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Un vero organico funzionale

Pubblicato il: 24/09/2015 15:30:29 -


Nella sperimentazione degli anni '90 tutto l'organico della scuola era organico funzionale. Quello delineato dalla L. 107 rischia di diventare una sorta di indifferenziato serbatoio per supplenze, fonte di frustrazione più che di potenziamento e ampliamento dell'offerta formativa.
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Risale alla fine degli anni ’90 una sperimentazione nazionale dell’Organico Funzionale (OF), che vide coinvolte per un triennio 350 scuole, di ogni ordine e grado (D.M. 71/99) e che produsse entusiasmi e molti risultati, mai sottoposti a verifica, com’è spesso accaduto alle numerose sperimentazioni degli anni ruggenti tra gli ’80 e i ’90.

Qual era l’obbiettivo della sperimentazione? Fornire un consistente margine di “autonomia” nella gestione delle risorse di personale, così da poterle impiegare in una progettazione di lungo respiro (tre anni), scelta dagli organi di governo delle singole scuole autonome, nel rispetto delle funzioni e dei compiti affidati loro dal centro. In estrema sintesi, come dice Francesco Butturini, si trattava di “costruire un organico cattedre sulla scorta di progettazioni”. Se OF e respiro triennale della progettazione educativa e didattica delle scuole autonome, previsti dalla Legge 107/15, non sono dunque novità assolute, nuova è invece la tripartizione dell’organico in curricolare, di sostegno e di potenziamento dell’autonomia (o funzionale).

Se si fosse integrato il testo della Legge 107 con quello così ben scritto del D.M. 22 marzo 1999 n. 71, che agli artt. 3, 4 così recita: “In attuazione della delibera del Collegio dei docenti che approva il piano dell’offerta formativa, comprendente i corsi di ordinamento, i corsi sperimentali, nonché tutte le opportunità formative previste dall’istituzione scolastica, coerenti con le finalità proprie della stessa, il dirigente scolastico indica le classi di concorso alle quali attribuire le risorse assegnate … Le ulteriori risorse disponibili sono assegnate per lo svolgimento di insegnamenti integrativi, di attività didattiche in compresenza o che prevedano l’articolazione del gruppo classe, ovvero per la programmazione, organizzazione e realizzazione di iniziative di raccordo con le realtà socio- economiche e di esperienze di orientamento, riorientamento e scuola-lavoro, nonché di tutte le attività inerenti i progetti che l’istituzione scolastica ha previsto nell’ambito del piano dell’offerta formativa”, l’intero disposto normativo avrebbe guadagnato in perspicuità, chiarezza e autentica novità d’impianto.

Le risorse venivano calcolate dividendo il numero delle ore di insegnamento per un coefficiente prestabilito (16 per le superiori); si otteneva così il personale assegnato alle scuole per un triennio, approssimando per eccesso ed eliminando gli spezzoni orario.

Una volta ottenute le risorse (in questa fase non si parlava ancora di cattedre), la scuola decideva autonomamente il loro impiego, nel rispetto dei curricula nazionali: “L’attribuzione alle classi di concorso delle risorse (…) è effettuata con riferimento alle specifiche competenze richieste dagli insegnamenti integrativi e dalle attività previste, sulla base dei criteri definiti dal Collegio dei docenti in sede di deliberazione del piano dell’offerta formativa.”

Il coefficiente di divisione consentiva una certa “sovrabbondanza” di personale e quindi la possibilità, se così deliberavano gli Organi Collegiali, di flettere il monte-ore di cattedra e di assegnare ad alcuni insegnanti compiti strutturali al POF (non effimeri progetti!), diversi da quelli della ordinaria frontalità e con un forte impatto sulla motivazione dei docenti.

Si disse, allora, che l’OF costava troppo e che quindi, nei tempi grami che già iniziavano ad affacciarsi, sarebbe stato un “lusso” economicamente insostenibile. Nonostante si trattasse di un’affermazione tutta da dimostrare (secondo certi calcoli il conto economico era in pareggio, se non addirittura vantaggioso), la sperimentazione terminò e, negli anni successivi, l’OF tornò a far parte del libro dei sogni.

Il nuovo secolo ha continuato con le politiche dei tagli lineari e di strisciante ri-centralizzazione dell’amministrazione scolastica, con il permanere costituzionalmente ingiustificato degli USR che, invece di essere aboliti, in applicazione del Titolo V novellato, hanno visto accrescere il loro potere di controllo e di interdizione nei confronti delle scuole autonome e delle loro reti, nate spesso “autonomamente” dal basso come strumenti di autodifesa.

Questa tendenza perniciosa, che è culminata con le misure Tremonti-Gelmini, non mi pare sia stata invertita con la Buona Scuola. Presupponendo che si tratti di un testo scritto bona fide e non per “buscar el Levante por el Poniente”, mi domando: perché, nel momento in cui si dovrà applicare in modo sistemico il dispositivo di legge, non si vanno a rileggere e a studiare le carte della “antica”sperimentazione sull’OF, per trarne suggerimenti e utili spunti operativi? Il presidente del consiglio si vanta di avere investito sulla scuola, per la prima volta dopo tanti anni di “vacche magre” (leggendo i testi, punteggiati dall’inesorabile caveat delle commissioni bilancio, “senza alcun onere aggiuntivo per le finanze pubbliche” viene però il sospetto che si tratti di una sostanziale partita di giro tra un capitolo di spesa ad un altro): perché allora non si dotano le scuole autonome di un autentico OF integrale, triennalizzato, senza tripartizioni e spezzoni?

Chiudo richiamando ancora le parole del preside Francesco Butturini, che ebbi modo di conoscere al tempo della sperimentazione dell’OF, oltre quindici anni fa: “A rileggere questo testo [il DM 71/99] che in 350 dirigenti abbiamo adoperato, mi sembra sia stato un sogno. Ed era, invece, una realtà nella quale abbiamo operato e con la quale abbiamo iniziato a trasformare le nostre scuole e i nostri docenti, dando ai volonterosi – ma non solo a quelli – i tempi, i modi, il riconoscimento economico per una professione che riacquistava dignità e consistenza: culturale e sociale.” Poi la disillusione, il riaffermarsi, prosegue Butturini, della “composizione ‘barocca’ dell’organico di diritto e dell’organico di fatto”. Infine: “Cosa ci resta di autonomia? Semplice: saremo da soli (autonomi) a dover spiegare a docenti, studenti e famiglie che non è colpa nostra se la continuità didattica va a farsi friggere, le classi scompaiono, gli orari diventano impossibili e di sperimentazione rimangono solo le difficoltà gestionali. Chi mi legge sa che non sto esagerando e non capisco perché continuiamo ad accettare una quotidiana dimenticanza dei diritti fondamenti del cittadino ad avere una buona scuola [sic!] efficace e produttiva, come indicano perentoriamente e chiaramente gli articoli 3, 9, 33, 34 della Costituzione e il 35 come naturale conseguenza e conclusione”.

Auspico una “discesa in campo” degli antichi protagonisti di quella stagione, ben più autorevoli di me, perché oggi è forse possibile cogliere un’occasione preziosa per tornare dal sogno alla realtà.

Per approfondire: BUTTURINI, Francesco, Una riflessione sull’organico funzionale, in “Edscuola”

Claudio Salone

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