e che, anche attraverso di esso, non sollecita la formazione della personalità, la capacità di creare (arte) e quindi innovare permanentemente. È lo spirito critico perché la creazione artistica non può essere “incamiciata” dall’alto.

Sono componenti strutturali essenziali dell’educazione e sono mosse dall’eros (Platone), dal piacere, dal gusto, dal godimento. Portiamo il godimento dentro la scuola. La musica non è solo arte, è anche scienza, ha le sue regole, le sue tecnicità; la sua esecuzione richiede anche destrezza, dominio dello strumento, o della voce, ed è qui una delle difficoltà più grandi a fare il passo della “musica per tutti”. L’episteme della musica è molto complesso e non può essere introdotto nel curricolo e nella scuola alla leggera. Occorre studiare, da parte dell’amministrazione scolastica, il profilo teorico, le sfaccettature di un tale episteme, a partire dalle esperienze già esistenti, che costituiscono ormai un patrimonio, sia pure dopo-scolastico e facoltativo, ma pur sempre di formazione musicale. Occorre conoscere la grande differenza dell’educazione estetica e musicale per un bambino di cinque anni o per un ragazzino di dieci.
Occorre approfondire gli aspetti amministrativi (ad es. l’inserimento dell’insegnamento nel curricolo, la presenza di un secondo docente nella scuola primaria). In una parola una delicatissima questione, anche organizzativa. Non si può introdurre la musica nella scuola senza preparare un piano graduale che copra tutte queste esigenze e che ci faccia arrivare preparati allo scopo. Attenzione: abbiamo forse vinto la battaglia dell’an, dobbiamo ora vincere la battaglia del quomodo, stando attenti a non sciupare il primo risultato con una cattiva attuazione.

Intervento di Luigi Berlinguer all’incontro “La scuola che cambia, cambia l’Italia” (Roma, 22 febbraio 2015)

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Immagine in testata di Marc Chagall, ripresa da Milano Mente locale

Luigi Berlinguer