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La valutazione, qualcosa di personale?

Pubblicato il: 09/09/2009 17:27:58 -


La valutazione è un tabù non solo nel rapporto tra genitori alunni e insegnanti, ma lo è anche nel rapporto tra docenti.
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Le sedute di discussione per l’attribuzione dei voti a scuola avvengono in una babele di lingue, dentro la quale si fa fatica a districarsi e si finisce per parlare non si sa più di quale allievo: il singolo ragazzo è “spezzettato” in una serie di voti, molto spesso in contrasto anche se relativi alla stessa area disciplinare.

Apparentemente tutto sembra semplice e scontato: ci sono dei voti che rappresentano le misurazioni effettuate in un determinato momento dell’anno e quindi basta procedere facendo la media delle diverse misurazioni e si ottiene una valutazione attendibile.

Come spesso accade, però, ciò che appare semplice nasconde in realtà problemi complessi.

Ecco alcune delle questioni che emergono spontanee:
• Che cosa è stato valutato nella singola prova?
• Qual è la gamma di voti che viene utilizzata per stabilire una valutazione?
• La prova utilizzata era in grado di misurare effettivamente ciò che si intendeva sottoporre a verifica?
• Qual era il livello di difficoltà delle diverse prove cui è stato sottoposto l’allievo?

Questi sono solo alcuni dei tanti interrogativi ai quali si trova davanti un docente che voglia “interpretare” dei voti, i suoi, frutto di diverse prove di verifica, e quelli degli altri colleghi: ragionando sui soli simboli numerici, spesso non si ricompone un quadro unitario della persona e delle sue abilità.

Il voto d’altra parte è assegnato dall’intero consiglio di classe come afferma la normativa “I singoli docenti hanno competenza a proporre all’esame dei colleghi componenti del C.d.c. il voto di profitto, in base ad un giudizio brevemente motivato, ma il voto è assegnato, in ogni caso, ad opera del Consiglio di classe” (circ. min. 19/12/1967 n. 451).

Ogni volta, però, che un collega fa richieste di chiarimento, per cercare di comprendere meglio cosa c’è dietro un voto, il disappunto, se non il fastidio, comincia a serpeggiare.

Esiste un tacito accordo tra docenti: ognuno deve rimanere nel proprio ambito, non occuparsi di come valuta un collega, a meno che non sia lui a richiedere conferme rispetto a ciò che ha fatto.

A volte pongo domande che infastidiscono i miei colleghi “Com’è possibile che una ragazza che ha preso il FIRST, certificazione delle competenze linguistiche in inglese abbia risultati sufficienti nella stessa area a scuola?”. “Forse non ha studiato abbastanza quello che doveva studiare!”.

Ed ecco che tutto si sposta dalle “COMPETENZE” alle “CONOSCENZE”.

Mi riesce facile pensare che a un’ interrogazione su “the Victorian age” l’allieva possa essere stata poco brillante in quanto a conoscenza dell’argomento, eppure nella stessa interrogazione dovrebbe aver mostrato di comprendere le questioni poste in lingua inglese dal docente e dovrebbe aver mostrato in più occasioni in classe di saper parlare in modo competente in tale lingua, ma queste sono solo valutazioni personali e inutili per il mio collega, che ritiene questo “sfondamento di campo” poco appropriato: lo specialista è lui.

Io cerco di capire, il dubbio mi assale e ho consapevolezza che le nostre certezze sono fragili; nella scuola secondaria superiore sarebbe necessario prevedere del tempo, degli spazi di discussione in modo da favorire una crescita collettiva sul fare scuola.

La valutazione è un aspetto molto problematico della funzione docente e spesso tutto sembra ridursi a logiche ragionieristiche, in cui un 6 meno diventa 5.75, o in cui un impreparato fa media con gli altri voti e c’è chi nell’attribuzione del voto si riferisce alle abilità e chi alle sole conoscenze.

Un atteggiamento molto diffuso è ad esempio quello di non usare l’intera gamma dei voti e quindi ci sono insegnanti che non attribuiscono più di sette decimi in una prova, come se il dieci rappresentasse la perfezione divina e non la valutazione di specifiche abilità e conoscenze, dirigenti che invitano a fare la media matematica dei voti, come se tra le diverse prove non esistessero differenze sostanziali sia per livello di difficoltà, sia per tipologia di verifica.

Nell’affrontare il problema della valutazione, soprattutto quella collegiale, dobbiamo uscire dalla ritualità, dall’abitudine consolidata, confrontandoci da veri professionisti allontanando il rischio di supporre in modo auto assolutorio che l’errore sia sempre da una parte sola: quella dei ragazzi.

Eppure pochi docenti sembrano sfiorati dal dubbio, mentre quello che credono certezza matematica è solo un rifugio di paglia che può cadere al primo soffio di vento.

Luisella Dal Pra

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