In ricordo di Jerry Bruner

Jerome Bruner è stato uno dei più grandi. Il suo lavoro ha dato uno scossone alla scienza dell’educazione, promuovendo il superamento del vecchio orientamento autoritario e classista: questo grazie alla sua robusta rilevanza teorica, ed alla sensibilità sociale con cui ha portato acqua al mulino di una scuola inclusiva. Decisiva la valorizzazione del significato e delle potenzialità dell’apprendimento come protagonismo democratico discente, anche grazie al forte apporto del sociale ai principi educativi.

Già all’inizio della sua carriera, Bruner capì che il comportamentismo, la teoria psicologica allora in voga, ignorava molte delle dimensioni dell’esperienza cognitiva umana. È grazie a lui che si sviluppò quella che fu poi chiamata “rivoluzione cognitivista”: nell’apprendimento, la mente non è un soggetto passivo, bensì attivo. Fu lui a comprendere e ad apprezzare le idee di Maria Montessori.

Le implicazioni sulla scienza dell’educazione furono di enorme portata. Bruner scoprì che ogni bambino costruiva le proprie conoscenze sulla base delle sue esperienze. Lungi dal trasmettere nozioni da incidere su una tabula rasa, il lavoro dell’insegnante doveva far leva su basi conoscitive precedentemente acquisite, aiutare il bambino a riconoscere le relazione fra fatti e concetti. Gli studi di Bruner sui processi di insegnamento-apprendimento sono stati punto di riferimento per la revisione dei programmi di studio e dei metodi didattici. In Italia fu uno degli ispiratori dei programmi della scuola elementare approvati nel 1985.

Per Bruner il compito principale dell’insegnante è scavare, come un minatore, alla ricerca del potenziale intellettivo umano. Ma, per questo, le scuole devono avere come prima missione la capacità di comprendere e soddisfare i bisogni dei bambini. I suoi studi si concentrarono inoltre sull’impatto del contesto (povertà, razzismo, emarginazione) sulla vita mentale e sullo sviluppo degli alunni. Da qui, il passaggio all’idea che spetta anche all’organizzazione scolastica aver cura della promozione sociale e dell’equità.

Non dimentichiamo che il nostro piccolo e modesto Paese ha avuto il suo Novecento pedagogico, ha espresso una sua cultura educativa di un qualche significato, annovera tra i suoi grandi Maria Montessori, e che si sono costruite in questo campo esperienze, dottrina, risultati di valenza non solo nazionale.

La sequenza di più protagonisti, espressi da vari nomi fra i quali Codignola, don Milani, Bruno Ciari e, non ultimo, Loris Malaguzzi, fondatore di quella straordinaria esperienza che è Reggio Children, sono lì a testimoniarlo. Proprio Jerry Bruner, fra non pochi altri, ha ammirato e si è persino affezionato a Reggio Children, tanto da contribuire a diffonderne il modello nel mondo. Ma è singolare che in Italia un’eccellenza come quella reggiana venga non solo trascurata, sottovalutata, in qualche modo isolata, ma non diventi il punto di partenza di una vera riscossa pedagogica progressista per questo paese. Questo grido di dolore voglio lanciare anche nell’augusto nome di Jerry Bruner.

Ebbene, è proprio questo che noi dobbiamo a Bruner, come lo dobbiamo all’Italia e a i ragazzi italiani: non mollare nell’ambizione di investire su modelli educativi centrati sull’apprendimento, aprendo anche ai fondamentali apporti della cultura del lavoro, della cultura e pratica artistica e musicale, della sollecitazione dell’espressività e della creatività: innovazioni radicali rispetto alla scuola logo-centrica ed esclusiva. Sento in giro una volontà di restaurazione, punti di resistenza corporativa che non vogliono che cambi nulla nella scuola e nell’indisturbato esclusivo dominio dell’iperdisciplinarismo e nella natura cattedratica e trasmissiva dell’insegnamento. È un ciclico ritorno corporativo che abbiamo già conosciuto. Dobbiamo anche a Jerry e al suo rivoluzionario insegnamento impedire che questa spinta restauratrice oggi prevalga ancora una volta.

Pensare a Bruner con ammirazione e gratitudine significa anche questo: reagire alle sollecitazioni di stampo conservatore, aprirsi al bisogno che una cultura veramente progressista sia al tempo stesso capace, in modo forse anche un po’ visionario, di sentire nel profondo il bisogno di cambiare radicalmente questa scuola, di contenere la deriva della tradizione elitaria e classista, di ampliare ed approfondire l’offerta formativa, di saldare finalmente conoscenza e responsabilità democratica, sapere e militanza educativa.

Immagine in testata: Portrait by Beth Marsden, at University of Oxford

Luigi Berlinguer