L’importanza delle relazioni personali nella didattica e nella ricerca universitaria

La pandemia che ci ha travolti in questi mesi sta avendo, e avrà nel prossimo futuro, ripercussioni molto pesanti sull’insegnamento nell’Università e sulla ricerca. Faccio riferimento alla mia esperienza di docente e ricercatrice del Dipartimento di Fisica della Sapienza, in cui ho lavorato e insegnato per più di quaranta anni. 

Per prima cosa è stato stravolto il rapporto diretto con gli studenti, che in passato era basato sulla ‘prossimità’. Oltre al rapporto ex-cattedra, c’è sempre stato un rapporto personale che andava oltre le lezioni o gli orari ufficiali di ricevimento. Lo studente poteva sempre bussare alla porta del docente per fare domande o discutere, cosa che avveniva spesso con gli studenti dei corsi, e quotidianamente con laureandi e dottorandi. Il rapporto con gli studenti dei corsi si è in gran parte interrotto, anche perché pochissimi di loro fanno domande durante le lezioni a distanza e obiettivamente non è semplice gestire l’interazione con più persone; quello con laureandi e dottorandi continua, ma non è la stessa cosa, per via telematica.

La parola prossimità che era vera e concreta, è stata sostituita giocoforza dalla parola

‘distanziamento’, che priva sia i docenti che gli studenti di un legame di interazione personale, fondamentale nel rapporto di apprendimento.  Parlo di apprendimento anche per i docenti, perché attraverso le domande degli studenti un docente non solo impara a insegnare meglio, ma capisce anche a fondo la materia che insegna o su cui fa ricerca.

Nella nostra Facoltà, con un notevole aggravio di lavoro, ci si è prontamente organizzati per tenere le lezioni a distanza e, a sentire i colleghi, le cose sono andate abbastanza bene perché la maggior parte di noi ha dimestichezza con gli strumenti telematici.

Ma cosa ne pensano gli studenti che le hanno subite? Lo sapremo fra qualche mese, quando le schede di valutazione, che ogni studente è tenuto a riempire in maniera anonima per ciascun corso seguito, saranno analizzate e i risultati saranno resi noti. In queste schede vengono valutati sia i contenuti del corso che l’insegnamento del docente. Quest’anno saranno particolarmente utili per capire se le lezioni a distanza hanno funzionato o meno.

A tutto questo si aggiunge il problema dei laboratori, che nelle facoltà scientifiche sono fondamentali. Quelli del secondo semestre, all’inizio del lock down, sono stati interrotti e, quando possibile, sostituiti da dimostrazioni online di esperimenti fatti dal docente e da lezioni teoriche. È ovvio che fare l’esperimento personalmente è tutt’altra cosa. 

Ora si sta cercando di capire come organizzarsi per permettere l’accesso ai laboratori a settembre e per tenere le lezioni in presenza, rispettando tutte le norme precauzionali, ma è molto difficile perché, e questo vale per la scuola di ogni ordine e grado, ci vogliono spazi più grandi, più strumentazione e più personale. 

Si cercherà di mettere in piedi un sistema ibrido a rotazione, che consenta a gruppi di studenti di accedere ai laboratori in presenza e ad altri da remoto. Lo stesso si pensa di fare per le lezioni, ma come mandare in streaming o registrare tutte le lezioni che si tengono quotidianamente ancora non è chiaro. È un problema organizzativo enorme. I Dipartimenti dovranno dotarsi in breve tempo della strumentazione necessaria, e, dato l’elevato numero di aule, la spesa non sarà trascurabile; inoltre serviranno tecnici addetti alla gestione degli apparati. Come al solito saranno necessari più fondi e più personale.

Altro problema che si sta affrontando sono gli esami a distanza.  Quelli della sessione estiva si stanno svolgendo agevolmente per i corsi con pochi studenti; l’Università ha messo a disposizione una piattaforma efficiente che permette di gestire gli esami scritti, e gli orali si fanno ingegnandosi in vario modo con le varie piattaforme telematiche a disposizione. Le difficoltà maggiori si hanno per quei corsi che hanno centinaia di studenti.  Quando i numeri sono grandi non c’è piattaforma che tenga.

In questa situazione anche la ricerca scientifica ha subito un duro contraccolpo, soprattutto per coloro che gestiscono gli esperimenti. Per qualche tempo l’accesso ai laboratori è stato interdetto e solo recentemente è ripreso per garantire un minimo di continuità, ma con molte restrizioni relative alle norme di sicurezza. I teorici sono stati invitati a lavorare da casa. Ma il nostro lavoro di teorici e sperimentali vive di interazioni quotidiane in aula, in laboratorio e fuori. Anche la pausa caffè o la pausa pranzo sono occasioni per discutere, per farsi venire idee e, in ogni caso, per creare quel clima di familiarità che favorisce la collaborazione. La maggior parte dei congressi sono stati rimandati a data da destinarsi e quei pochissimi che si sono tenuti sono stati in modalità telematica. Di nuovo, poche interazioni, solo scambi di informazioni. Le collaborazioni già esistenti continuano anche per via telematica, ma è più difficile che ne nascano di nuove. Per esempio, i programmi di scambio di studenti di dottorato e di giovani ricercatori, che sono il motore delle collaborazioni scientifiche, si sono fermati per tutto il periodo del lock down a causa dell’impossibilità di viaggiare, e anche adesso stentano molto a decollare di nuovo.

Potremo andare avanti così, con congressi, riunioni e lezioni parzialmente o totalmente online, laboratori ed esperimenti condotti tra mille difficoltà pratiche? Purtroppo credo che sarà necessario almeno per il prossimo anno e ne risentiranno, nonostante tutti i nostri sforzi, la ricerca e la qualità della didattica.  Si dovrebbe cominciare a pensare a come innovare la didattica per fare fronte al possibile ripetersi di queste situazioni. Le lezioni online stimolano una forma di apprendimento che è principalmente passivo. Certo così è anche per le lezioni tradizionali, ma in quel caso c’è sempre la possibilità di fare domande alla fine della lezione o, come dicevo prima, bussare alla porta del docente e discutere in maniera più approfondita, o cercare il docente più giovane da cui si è meno intimiditi –penso soprattutto agli studenti dei primi anni –.

Bisognerebbe sviluppare forme alternative di didattica che consentano una maggiore interazione con gli studenti: oltre ad ascoltare le lezioni, lo studente dovrebbe fare una parte di lavoro individuale, da discutere con il docente in sessioni telematiche opportunamente organizzate, allo scopo di ragionare su quanto appreso e sviluppare le capacità critiche fondamentali per risolvere problemi.

È ovvio che questo richiede uno sforzo considerevole di riorganizzazione della didattica e, al momento, impegnanti a parare i molti problemi da risolvere nell’immediato, non si ha la forza e il tempo di affrontarlo.  Ma bisognerà pensarci, e seriamente.

Valeria Ferrari professore ordinario di fisica teorica, Università la Sapienza Roma