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A che punto sta la scuola? (parte 1)

Pubblicato il: 24/09/2015 13:23:50 -


Varata la legge 107, la scuola continua a patire i suoi mali storici.
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I mali storici della scuola italiana sono stati ereditati dalla legge 107 e, al di là delle intenzioni, degli annunci, delle mediazioni, sono ancora quasi tutti lì. In cosa consistono questi “mali ereditati”?

Dopo la fase di slancio successiva alla riforma della scuola media, alla istituzione della scuola materna statale, alla introduzione delle 150 ore, alla creazione di modelli di scuola a tempo pieno, all’inserimento degli handicappati, governi di varia composizione e sfumatura sono intervenuti per aggiunte quantitative (un problema = una cattedra; una cattedra = un docente, meglio due).

Tutto questo ha prodotto una politica “perversa”, che ha mortificato le vecchie professionalità e impedito il formarsi ed il consolidarsi delle nuove e ha disatteso politiche di qualificazione dell’istruzione a tutti i livelli. Su misure cadute “a pioggia” e che, al di là delle parole, non hanno permesso interventi stabilmente mirati alla qualità, hanno avuto buon gioco le sciagurate politiche di tagli lineari, le conseguenze dei quali appaiono ancora difficilmente recuperabili.

La dis-equità del nostro sistema di istruzione – non più sopportabile per un paese civile – consiste nella accessibilità formale alla istruzione, che fotografa le diseguaglianze di partenza e le riproduce nelle scelte successive alla scuola media. Non si potrà negare che l’obbligo a 10 anni di scolarità, arrivato a più di 40 anni di distanza dall’istituzione della scuola media unica, non è stato di fatto attuato: ancora oggi i nostri ragazzi fanno scelte definitive a 13/14 anni perché il biennio delle superiori è rimasto canalizzato, privo di funzione orientante.

Non a caso il grosso della dispersione scolastica avviene in questo segmento di scuola, che non può e non deve essere lasciato così, ma su questo punto la legge 107, che pure sembra voler affrontare con urgenza problemi non più dilazionabili, si limita a formule di circostanza.

Formule rituali, affermazioni retoriche, e soprattutto silenzi non giustificabili, hanno caratterizzato, salvo rarissime e isolatissime voci, le prese di posizione dei sindacati e delle associazioni professionali, che hanno preferito tacere o dar voce alla delusione e alla rabbia dei docenti precari, senza formulare proposte credibili di ridefinizione di un segmento di scuola che non dovrebbe, ma deve tenere insieme, riformandoli, il percorso finale del ciclo elementare, la scuola media di primo grado e l’inizio della secondaria superiore.

Chiunque capirebbe che questo è il solo modo per garantire opportunità professionali per i lavoratori (non solo cattedre) e per avviare l’allineamento rispetto a quanto accade negli altri paesi, in termini di durata, del percorso di scuola secondaria superiore, che penalizza, anche da questo punto di vista, i nostri giovani.

Spunti utilizzabili a questo scopo ci sono, anche se deboli, nella Legge 107, e traducibili in proposte organiche che darebbero una prospettiva credibile all’ampliamento di organici, funzionali al rinforzo di una offerta formativa capace di orientare le scelte e non volta, di fatto, a selezionare i più deboli.

Sicuramente per un pezzo di sinistra, sindacato compreso, che ripropone un non meglio precisato obbligo fino a 18 anni, fare questa battaglia sarebbe poco comprensibile; ma è l’unica veramente utile in questo momento e in prospettiva.

Autonomia, Organico funzionale, Sperimentazione guidata

L’autonomia sopravvive nella contraddizione tra norme che già esistono – ma non vengono attuate – e nuove produzioni legislative, condannate a restare sulla carta. Il problema è molto complesso e di difficile soluzione perché l’Italia non è il Regno Unito, che ha un sistema pubblico NON statale, ma soprattutto perché l’autonomia, prevista già oggi dalle nostre leggi, si scontra con un processo di ri- centralizzazione e subisce il conflitto e la sovrapposizione di competenze determinate dalla riforma del titolo V della Costituzione che, nella gestione delle responsabilità del funzionamento del sistema di istruzione, ha prodotto disastri, dalla scuola dell’infanzia alla educazione in età adulta.

In questo modo l’autonomia, che di fatto è una sorta di libertà condizionata e vigilata da una miriade di soggetti, diventa una foglia di fico di fronte all’assenza di politiche nazionali; mentre il Miur, mai alleggerito, opera oscillando tra dirigismo centralizzato e funzione di solo indirizzo, col risultato di far proliferare linee guida su tutto, esempio evidente della debolezza culturale, spesso anche della mancanza di buon senso, di chi opera centralmente.

L’organico funzionale, invenzione sindacale dei primi anni ’80, rispolverata dai ministeri Profumo e Carrozza, ora riproposto per assorbire i precari, non è stato riempito di contenuti e, oggi, ridotto a un guscio vuoto, diventa lo spauracchio che si agita di fronte a un personale che, seppure stabilizzato, non ha chiaro cosa gli capiterà di fare.

Eppure proprio questo sarebbe un terreno importante su cui sindacati e associazioni avrebbero il dovere di lavorare per chiedere confronti volti a promuovere professionalità, garantendo nello stesso tempo un’offerta formativa flessibile, che aiuti i giovani a responsabilizzarsi e operare scelte non casuali per il loro futuro.

Qualche anno di sperimentazione guidata potrebbe offrire strumenti di lavoro e far fare esperienze? Certo impegnarsi in questa direzione sarebbe più faticoso e rischioso che dar voce a proteste, giustificabili e comprensibili, che ipotizzano un futuro di stabile continuità con la disastrosa situazione attuale e indirizzare ai TAR e alla magistratura, nazionale e/o europea, la richiesta di conciliare l’inconciliabile.

Un vecchio e illustre sindacalista diceva a un gruppo di giovani dirigenti del nuovo sindacalismo confederale, non solo della scuola: “Se alla fine vi dovrete rivolgere ai giudici vorrà dire che avete sbagliato tutto, che non avete saputo fare il mestiere del sindacato”.

Vittoria Gallina

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